podestà di Mantova sec. XII - 1786
Secondo quanto disponevano gli statuti bonacolsiani, il podestà, che poteva essere forestiero, secondo l’uso introdotto già nel 1187 e divenuto sempre più frequente dal 1207, con la sua “familia”, formata da cinque giudici, due militi, otto servi e dodici cavalli, di cui tre da battaglia, era nominato dai signori “proprio motu et voluntate propria” e durava in carica sei mesi o ad arbitrio del signore. Il podestà, che rappresentava “solamente il gradino più alto degli uffici centrali, privato di un potere effettivo derivato dagli statuti stessi”, prestava giuramento con tutti i membri della sua famiglia per “manutenere et augmentare honorem et iurisdictiones et iura dominorum vicariorum Mantue” e abitava nel palazzo comunale. Amministrava la giustizia, rappresentava la città e guidava le ambascerie. Aveva compiti anche in campo militare, essendo a capo dell’esercito. Il podestà era tenuto inoltre a presentare ogni trimestre al consiglio generale un bilancio preventivo redatto secondo “il principio di incrementare le entrate e ridurre le spese” (Vaini 1986 b; Mantova 1958-1963). Come detto, dal podestà dipendevano cinque giudici. Due avevano sede nel palazzo vecchio e si occupavano rispettivamente del banco del maleficio, che amministrava la giustizia penale, oltre a svolgere altre incombenze come il controllo sui pesi e le misure, e del banco delle condanne, che aveva il compito di incassare il “pagamento delle condanne e di ogni altro diritto di pertinenza comunale” (Vaini 1986 b). Gli altri tre avevano sede nel palazzo nuovo e attendevano rispettivamente al banco del paradiso “ad rationes reddendas”, al banco dell’inferno o degli argini, che aveva giurisdizione sui danni procurati alle vie di comunicazione, ai canali e fossati della città e distretto di Mantova, che doveva mensilmente ispezionare con i suoi notai, e ai vignali, ed infine al banco dei danni dati. Il salario di quest’ultimo era a carico del comune di Mantova. I giudici potevano inoltre “intervenire nelle cause di seconda istanza e in tutta una serie di controversie di carattere economico ” (Vaini 1986 b). I giudici erano coadiuvati da diciotto notai, divisi tra i cinque banchi nel seguente modo: due al banco dell’inferno o degli argini, quattro ciascuno ai banchi del maleficio, del paradiso e delle condanne, due ciascuno al banco dei danni dati e “quello deputato ai libri dei banditi, custoditi dai frati del Gradaro, alle emancipazioni e ai testamenti” (Vaini 1986 b).
Negli anni quaranta del trecento compare la figura del podestà del comitato, “per cui viene da pensare che essi [i Gonzaga] abbiano creato tale carica per il controllo delle campagne, più tardi amministrate dai vicari, che dipendevano direttamente da loro” (Vaini 1994).
Negli statuti gonzaghesci emanati nel 1404 da Francesco IV Gonzaga, la figura del podestà appare notevolmente ridimensionata rispetto al passato. Nominato dal capitano del popolo, il podestà poteva rimanere in carica “prout videbitur domino capitaneo” (Mantova 1958-1963). Era accompagnato dalla sua “familia”, composta da tre giudici, due militi, quattro servi e un paggio, un conestabile con venti sbirri armati con un altro paggio, un cuoco cantiniere e due aiutanti (Vaini 1994; cfr Mantova 1958-1963). I giudici, il conestabile e i militi dovevano essere forestieri e non aver abitato a Mantova per due anni prima della loro nomina, mentre per i quattro servi tale periodo era ridotto ad un solo anno (Mantova 1958-1963). Accanto a questi funzionari agivano ventinove notai, distribuiti nei vari banchi, alle dipendenze del podestà e dei giudici (Vaini 1994).
