congregazioni del contado di Lodi 1596 - 1760
L’organizzazione del territorio lodigiano fu caratterizzata sino all’epoca delle riforme teresiane dalla separazione amministrativa della città Ð Lodi Ð dal restante territorio Ð il Contado. Quest’ultimo, suddiviso nelle quattro circoscrizioni amministrative dei Vescovati, venne rappresentato per quasi due secoli dalle Congregazioni del Contado, precisamente la Congregazione Generale, o Maggiore, e la Congregazione Minore.
Alla formazione della Congregazione Generale concorrevano i deputati scelti dalle 32 comunità principali, o ’vocali’ Ð ovvero con voce in capitolo Ð dei Vescovati (otto per ciascuna circoscrizione), i quali si facevano carico anche delle istanze delle comunità minori.
Priva di potere esecutivo o decisionale forte, la Congregazione Maggiore aveva il compito fondamentale di eleggere i ministri degli altri organismi del Contado. Per fare fronte a tale impegno, i deputati che la costituivano si riunivano a Milano Ð in teoria con cadenza biennale, nella realtà dei fatti con minore regolarità Ð alla presenza di un rappresentate statale, uno dei segretari della Cancelleria Segreta. Nel corso delle riunioni si procedeva anche alla valutazione Ð poco più di una formalità Ð dell’operato svolto nel periodo precedente dalla Congregazione Minore.
Proprio la Congregazione Minore, non sottoposta alla supervisione regia, era l’organismo centrale dell’amministrazione del Contado: a questo ente, infatti, competeva sia il potere decisionale sia quello esecutivo. Si riuniva a Lodi, nella ’Casa del Contado’ sita sino al 1657 nella vicinia di S. Lorenzo e, successivamente, in quella di Sant’Agnese (Archidata Lodi).
Componevano la Congregazione Minore quattro sindaci, altrettanti sovraintendenti (uno per Vescovato) e due avvocati (uno residente a Lodi e uno a Milano); costoro si avvalevano della collaborazione di figure di minore portata: il cancelliere e il ragionato del Contado (quest’ultimo responsabile della contabilità e affiancato dal 1731 da un vice ragionato e da uno scrittore).
L’elezione dei sindaci Ð scelti tra i candidati che potevano vantare cospicui interessi fondiari nel Territorio Ð avveniva in linea di massima con cadenza biennale secondo un sistema articolato.
L’insieme delle candidature avanzate da tutte le comunità del Contado per l’incarico di sindaco subiva una prima scrematura ad opera dei deputati della Congregazione Maggiore. Successivamente i rappresentanti del corpo civico Ð i decurioni di Lodi Ð operavano l’ultima e definitiva selezione dei prescelti. La selezione dei sindaci accanto all’obbligo di sottoporre ai decurioni i conti della provincia al termine del loro mandato, nonché alla scelta degli avvocati delle Congregazioni, costituivano i segni più evidenti dell’influenza e ingerenza della città sul contado a dispetto della suddivisione amministrativa.
I sindaci erano nominati due per volta: i neo eletti erano destinati infatti a sostituire i due sindaci ’anziani’ al termine del mandato quadriennale. Il cursus honorum di sindaco prevedeva infatti nel primo biennio la cura in loco degli interessi del Territorio: i due sindaci neo eletti Ð detti forensi Ð restavano quindi nel Vescovato di competenza ed erano trasferiti uno a Milano e uno a Lodi solo nella seconda parte del mandato.
I sindaci erano i responsabili dell’intera struttura amministrativa del Territorio: erano tenuti a mantenere costantemente informato il corpo del Contado della situazione amministrativa e finanziaria, e, come abbiamo già detto, dovevano presentare un puntuale rendiconto amministrativo sia ai decurioni di Lodi sia ai sindaci entranti. La centralità del loro incarico spiega le pressioni che la città esercitò costantemente nel tentativo di mantenerne almeno parzialmente il controllo (a partire dal meccanismo di elezione).
