amministrazione della città e della provincia di Lodi 1757 - 1786
I principi di uniformità e accentramento che avevano presieduto al rinnovamento delle amministrazioni comunali, attuato con la Riforma al Governo e Amministrazione delle Comunità dello Stato di Milano emanata nel dicembre 1755, furono assai meno presenti nelle successive riforme provinciale. Rimase la sproporzione tra il ducato di Milano, che secondo il nuovo compartimento territoriale comprendeva ben 896 comunità su 1462 e le altre province, fu mantenuta la separazione di alcune terre non soggette, per antichi privilegi, ad un unico capoluogo, ma soprattutto l’unificazione amministrativa, resa necessaria all’interno di ciascuna provincia dal venir meno delle antiche distinzioni tra estimi civili ed estimi rurali, fu attuata in forme e modi tali da salvaguardare largamente il predominio della città sulla campagna e i privilegi dei vecchi ceti decurionali (Capra 1987).
Strettamente collegata alle operazioni di censimento per il Catasto teresiano e animata dal medesimo progetto politico (Mozzarelli 1982), la riorganizzazione amministrativa della Lombardia austriaca elaborata dal Real Giunta del Censimento, presieduta da Pompeo Neri, si concretizzò nel 1757 con la pubblicazione del nuovo Compartimento territoriale dello Stato di Milano (editto 10 giugno 1757).
Per il contado lodigiano, articolato in 24 delegazioni, si deve fare riferimento alla “Pianta delle provvidenze prescritte da Sua Maestà per il regolamento della Città e Provincia di Lodi” emanata il 13 ottobre 1755 e la “Riforma al Governo e amministrazione della Città e provincia di Lodi del 19 dicembre 1757: con la promulgazione di quest’ultimo editto il contado lodigiano si allineava, con qualche ritardo, alle altre provincie delle Stato che già avevano provveduto ad aderire alla volontà governativa.
La riforma del 1755, in particolare, era orientata a porre rimedio al diffuso clima di disordine e corruzione del ceto decurionale lodigiano che già alcuni anni prima aveva attirato l’attenzione del governo.
Un primo tentativo ’amichevole di porre rimedio sulla corruzione del ceto decurionale fu fatto tra la fine degli anni ’30 del secolo e la metà degli anni ’40. Fallito per la resistenza opposta dai decurioni, le lungaggini burocratiche e da ultimo per la morte del responsabile dell’inchiesta (il senatore Opizzoni), nel 1752 Maria Teresa avviò nuovamente il procedimento. I risultati dell’inchiesta, affidata al marchese Giovanni Corrado, si concretizzarono nella promulgazione dell’editto del 13 ottobre (Pianta per il governo di Lodi, 1755).
Al centro dell’interesse dei riformatori era il ceto decurionale, tradizionale detentore di alcuni di quei privilegi che la riforma fiscale e amministrativa intendeva rivedere in nome di un maggiore controllo governativo e accentramento. Ciò non significò, per altro, né lo smantellamento né l’allontanamento dei decurioni dalle cariche pubbliche: più semplicemente il governo centrale intendeva controllare con maggiore efficacia la struttura amministrativa dello stato. Così, se da una parte i consigli maggiore e minore della città continuarono a sussistere, dall’altra vennero ridimensionati nelle competenze e nel numero dei componenti.
Elemento fondamentale per la partecipazione al governo della cosa pubblica divenne non più la ’nobiltà di sangue, bensì il censo: sia per l’eleggibilità nel Consiglio sia per quella a prefetto della Congregazione di Patrimonio che sostituì le precedenti Congregazioni del Contado Ð, infatti, condizione fondamentale era il possesso di non meno di 4000 scudi d’estimo. A differenza di quanto accadde in altre province dove il ceto decurionale costituiva anche una forza economica importante Ð ad esempio Cremona –, quello lodigiano, in crisi già nell’epoca precedente, dovette fare posto nell’amministrazione pubblica ad altri protagonisti: solo due degli otto componenti la Congregazione dei Prefetti erano ad esempio scelti dai decurioni (Cuccia 1971): gli altri erano espressi dai Possessori abitanti in città (due), dai Possessori abitanti fuori città (due) e dai possessori abitanti a Milano (due) (Riforma per il governo 1757).
All’amministrazione della città e provincia di Lodi, unite per la prima volta in un unico corpo, provvedevano quindi la Congregazione dei Prefetti al Patrimonio, il Consiglio generale e il Consiglio Minore (composto da otto membri con potere esecutivo). A differenza delle altre provincie, la supervisione e il controllo governativo furono rappresentati non dal Delegato Regio ma dal Podestà o, in sua vece, dall’avvocato fiscale, assistente regio con il compito di presiedere alle sedute della neonata Congregazione (Fusari 1986). A quest’ultima spettava, di fatto, l’ordinaria amministrazione della città e della provincia: era diritto/dovere dei prefetti deliberare in materia di spese, proporre al Consiglio generale l’imposizione di nuove imposte (la cui approvazione restava comunque subordinata al parere del Regio Tribunale), provvedere al pagamento dei debiti in scadenza, curare “la giornaliera erogazione del denaro pubblico” approvando i mandati di pagamento redatti dal Consiglio Minore. Le spese straordinarie richieste dalla Congregazione dovevano però essere approvate dal Consiglio Minore; viceversa i Prefetti erano tenuti a pronunciarsi in merito alle spese necessarie alla città; a costoro fu inoltre attribuita la facoltà di esaminare in prima istanza le cause in materia fiscale e, in generale, le cause fra comunità e privati e fra le stesse comunità, fatto salvo il ricorso al Regio Tribunale della capitale (Pianta per il governo di Lodi, 1755; Pianta per il governo di Lodi, 1757).
La Riforma del 1757 non comportò per la provincia di Lodi sostanziali modifiche territoriali rispetto all’assetto precedente. Le variazioni più significative consistettero nello scorporo dalla città dei Chiosi e di Vigadore con Riolo e Portadore, nell’aggregazione del comune di Corte Sant’Andrea, in precedenza inserito nella Pieve di San Giuliano, e nella cessione di Roncadello alla Gera d’Adda, pieve del Ducato di Milano. In seguito alla riforma la provincia di Lodi venne ripartita in 24 delegazioni; queste circoscrizioni territoriali erano composte da un numero variabile di comunità su cui svolgevano funzioni di controllo amministrativo il cancelliere delegato, nuovo organo dell’amministrazione periferica previsto e attivato dalla riforma stessa: le comunità del Vescovato Superiore erano ripartite nelle delegazioni I-VII, le comunità del Vescovato di Mezzo erano ripartite nelle delegazioni VIII-XIII, le comunità del Vescovato Inferiore erano ripartite nelle delegazioni XIV-XXIV (Fusari 1986; Stroppa 1994).
ultima modifica: 19/01/2005
[ Saverio Almini ]
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