tribunale di provvisione sec. XVI - 1786
Nel 1515 i preparativi di Francesco I, re di Francia, per una nuova spedizione volta alla riconquista del Milanese, spinsero il duca Massimiliano Sforza a “raccomandarsi” agli eserciti mercenari svizzeri e ad imporre una nuova taglia di trecentomila ducati per far fronte alle spese di guerra. Ma la cittadinanza milanese non accettando l’ulteriore imposizione si sollevò e delegò ai “sindaci”, eletti nelle parrocchie cittadine, l’elezione dei “soliti” ventiquattro cittadini, nominati nei momenti difficili per provvedere ai bisogni più urgenti. Dopo una lunga serie di trattative i “ventiquattro” proposero al duca “un mezzo conciliativo”: a nome della città, si dichiaravano infatti disposti ad “erogare” al duca 50.000 ducati – pari a 200.000 lire imperiali – purché lo Sforza si impegnasse a vendere alla città alcune entrate e ad elargire alcune concessioni (Verga 1894).
Stretto dal bisogno, lo Sforza accettò le condizioni imposte dalla cittadinanza e con l’istrumento 11 luglio 1515 si impegnò a vendere e concedere quanto richiesto dai “ventiquattro”. L’istrumento si apriva infatti con la “vendita e consegna alla città di Milano dei Navigli Grande e della Martesana, delle acque, alvei, e rive loro e dei fossati navigabili, dei diritti di esse acque spettanti al governo e di ogni reddito ed emolumento che da esse proviene, salvo le vendite e donazioni fatte dal duca o dai suoi predecessori sino al 24 giugno 1515 [giorno in cui venne promulgata la grida che abrogava la imposizione della taglia di 300.000 ducati]; e al diritto di esigere e riscuotere qualsiasi reddito d’entrambi i navigli va unito l’obbligo di mantenerli sempre navigabili fino a Milano” (Verga 1894, p. 334-335).
Ma oltre a queste rendite il duca concedeva alla città, in perpetuo, il diritto di eleggere il vicario ed i dodici di provvisione, i sindaci, il tesoriere e tutti gli officiali da essi dipendenti, oltre ai giudici delle vettovaglie e delle strade.
E ancora lo Sforza delegava al Vicario ed ai dodici di provvisione il diritto di controllare il peso del pane di farina e di frumento e di multare i contravventori. Con questa concessione si veniva attribuendo al Vicario ed ai dodici di provvisione una funzione di tutela sociale. Il diritto di verificare la “pesa del pane” – le cui operazioni di concessione, nel corso del XV secolo, erano state dai duchi attribuite a persone loro favorite – era assai ambito: con l’oscillare dei prezzi del frumento, variava non il prezzo del pane, che al contrario veniva mantenuto costante, bensì il peso della “pagnotta”. È facile immaginare come tale sistema rendesse facili e numerosi gli abusi e quindi ambito da molti il diritto di verificarne il peso, poiché allettati dalle multe che spesso andavano a profitto dell’officiale incaricato di rilevare le eventuali contravvenzioni.
L’istrumento del 1515 stabiliva inoltre – anche se in via provvisoria – le modalità di nomina dei membri del Tribunale di provvisione: i cittadini dovevano scegliere 150 deputati ai quali spettava l’elezione del vicario – dal 1385 nominato direttamente dal duca e scelto tra persone “forestiere” – e dei dodici di provvisione, due membri dei quali dovevano essere scelti dai giurisperiti tra i membri del collegio medesimo (Verga 1894).
Tuttavia il metodo di elezione dei membri del Tribunale venne definito qualche anno più tardi, quando, entrato in Milano il re di Francia, Francesco I, i milanesi domandarono al sovrano francese che venissero confermate le concessioni precedentemente fatte dal duca Massimiliano Sforza. Milano richiedeva che ciascuna parrocchia potesse eleggere due sindaci i quali a loro volta avrebbero eletto quattro rappresentanti per ciascuna delle sei porte della città: i “ventiquattro” così scelti avrebbero nominato i 150 deputati, 25 per ogni porta; a questi ultimi si chiedeva venisse delegata la facoltà di nominare, con votazione segreta, il vicario ed i dodici di provvisione. Con tali petizioni la città domandava inoltre che il vicario ed i giudici delle strade e delle vettovaglie venissero sindacati da quattro persone scelte tra i dodici di provvisione, ma soprattutto chiedeva che il vicario fosse – come già aveva disposto il duca Massimiliano Sforza – cittadino milanese, poiché dovendo avere cura “ut civitas rebus omnius quae ad usum et victum pertinent abundet in hisque frau nulla adhibeatur” era più conveniente scegliere tra quelle persone che “ex ipsa civitate oriundi sunt atque in ea versati, utpote qui ad ea quae ad utilitatem eius pertinent ac fraudes in vendendis distrahendisque rebus committentur melius cognoscant quam exteri” (Verga 1894. p. 342).
