comune di Mantova sec. XII - sec. XVI
Le origini del comune di Mantova sono strettamente legate all’iniziativa episcopale, in funzione antifeudale: se la conferma dei privilegi da parte di Enrico V del 1116 segnava l’inizio della vita autonoma del comune di mantova, città precedentemente soggetta ai Canossa, ricevendone il riconoscimento sul piano politico amministrativo (Piani Mantova 1967), a metà del sec. XI si definiva il primo embrione di uffici comunali, legati ai privilegi relativi al conio di monete da parte del vescovo, (Mantova 1958-1963) e nel 1126 per la prima volta si ha menzione del comune cittadino, “il quale si poneva come l’erede effettivo del diritto comitale matildico” (Vaini 1986 b). Se all’inizio del XII secolo i mantovani erano governati da sei consoli (1126), denominati anche rettori, nel 1198 ai consoli, portati a nove membri, il più anziano dei quali era chiamato governatore ed era coadiuvato da un un vicario e da un assessore, si aggiungevano tre giudici, detti “procuratores sive iudices”, che amministravano il civile e il criminale (Mantova 1958-1963). Nel corso del secolo successivo queste magistrature venivano affiancate da diversi altri organi comunali (consiglio generale, consiglio di credenza, massaro, ecc.), che compaiono via via negli atti. Tuttavia per avere un’idea complessiva dell’organizzazione comunale bisogna far riferimento agli statuti bonacolsiani, redatti nei primi decenni del sec. XIV, anche se si ha notizia dell’esistenza di altri codici statutari che risalirebbero al 1116, subito dopo l’istituzione del comune, al 1202, in occasione di un trattato di pace tra Mantova e Verona, e al 1217 quando veniva sottoscritto un patto di alleanza fra gli eredi di Azzo VI d’Este e i mantovani (Mantova 1958-1963; Vaini 1986).
I principali organi previsti dagli statuti bonacolsiani, la cui struttura “ubbidisce all’intima logica della signoria, che restringe nelle sue mani l’esercizio del potere e rappresenta la base di tutta la costruzione” ( Vaini 1986), erano il podestà con la sua “familia”, il consiglio maggiore o generale, il consiglio dei sapienti. Questi due organi consiliari, rappresentanti della “democrazia comunale erano stati esautorati dalla creazione dei dodici anziani che formavano il consiglio privato dei signori” (Vaini 1986). Accanto a questi organi, i principali uffici erano quelli dei giudici, dei consoli di giustizia e del massaro, coadiuvati da consistente numero di notai. Di questi il podestà, i giudici e i militi del podestà potevano essere forestieri. Vi era inoltre una serie di funzionari o “officiales” che per essere nominati dovevano “essere cittadini mantovani di età non inferiore ai 15 anni, originari od abitare nella città e nell’episcopato da almeno venticinque anni”. Dovevano inoltre “pagare fodro e scuffie, avere proprietà valutate in cento lire piccole in beni immobili da almeno due anni all’atto dell’elezione, nonché andare ’in exercitibus et cavalcatis cum comuni MantuÈ”. Erano eletti per sorteggio effettuato da un religioso, divisi per quartiere, e rimanevano in carica per sei mesi. Potevano essere rinominati “dopo un intervallo di un anno, ridotto a sei mesi per gli ufficiali dei giudici, salvo il diritto dei signori di invalidare le elezioni” (Vaini 1986). Fra questi funzionari vi erano gli ispettori “accusatores”, dei quali “ben ventisei addetti all’annona, ai portatori di vino, alle prostitute e ai ruffiani, ai pesi e misure, al contrabbando, ai rivenditori, – quattro per ogni ufficio-; uno ciascuno per i fornaciai e il mercato del pesce” (Vaini 1986). Vi erano i campari, che avevano il compito di vigilare sui vignali, i vimedri e i penzaroli, che erano deputati alla custodia delle valli, e i dugalieri (Vaini 1986). L’ordine pubblico era garantito, oltre che dai “custodes noctis”, anche dai “domini noctis”, ai quali si aggiungevano i “boni viri et fidelis” (Vaini 1986). Altri organi del comune erano il “sindicus”, che era preposto alla revisione della contabiltà, i revisori dei conti, che controllavano la contabilità dei singoli ufficiali del comune, il sacrista communis” che aveva in custodia gli archivi, il “dictator” e il notarius ad reformationes consiliorum”, che redigeva i capitoli che i rettori proponevano e sui quali deliberava il consiglio (Mantova 1958-1963; Navarrini 1988). Vi erano infine una serie di funzionari che erano addetti allo stretto controllo delle attività economiche e commerciali che si svolgevano in tutto il territorio mantovano. Nei diversi porti fluviali, sui ponti, alle porte della città ogni merce veniva ispezionata, bollata e tassata del dazio da una moltiplicità di funzionari, come per esempio il “notarius sigilli mercimoniorum” che controllava i sigilli delle mercanzie provenienti da Governolo e in transito da Mantova, registrandone i dati qualificanti (conduttore, provenienza, destinazione, quantità, qualità, valore, ecc.), o il massaro della tavola grossa o del daciolo, che, assistito da un notaio, incassava il dazio al ponte dei Mulini (Vaini 1986).