Meno soggetti alle pressioni cittadine erano invece i sovrintendenti, scelti dalla Congregazione Maggiore senza alcun veto da parte dei decurioni. Proprio i sovraintendenti costituivano il trait d’union più forte tra le istanze delle singole comunità e le autorità provinciali. La carica di sovraintendente era sempre rivestita da abitanti del Contado: per potere essere eletti si dovevano inoltre avere interessi Ð non necessariamente proprietà Ð nel Vescovato del quale si assumeva la rappresentanza.
I compiti dei sovraintendenti erano inerenti al delicato ambito fiscale: in particolare spettava loro la suddivisione tra le comunità dei carichi imposti dalle autorità centrali attraverso l’elaborazione bimestrale della taglia (le cinque provisionali e quella generale di chiusura di fine anno).
Il loro incarico li portava a trasferirsi costantemente da una comunità all’altra con pesanti aggravi per il bilancio del Territorio. Gli importanti rimborsi spese presentati Ð sollecitati non da ultimo anche dalla mancanza di una retribuzione fissa Ð uniti alla poca trasparenza dei bilanci e della documentazione prodotta posero sovente i sovraintendenti al centro delle proteste indirizzate dalle Comunità alla Congregazione Minore. Nel tentativo di controllare maggiormente l’operato di questi funzionari, la Congregazione Minore in un primo tempo tentò di diminuire le occasioni di trasferta stabilendo che fossero le stesse Comunità a richiedere a loro spese l’intervento del sovraintendente (1731); successivamente decretò che l’elaborazione delle taglie fosse effettuata durante le periodiche riunioni della Congregazione (1738).
La riscossione dei carichi imposti alle Comunità e la distribuzione dei compensi dei funzionari e ministri del Contado, era compito del Commissario del Contado. Era questo un incarico delicato e di responsabilità poiché il prescelto rispondeva in proprio delle somme raccolte e trasportate. Indice della sua importanza è da una parte la malleveria che veniva richiesta ai candidati e, dall’altra, l’alto compenso assegnato loro.
In caso di Comunità morose, il Commissario poteva pretendere una percentuale Ð fissata nei capitoli del suo contratto Ð sulla somma dovuta; era lo stesso Commissario, inoltre, a dovere anticipare le somme non versate a tempo debito.
Il patrocinio e la cura legale degli interessi del Contado vennero affidati a due avvocati, eletti con carica a vita, uno residente a Milano e uno a Lodi; a partire dal 1742, in ottemperanza ad una votazione della Congregazione Maggiore, il Contado rinunciò al rappresentante a Milano.
L’elezione ordinaria dei due patrocinatori competeva alla Congregazione Maggiore; in caso di morte di uno dei due avvocati, però, la Congregazione Minore aveva il diritto di intervenire eleggendo un sostituto in attesa della successiva convocazione dei deputati.
Quest’ultima cercò costantemente di sottrarre la nomina degli avvocati alla Congregazione Maggiore, ovvero all’influenza dei ceti dirigenti cittadini. La tensione tra i due Corpi divenne notevole quando le autorità lodigiane fecero sentire tutto il peso della loro azione ribadendo da una parte le competenze della Congregazione Maggiore, e, dall’altra, la condizione indispensabile di dottori collegiati e decurioni di Lodi per poter essere eletto avvocato (1738).
Nel suo operato l’Avvocato del contado era affiancato da un cancelliere, solitamente un notaio o un causidico, che era responsabile della stesura dei documenti relativi al Territorio nonché dei registri della Congregazione Minore.
L’organizzazione del territorio, la struttura istituzionale delle Congregazioni e le competenze dei singoli funzionari restarono invariate sino alla metà del secolo XVIII quando, con la “Pianta delle provvidenze prescritte descritte da sua maestà per il regolamento della città e provincia di Lodi” edita il 13 ottobre 1755 venne meno l’amministrazione autonoma del Contado.
Le riforme elaborate dal governo teresiano divennero esecutive nel 1760: le competenze delle congregazioni del Contado vennero assunte dalla Congregazione dei prefetti del patrimonio della città e provincia di Lodi (Manservisi 1969; Archidata Lodi; Fusari 1986).
ultima modifica: 19/01/2005
[ Saverio Almini ]
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