Tuttavia delle suddette richieste Francesco I approvò più la forma che la sostanza: concesse che il vicario fosse milanese, che la carica fosse annuale e ancora che alla fine del mandato il vicario venisse sindacato, ma non volendo abrogare i diritti antichi del principe, ordinò che i 150 deputati elettori presentassero una terna di nomi da cui egli avrebbe scelto il vicario ed altre tre liste di trentasei nobili da cui avrebbe scelto i dodici, i quali sarebbero rimasti in carica un anno. E ancora il re Francesco I disponeva che il corpo degli elettori non potesse adunarsi senza il suo consenso (Verga 1894).
Le modalità di elezione dei membri del Tribunale di provvisione subirono, nel corso del tempo, lievi modificazioni sino ad essere ufficialmente codificate nelle Novae Constitutiones del 1541. Nel libro quinto si stabiliva infatti che il 31 dicembre di ogni anno i sessanta decurioni, membri del Consiglio generale, dovevano presentare al duca una lista di sei dottori, selezionati tra i membri del collegio dei giureconsulti, fra i quali il duca stesso ne avrebbe scelto uno per la carica di luogotenente all’officio di provvisione, destinato ad essere investito, nell’anno seguente, della carica di vicario. Sempre lo stesso giorno i sessanta decurioni erano ancora chiamati ad eleggere diciotto nobili, tre per ciascuna porta della città: da questa lista di nomi il duca ne sceglieva dieci, fra cui un dottore fisico che, insieme a due persone scelte dal collegio dei giurisperiti tra i suoi medesimi componenti, avrebbero formato il Tribunale di provvisione.
Tuttavia affinché i nuovi membri potessero ogni anno venire a conoscenza delle informazioni necessarie per gestire con continuità la vita politico-amministrativa del comune, due dei dodici di provvisione entravano in carica in luglio e vi rimanevano sino al luglio successivo (Visconti 1913; Sommario Tribunale provvisione, 1613).
Queste disposizioni, codificate dalle Nuove Costituzioni e mantenute inalterate sino al 1786 e in parte sino al 1796, riducevano ai minimi termini le concessioni largite dal duca Massimiliano Sforza.
Fulcro direttivo di tutta la vita cittadina, con ampi poteri in fatto di ordine pubblico, vettovagliamento, regolamentazione delle attività economiche, politica tributaria, assistenza pubblica il Tribunale di provvisione estendeva la propria giurisdizione oltre che sulla città di Milano anche sul suo Contado. Nonostante l’amministrazione ed organizzazione della provincia del Ducato fosse per certi aspetti autonoma rispetto a quella cittadina – dalla seconda metà del Cinquecento e poi ufficialmente dal 1595, nel Contado milanese si era andata organizzando la Congregazione del ducato, impegnata nella gestione e difesa degli interessi delle comunità foresi in perenne conflitti con la città di Milano – l’egemonia cittadina continuava a manifestarsi in diversi settori. L’officio delle strade di Milano, ad esempio, estendeva le sue competenze a tutto il Ducato; gli ordini in materia di vettovaglie, le mete, i calmieri prodotti dall’officio di provvisione avevano giurisdizione anche sul Ducato: anzi il Tribunale di provvisione fissava due mete, una valida per la città ed una per il Ducato, essendo i prezzi praticati in campagna minori di quelli cittadini. L’ingerenza di Milano nella conduzione amministrativa del Ducato si giustificava con l’esigenza, dettata soprattutto da motivazioni politiche e sociali, di controllare i centri di produzione dei generi di prima necessità (Visconti 1913).
In materia annonaria i provvedimenti del Tribunale si estendevano “alla legna da fuoco; alle biade, farine, malossari dei grani, misuratori e conducenti; ai pani, pristini, e molinari; alle carni e beccari; agli olii, grani, sevo, candele e mele; a vettovaglie diverse, frutta e diverse provvisioni; al vino e uve; alle misure per stadere; alla cera bianca e lavorata; alle pescagioni; al fieno e alla paglia; ai corami e confettori; ai legnami da opera, chioderi, e carette da condurre sabbia; alla legna da fuoco; alla calcina; al carbone e carbonina” (Sommario Tribunale provvisione, 1613).
