consiglio generale di Lodi sec. XIII - 1757
È in un’assemblea del 1224 la prima attestazione di un “conscilium generale et plenum civitatis Laude”: composto verosimilmente da un centinaio di membri, esso era probabilmente l’esito dell’evoluzione della “credentia”, l’assemblea consultiva che alla metà del sec. XII affiancava il collegio consolare della città (Caretta 1983).
Il riassetto amministrativo sancito dagli statuti viscontei del 1390 conservò gli antichi istituti di origine comunale, primo fra tutti il consiglio generale, al quale potevano accedere cittadini che avessero compiuto il venticinquesimo anno d’età, e dal quale erano tratti i dodici “sapientes” che costituivano il collegio ristretto cui era demandata l’ordinaria amministrazione della città (Statuta et ordinamenta Civitatis Laudae).
Nel 1492 il collegio assunse una fisionomia più definita in seguito alla riforma di Ludovico Sforza, che riconobbe lo “ius decurionale” a trenta famiglie dell’oligarchia cittadina, e affidò l’amministrazione di Lodi a sessantadue decurioni perpetui, riuniti nel Consiglio Maggiore e nel Consiglio Minore; alle famiglie Fissiraga e Vistarini fu attribuita la facoltà di avere tre decurioni ciascuna nel consiglio, mentre le altre non potevano contarne più di due. Il Consiglio Maggiore, costituito di cinquanta decurioni, si occupava sostanzialmente della nomina dei pubblici funzionari: ogni due mesi, inoltre, dieci consiglieri sostituivano altrettanti decurioni del Consiglio Minore, in modo che entro l’arco di un anno ogni membro del Consiglio Maggiore avesse la possibilità di partecipare effettivamente all’amministrazione della città (Agnelli 1917 a).
Al consiglio generale continuò ad essere affidata l’amministrazione cittadina anche in età spagnola: convocato due o tre volte durante l’anno – una generalmente in gennaio, le altre ” per qualche occorrenze importanti” – il Consiglio Maggiore provvedeva alla nomina e al salario dei pubblici funzionari, ossia “sindaci, tesoriere, sopraintendenti alla Muzza, furieri, censitori, ragioniere, (…) segretario, secondo ragioniere, causidico, sollecitatori ed esattore di necessità decurioni” (Vigo 1983; Agnelli 1896).
Nel 1728 una delibera del Senato abbassò a diciotto anni l’età utile per poter essere ammessi in Consiglio. Nella prima metà del Settecento, il Consiglio si riuniva due- tre volte all’anno, sotto la presidenza dei due decurioni più anziani e col maggior numero di presenze nei consigli: fino al 1725 eletti ogni quadrimestre, quindi ogni trimestre, tali presidenti “vecchi di numero” erano estratti dal pretore tra quattordici, quindici nominativi; durante il corso dell’anno, il loro mandato non poteva estendersi oltre il semestre. Nel corso della seduta più importante – quella di gennaio – i consiglieri provvedevano ad eleggere i funzionari del comune e a sovrintendere al sindacato cui i conservatori del patrimonio sottoponevano l’operato dei due cancellieri, del segretario e del ragionato. Quattro decurioni appositamente designati procedevano quindi all’elezione dei prefetti dell’estimo, dei prefetti dell’alloggiamento, dei prefetti del ponte dell’Adda e dei prefetti della Muzza; quindi la seduta prevedeva l’elezione dei quattro riformatori degli abusi e dei sei giudici delle vettovaglie, della strada e della sanità: tutti questi funzionari erano scelti entro il novero dei decurioni. Nelle sessioni successive, oltre a trattare particolari questioni riguardanti la città, il Consiglio procedeva alla ripartizione dell’elemosina fatta alle chiese, all’elezione dei sindaci del contado e dell’oratore, a concedere particolari attestazioni e sottoporre a sindacato l’amministrazione dell’esattore dell’estimo, pure eletto dai decurioni ogni tre anni (Conca 1991).
Alla metà del Settecento, tuttavia, il funzionamento del Consiglio appariva compromesso dalle difficoltà che, più ampiamente, caratterizzavano le famiglie del patriziato cittadino: un’inchiesta promossa dalle autorità austriache nel 1752, in particolare, misi in risalto la riduzione del corpo decurionale della città, ridotto a ventisette famiglie, alcune delle quali in gravi difficoltà finanziarie, nonché le forti tensioni che minavano soprattutto il coordinamento degli organi rappresentativi di città e contado. La riforma amministrativa progettata con la “Pianta delle provvidenze prescritte da S.M. per il regolamento della città e provincia di Lodi del 1755, e precisata ulteriormente nella “Riforma al governo ed amministrazione della città e provincia di Lodi” del 1757, puntò anche a far fronte a tale crisi: oltre a sospendere alcuni decurioni accusati di malversazioni e corruzione, si stabilì che l’elezione dei nuovi decurioni avvenisse “sotto il controllo della città”, ossia “in avvertenza che li soggetti abbiano come immancabile requisito un censo discreto (…) che basti a sostenere decentemente il carattere”: tale limite fu fissato a quattromila scudi d’estimo. Infine si stabilì che il podestà o un suo luogotenente presiedessero alle sedute consigliari (Pianta per il governo di Lodi, 1755; Pianta per il governo di Lodi, 1757).
ultima modifica: 10/01/2005
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