La giurisdizione entro la quale gli statuti erano applicati, oltre che alla città e ai suoi sobborghi detti vignali, si estendeva a tutto il distretto mantovano, che “era rimasto sostanzialmente quello del periodo canossiano. A nord la linea di confine correva subito dopo Volta Mantovana e Cavriana; ad ovest erano mantovani S. Martino Gusnago e Piubega; a sud il fiume Zara separava il mantovano dal reggiano; ad est il territorio si estendeva da Roverbella a Serravalle a Po, e alla destra del Po, fino a Goltarasa (oggi Stellata)” (Vaini 1986). Il distretto mantovano agli inizi del sec. XIV si divideva in quattro parti, secondo la divisione dei quartieri cittadini (città vecchia o Santo Stefano, San Giacomo, San Martino e Quartiere Maggiore o di San Leonardo). Delle centoquaranta ville del distretto, quaranta (poste nella zona alla sinistra Mincio, e attuale destra Secchia, comprese tra Castel Bonafisso (oggi Castelbelforte) a nord e Goltarasa (oggi Stellata) a sud-est) facevano riferimento al quartiere di Santo Stefano, e venticinque (poste nella parte occidentale, comprese tra Buscoldo e Marcaria e tra Castellucchio e Torre dell’Oglio) facevano capo a San Giacomo. Trentasette ville invece dipendevano dal quartiere di San Martino (zona a sud, compresa tra la destra Mincio e l’attuale sinistra Secchia), mentre le ultime trentotto facevano riferimento al Quartiere Maggiore (zona a nord di Castellucchio e di Marmirolo). Del distretto mantovano facevano inoltre parte la cosiddetta “Regola Padi” e l’isola di Revere, soggette all’episcopato reggiano. In ogni villa o borgo vi erano di regola due consoli che, coadiuvati da spatari e campari, amministravano “il potere civile e militare agli ordini del podestà cittadino e degli stessi Bonacolsi, prestando ’securitatem” –cauzione- al massaro di Mantova”. Era prevista inoltre la possibilità di eleggere dei sindaci per risolvere questioni particolari (Vaini 1986).
Nel 1328 i Gonzaga presero il potere ed “esercitarono tutti i poteri concessi senza alcuna limitazione e in tal senso modificarono anche le precedenti disposizioni statutarie” (Vaini 1994). Nei nuovi statuti, emanati nel 1404 da parte di Francesco IV Gonzaga, a cui la comunità “subditam se constituit eidem renuntiando omnem iurisditionem ac bona omnia” (Relazione magistrato Mantova, 1729), e “sui quali praticamente continuerà a reggersi il ducato di Mantova sino alla sua fine” (Mantova 1958-1963), vengono riconfermate le principali magistrature comunali, e ne sono istituite altre. Le figure del podestà, con la sua “familia”, e del massaro erano affiancate da nuovi funzionari come il giudice delle appellazioni, il giudice degli argini, il massarolo, il giudice delle condanne e delle gabelle, che veniva unito in seguito all’ufficio del giudice delle appellazioni, dando origine al giudice dei dazi e delle appellazioni, (Mantova 1958-1963). Erano confermati anche organi come il consiglio maggiore o il consiglio minore, anche se “quando praticamente sia cessata la loro attività non sappiamo precisare” (Mantova 1958-1963). Da una relazione del magistrato arciducale del 1729, si specificava che le strutture di governo comunale erano definitivamente scomparse con Guglielmo Gonzaga nella seconda metà del ’500, quando al massaro venne sostituito il magistrato camerale (Relazione magistrato Mantova, 1729; Mozzarelli 1998; Azzi 1993: vedi introduzione di Salvadori). Da allora, scrive Amadei, storico del ’700, il comune “divenne come un vocabolo ignoto ed inusitato” (Amadei 1955-1957).
ultima modifica: 01/12/2006
[ Giancarlo Cobelli ]
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