Cura preminente del vicario e dei dodici era ancora il controllo dei prezzi di tutto ciò che veniva venduto nella città e nel Ducato. Il Tribunale di provvisione stabiliva inoltre la misura delle tasse sui generi annonari: chiunque poteva denunciare direttamente al Tribunale o ai giudici delle vettovaglie quei venditori che non le rispettassero; per l’incriminazione bastava la denuncia di un testimone “degno di fede”, al quale sarebbe spettato, come premio per la delazione, metà della multa pagata dal contravventore.
”Pro utiliori commodo civitatis” il giudice delle strade e delle vettovaglie conferivano con il vicario e i dodici, incaricati di controllare il loro operato. Ogni mese dovevano esaminare “diligenter” le entrate e le uscite del comune di Milano per poter quindi provvedere al miglior impiego del denaro, compatibilmente alle necessità del comune e alle disponibilità finanziarie. Insieme con i sindaci, il vicario e i dodici sorvegliavano inoltre che venissero trasmesse al comune le condanne che lo riguardavano e ancora, insieme con il vicario dell’Arcivescovo, erano delegati all’amministrazione del Duomo.
Il Tribunale non legiferava su codici, era il singolo caso a determinare le decisioni, le quali solo nel caso delle gride – provvedimenti più generali strettamente al periodo di carica dei componenti del tribunale che li avevano emessi – rimanevano valide anche per successivi casi analoghi.
I mandati emessi dal Tribunale erano preceduti da una ordinazione fatta collegialmente dal vicario e dai dodici e sottoscritti da coloro che intervenivano all’ordinanza; tali mandati dovevano infine essere tassativamente registrati da un notaio “sopra un libro ben ordinato et computo”. Il Senato stabiliva infatti che il vicario e i giudici delle strade e delle vettovaglie non potessero sottoscrivere “mandato alcuno nisi precedente una ordinanza collegialmente fatta per i vicario e i dodici della quale ne sia rogato uno notario. E puoi tali mandati si sottoscrivano per quelli quali serano intervenuti alla suddetta ordinanza. Altrimenti non vagliano le ordinanze e condennationi pecuniarie quali si faranno alla giornata al detto tribunale, se scrivano subito per il notaro, o canzelero ad questo deputato sopra un libro ben ordinato et computo” (ordine Senato).
Gli interventi del Tribunale in ambito amministrativo possono essere quindi classificati in “preventivi” e “punitivi”: disponendo ordini e provvedimenti il Tribunale si preoccupava infatti di garantire che nei magazzini della città fosse mantenuta costante “l’abbondanza” di grani, vettovaglie e mercanzie; applicando pene pecuniarie – dette multe – pene corporali – quali battiture, fustigazioni – e pene afflittive – come le reclusioni, sospensioni di emolumenti, allontanamento dalle cariche – si assicurava la corretta osservanza della normativa disposta.
Accanto alla funzione amministrativa il Tribunale, in collaborazione con i giudici delle vettovaglie, delle strade e della legna svolgeva anche funzioni giudiziarie su un ambito giurisdizionale assai vasto: esso infatti estendeva la propria autorità su tutte le cause in cui fosse implicata la città di Milano – quali ad esempio reati contro la pubblica amministrazione, l’economia pubblica e il commercio, l’igiene pubblica – e ancora per alcuni reati contro il buon costume e la fede pubblica; territorialmente la sua giurisdizione si estendeva infatti non solo alla città e al suo Ducato, bensì anche a tutti quei territori o città che avessero del contenzioso con Milano. Il Tribunale era giudice ordinario nelle cause civili mosse o da muovere contro il comune di Milano e contro debitori, occupatori e detentori di beni e diritti del comune; era giudice nelle cause in materia di edilizia, di giochi illeciti; e ancora il Tribunale era autorizzato a reprimere le frodi commesse da membri dei paratici milanesi, a punirli e multarli costringendo i debitori dei paratici al pagamento dei debiti (Visconti 1913; Sella 1987).
