comune di Merate sec. XIII - 1757
Comune del Monte di Brianza, appartenne alla pieve di Brivio.
Il toponimo (nella forma “Melate”) è citato nell’anno 927 e ancora nel 990 (Manaresi 1955-1960, n. 133; ASMi, MD, n. 854; CDL, n. 524; Vismara 1979).
”Commune” e “consules” di Merate sono citati nel 1300 (Atti del comune di Milano 1277-1300).
Già in un diploma del 1158 dato da Federico I a favore del monastero milanese di San Dionigi, l’imperatore diffidava solennemente gli uomini di Merate per dissuaderli dall’eleggere propri rappresentanti, ovvero dal tentare di liberarsi dei vincoli feudali (Longoni 1988).
Negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano era compreso, nella pieve di Brivio, come “el borgo da Merà” (Stella, Farina 1992).
Nella compartizione dell’estimo del Monte di Brianza (anno 1456), il comune di Merate era compreso nella pieve di Brivio.
Negli estimi del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti fino al XVII secolo, Merate risulta elencato tra le comunità della pieve di Brivio (Estimo di Carlo V, Ducato di Milano).
In un prospetto comprendente tutte “le terre del ducato di Milano et altre con esse tassate per le stara di sale”, risalente al 1572 (Terre Ducato di Milano, 1572), era compresa anche Merate.
Dalle risposte fornite nel 1751 ai 45 quesiti della real giunta del censimento, si desume che a quel tempo il comune di Merate, compreso nella pieve di Brivio, non era infeudato, essendo stato “demaniato” nel secolo precedente, e continuando a pagare ogni quindici anni lire 237.7 alla regia camera per la redenzione.
Non vi risiedeva iusdicente nè regio nè feudale; la comunità era soggetta al regio officio della Martesana, presso la cui banca criminale il console di Merate era solito prestare giuramento.
Per quanto riguarda gli organi e gli aspetti della vita amministrativa, la comunità, che aveva allora 950 abitanti, veniva regolata da quattro dei primi interessati “di maggior prudenza e cognizione”, con un sindaco e un cancelliere, che erano eletti dalla “maggior parte dei signori estimati” e vigilavano sulla giustizia dei riparti. Al cancelliere spettava la formazione e conservazione dei riparti, con un salario di lire 30 annue; non esisteva archivio per le pubbliche scritture; l’esattore veniva eletto all’incanto in pubblica piazza, previa esposizione di cedole. La comunità di Merate aveva allora come procuratore don Giovanni Francesco Lambertenghi (Risposte ai 45 quesiti, 1751, Merate).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Saverio Almini ]
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