podestà di Lodi sec. XII - 1757
Nell’attività dei primi podestà, attestata a Lodi dal 1180, è possibile ravvisare una qualche continuità con i “potestates” di nomina imperiale inviati in alcune città dell’Italia settentrionale da federico I e documentati anche a Lodi tra il 1159 e il 1166. Il profilo del podestà attivo in città verso la fine del sec. XII era però quello di un magistrato straniero – quindi estraneo al contesto cittadino – che riceveva dalla stessa cittadinanza la delega del potere esecutivo, probabilmente sulla scorta della forte tensione politica innescata negli stessi anni dagli scontri tra le fazioni cittadine. Il nuovo magistrato assuns buona parte delle funzioni del collegio consolare, senza peraltro determinarne la scomparsa; governi podestarili si alternarono anzi a governi consolari fino agli anni Venti del Duecento, quando il podestà presenta un profilo ben definito, quello di un magistrato ordinario, assistito da un giudice e assessore (Caretta 1978; Caretta 1983).
In età visconteo – sforzesca il podestà era la massima autorità cittadina: forestiero, era di nomina ducale, e probabilmente aveva mandato biennale, come risulta dalle serie podestarili conservatesi (Timolati 1887; Santoro 1968). Nell’esercizio della sue funzioni, il magistrato era affiancato da alcuni giudici (uno dei quali con funzioni di vicario), da birri (”barovarii”) e da una propria “familia”: prima di entrare in carica tutti erano tenuti a prestare giuramento di fedeltà, impegnandosi ad osservare gli statuti del comune, fatte salve le disposizioni ducali; al termine del mandato erano tenuti a dar conto del loro operato; a tutti era fatto divieto di ricoprire nuovamente l’incarico prima dello scadere di un quinquennio (Statuta et ordinamenta Civitatis Laudae).
Anche in età spagnola il podestà era al vertice dell’apparato giudiziario cittadino: nominato dal governatore, con l’approvazione del Senato, rimaneva in carica un biennio, ed aveva piena giurisdizione sulla città e sui feudi come maggior magistrato. Mentre la sua attività in ambito criminale era strettamente vincolata al parere del Senato di Milano, aveva piena giurisdizione nel civile, sia pure con facoltà di consultare il collegio dei giureconsulti della città. Alle sue dipendenze, e da lui nominato, agiva il giudice pretorio delle strade e delle vettovaglie che, insieme ai sei giudici locali, sovrintendeva alla conservazione delle strade e all’esecuzione delle disposizioni in materia annonaria; di concerto col podestà operava inoltre anche il commissario delle tratte dei grani. Di norma il podestà esercitava anche funzioni di vicario di provvisione: in questa veste presiedeva il consiglio maggiore della città (senza avere però diritto di voto). La relazione al visitatore de Haro del 1609 ne precisa gli emolumenti: cinquanta lire annue, pari a cento scudi, oltre agli incerti percepiti per le cause civili e criminali (Vigo 1983).
La riforma dell’amministrazione cittadina progettata nel 1755 e attuata nel 1757 rese il podestà il trait d’union tra gli organi centrali e quelli periferici, affidandogli l’incarico di presiedere, in qualità di assistente regio, le sedute della nuova Congregazione del Patrimonio. Spettava inoltre al podestà (o al suo luogotenente) presiedere le riunioni dei due consigli cittadini; la riforma inoltre ne ribadì le competenze come vicario di provvisione nell’ambito del Tribunale delle Vettovaglie, Strade Pubbliche e sanità, unitamente a quattro decurioni eletti come giudici (Pianta per il governo di Lodi, 1755; Pianta per il governo di Lodi, 1757; Fusari 1986).
ultima modifica: 19/01/2005
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