Il Tribunale di provvisione aveva alle sue dipendenze un rilevante numero di officiali – due procuratori, un “cancelliere delle gravezze straordinarie”, un tesoriere, un ragionatto generale, un “notaro del criminale”, un cappellano, sei usceri detti “bianche e rossi”, sei “trombettieri pubblici perpetui”, quattro “malossari dei grani”, un “custode dell’edificio”, un “custode del mercato dei grani”, uno “sfrancatore di corami”, gli “officiali delle cobbie” un “barigello detto massarolo”, oltre a dodici assessori (Sommario Tribunale provvisione, 1613) – impiegati o negli uffici centrali della Provvisione, in piazza dei Mercanti, o incaricati di farsi portavoce delle decisioni prese dall’Officio, di notificare i mandati, le ordinazioni e le ingiunzioni, di curare l’esecuzione delle condanne. La loro attività era limitata al campo esecutivo, senza alcuna possibilità decisionale nelle materie sottoposte al loro controllo; essi erano pertanto semplici esecutori che, pur preposti ad uffici di rilevante importanza, demandavano ogni decisione all’autorità loro superiore.
Eletti dai dodici di provvisione come “sindaci della comunità” i “due procuratori” duravano in carica due anni e svolgevano funzioni di supervisione e di controllo degli interessi generali della comunità. Ai loro interventi tuttavia non sarebbe stato attribuito alcun valore qualora fossero stati eseguiti singolarmente: per esplicita volontà del Tribunale, teso a difendere la propria sfera di potere, l’autorità di un procuratore era strettamente vincolata a quella dell’altro.
Denominato anche “segretario” il “cancelliere delle gravezze straordinarie” era tenuto a registrare tutte le cause trattate nella Cameretta – altro nome che identificava il consiglio generale milanese – nelle adunanze del Tribunale di provvisione, in quelle dei Conservatori del patrimonio, ed infine anche nelle adunanze del banco di sant’Ambrogio; cause relative ai gravami fiscali che venivano imposti alla comunità nell’eventualità di spese non contemplate nel bilancio.
Il “tesoriere della comunità” teneva i libri di cassa ed il registro delle imprese della città, secondo gli ordini stabiliti del Tribunale di provvisione e dalla Congregazione del patrimonio.
Al “ragionatto generale della città” era delegata la registrazione dei conti di ogni impresa, dei redditi e di tutte le entrate ordinarie e straordinarie; ad un altro ragionatto era invece affidata la compilazione dei ruoli di imposta.
Eletto dai “notai privilegiati di Sua Maestà” – corpo onorario di giureconsulti di nomina sovrana – ed in seguito confermato dal vicario e dai dodici di provvisione; al “notaro del criminale” era invece delegato il compito di registrare tutti i processi che si tenevano nell’interesse della comunità. Il suo officio era tassativamente personale, non potendo essere per nessuna ragione sostituito o “subrogato” da altri. Quale onorario il notaro riceveva di norma il terzo di quanto la comunità incassava per i processi; in occasione poi di processi di “grande somma”, il Tribunale poteva a propria discrezione disporre che gli venisse elargita una gratifica in considerazione delle fatiche e dell’esito del processo, la quale sarebbe andata ad accumularsi allo stipendio che regolarmente gli veniva corrisposto dal tesoriere o che talvolta il notaro stesso tratteneva all’atto del pagamento delle condanne.
Il “cappellano” era incaricato di celebrare la messa nella sede della Provvisione, ogni giorno feriale, prima dell’apertura dei lavori.
Denominati anche “portieri” i “sei uscieri bianchi e rossi” – così chiamati per i colori dei loro abiti a quarti bianco e rosso: il bianco anticamente era il colore dei plebei e il rosso quello dei nobili milanesi, quando i partiti si congiunsero i due colori formarono la coccarda della città – costituivano un corpo di messi, soggetto alla diretta autorità del Tribunale di provvisione.
Durante le udienze pubbliche e private tenute dal Tribunale, dai sessanta decurioni e dai conservatori del patrimonio almeno due dei sei uscieri erano presenti nella sala della provvisione, mentre altri due assistevano il vicario alternandosi ogni settimana secondo le sue disposizioni. I “bianchi e rossi” con i “trombetti” intimavano inoltre le gride e radunavano gli abati dei paratici – cioè i capi delle corporazioni di arti e mestieri – per notificare loro le disposizioni stabilite dal vicario e dai dodici di provvisione. Ai sei uscieri era infine affidato il compito di recapitare gli avvisi e le decisioni prese dal Tribunale di provvisione ai membri del Consiglio generale ed a tutte le persone che, per ragioni varie, si sarebbero dovute presentare presso gli offici di provvisione. Le spese per il vitto e il “nolo della cavalcatura”, che gli uscieri dovevano sostenere durante le trasferte per ragioni di ufficio, erano a carico dell’officio di provvisione.