I poteri del podestà risultano assai ridotti rispetto al passato, essendo solamente “iudex ordinarius omnium et singularum causarum civilium mixti imperii et iurisdictionis seu cuisvis generis et speciei seu nature spectantium ad forum et jurisdictionem comunis Mantuae” (Vaini 1994). Aveva perso ogni competenza in materia fiscale sui rustici, sui comuni delle ville, di competenza esclusiva dei vicari, e sui cittadini e non poteva occuparsi in controversie spettanti ad altri uffici comunali (Vaini 1994). Dei tre giudici della “familia” del podestà, il primo, che era chiamato anche vicario in quanto aveva il compito di esercitare le veci del podestà, doveva essere laureato in legge, con l’obbligo di presentare entro otto giorni dalla sua nomina le sue credenziali al massaro del comune. Egli doveva rendere giustizia nelle cause civili ed era tenuto a sedere accanto al podestà, nel banco dell’aquila imperiale, nel palazzo del comune. Il secondo e il terzo giudice, ai quali non era richiesta la laurea in legge, amministravano la giustizia rispettivamente nelle cause civili, fino ad un valore di venticinque lire, e nelle cause criminali, e sedevano nel banco del paradiso e nel banco dell’inferno (Mantova 1958-1963).
La magistratura di podestà venne abolita tra il 1467 e il 1481, sostituito da un vicepodestà (Mantova 1958-1963; Mozzarelli 1987). Quando nel 1481 la carica di podestà veniva ripristinata, era trasformata la sua funzione, “staccato dalla sua matrice comunale e reso disponibile alla cooptazione del nuovo sistema statuale attraverso la sua rilettura come praetor, mero giudice cittadino” (Mozzarelli 1987).
Dalla “specificazione dell’attuale sistema de’ tribunali di Mantova” del 1737, il podestà di Mantova era “giudice ordinario di prim’istanza per tutte le cause che non appartenghino destintamente al senato o maestrato, non solo nella città di Mantova, ma eziandio nello stato rispetto cioè alli minori giusdicenti, a quali è limitata la giudicatura, talchè se le cause di simili giudici territoriali trascendino la somma di loro cognizione, appartengonsi al podestà di Mantova”. Le sue sentenze o “decreti” erano soggette “all’appellazione o ricorso al senato”. Poteva essere supplito dal vice podestà, ed era coadiuvato da dodici attuari pretori, “avendo ogn’uno di loro il sostituto e gli occorrenti scrittori”. Il “seggio” del podestà e i banchi degli attuari erano nel Palazzo della Ragione. Il podestà teneva regolarmente le proprie udienze il martedì, giovedì e sabato “dÈ giorni giuridici” (Sistemazione tribunali di Mantova, 1737).
Nel 1750, in base al piano de’ tribunali ed uffici della città e ducato di mantova (piano 15 marzo 1750), il podestà di Mantova era in carica per un triennio ed era soggetto al “sindacato”. Egli aveva “l’ordinaria giurisdizione civile in tutte le cause della città di Mantova, il valor delle quali non ecceda il capitale di scudi quattromila moneta mantovana”. Egli aveva giurisdizione anche nel territorio per le cause eccedenti il valore di cento scudi, limitatamente ai distretti delle preture di limitata giurisdizione. Aveva inoltre “la compulsoria de’ compromessi necessaria alla forma dello statuto mantovano; la redibitoria comulativa, come a basso, per gli animali contrattati in detta città; e la interposizione parimente comulativa de’ decreti per le emancipazioni, adozioni, contratti de’ minori e delle donne, per le tutele, cure ed altri quali si siano atti di volontaria giurisdizione, nÈ quali richiedesi il decreto del giudice”. Il podestà era assistito nella sua attività da sei notai attuari con i rispettivi coadiutori. Uno di questi notai era tenuto ad assistere anche al giudice del paradiso (piano 15 marzo 1750).
ultima modifica: 10/01/2005
[ Giancarlo Cobelli ]
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