Ai “sei trombetti pubblici perpetui” era attribuita invece la funzione di pubblici araldi, essendo essi tenuti a richiamare l’attenzione della popolazione sui provvedimenti disposti dal Tribunale di provvisione e diffusi dai “bianche e rossi”; è probabile che ai “trombetti” fossero anche attribuiti incarichi di rappresentanza nelle pubbliche cerimonie e nei cortei.
I “quattro malossari dei grani”, che avevano l’officio nella “Camera” situata nel Broletto Nuovo, detta “camera dei malossari dei grani”, svolgevano la funzione di pubblici mediatori nelle contrattazioni relative alla compravendita del grano da parte della città.
Lo “sfrancatore di corami” era dal Tribunale incaricato di marchiare con il bollo cittadino tutte le pelli nuove prima di immetterle sul mercato per la vendita.
In conformità agli ordini del Tribunale, gli “ufficiali delle cobbie” svolgevano funzioni ispettive in tutti i luoghi del ducato, per quanto riguardava la materia annonaria.
Un barigello detto “massarolo” era deputato alle esecuzioni reali e personali che dovevano essere eseguite entro tre giorni dalla definizione, in città, ed entro sei giorni nel ducato. Di queste esecuzioni il barigello era tenuto a presentare immediata relazione al tribunale di provvisione.
Nominati ogni bimestre in numero di due – quindi per un totale di dodici all’anno – dal collegio dei giurisperiti e specificatamente scelti uno tra i membri del senato, e l’altro tra gli “juniori” dei dodici di provvisione, agli “assessori” era attribuito il compito di “giudici conciliatori”, essendo incaricati di dirimere le controversie di piccolo conto che insorgevano tra la gente del popolo. L’assessore “seniore” poteva inoltre assumere le funzioni di vicario qualora questi fosse stato assente; nel caso in cui anche il seniore non fosse stato disponibile, il Tribunale stabilì che le veci del vicario sarebbero state espletate dall’assessore “juniore”.
E ancora dal Tribunale di provvisione dipendevano anche il giudice delle strade, il giudice delle vettovaglie e il giudice della legna i quali tuttavia, per l’importanza dei settori loro attribuiti, non svolgevano solo funzioni esecutive bensì erano chiamati a partecipare direttamente alle sedute con facoltà, per le materie di loro competenza, di intervento e di voto (Sommario Tribunale di provvisione, 1613).
Il Tribunale di provvisione per la natura stessa del suo officio che lo poneva a capo del comune di Milano, città capoluogo della provincia del ducato e capitale delle stato, era in continuo contatto con l’autorità governativa, rappresentata dal governatore, scelto dal sovrano fra i suoi preferiti collaboratori ed impegnato nella costante difesa degli interessi e diritti della corona. A lui dovevano essere sottoposte le terne dei magistrati e dei funzionari per la nomina, a lui si indirizzavano le istanze e i memoriali dei cittadini che chiedevano giustizia e che domandavano la delegazione di un giudice speciale per dirimere i conflitti di competenza. Riguardo a quelle attribuite al Tribunale di provvisione le Nuove Costituzioni stabilivano infatti che la nomina definitiva dei suoi membri spettasse al “principe”, ma dal momento che questi quasi mai si trovava a Milano saggiamente prevedevano che detta nomina potesse anche spettare “eius Locum-Tenenti”, cioè al governatore.
Più ordinari e di routine erano invece i rapporti tra il Tribunale e il Senato. Tale magistratura definita dalle Novae Constitutiones come politica, fiscale e giudiziaria non entrava, come il Tribunale di provvisione, in diretto contatto con i problemi specifici, bensì li governava dall’alto imponendo al tribunale di provvisione l’applicazione di istruzioni e regolamenti.
Ancor più sistematici erano infine i rapporti tra il Tribunale di provvisione e il Consiglio generale della città che si qualificava sia come organo rappresentativo sia come organo delegato alla sua direzione. Il Consiglio dei sessanta decurioni, insieme al Senato ed al governatore rappresentavano quindi la mente di quanto il tribunale di provvisione andava praticando e doveva andare praticando.
ultima modifica: 19/01/2005
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