congregazione del patrimonio 1758 - 1786
Nel 1758, in seguito al compimento dei lavori catastali ed all’attuazione delle riforme degli ordinamenti locali, venne pubblicata la “Riforma al governo del Ducato di Milano”, secondo la quale si statuì che l’amministrazione della città di Milano e della sua provincia dovesse essere esercitata da un unico organismo rappresentato dalla riformata Congregazione del patrimonio.
Se nel corso nella seconda metà del XVI secolo con l’istituzione della Congregazione del ducato, formata dai rappresentanti delle pievi che componevano il ducato, era stata ufficializzata la separazione tra la città di Milano e il suo Contado soprattutto dal punto di vista della gestione e distribuzione fiscale, con la riforma del 1758 le funzioni della Congregazione del ducato vennero attribuite alla rinnovata Congregazione del patrimonio, la quale estese la propria giurisdizione su tutta la provincia milanese: “dovendosi secondo il sistema del nuovo censimento riunirsi questa capitale con la sua Provincia sotto una sola amministrazione a maggior beneficio dei censiti, si è venuto in determinare che debba costituirsi una nuova Congregazione di Patrimonio nella Città di Milano e appoggiarsi alla medesima l’universale amministrazione tanto per la città che per la provincia” (editto 10 febbraio 1758).
La nuova Congregazione del patrimonio era composta dal vicario di provvisione, dal “tenente regio pro tempore”, da due dottori collegiati, da quattro decurioni, da quattro estimati estranei alla Cameretta – altro nome con cui si identificava il Consiglio generale cittadino – dai due sindaci del ducato e dai sindaci della città. Ma se da un lato la riforma stabiliva chiare disposizioni circa la durata delle cariche – mandato vitalizio per i sindaci e quadriennali per tutti gli altri ufficiali – complicate erano invece le procedure che prevedeva per la loro nomina, soprattutto per quella dei quattro estimati non decurioni.
Infatti mentre i due dottori collegiati, necessariamente esponenti del ceto patrizio ed i quattro decurioni continuavano ad essere eletti dal “governo” tra una terna di nomi compilata dal Consiglio generale cittadino, i quattro estimati non decurioni, venivano eletti sempre dal “governo” ma su nomina da farsi, la prima volta, da un Convocato di “vocali” delle pievi – vocali designati non da tutti i deputati, bensì dai soli primi deputati dell’estimo di ogni comunità – ed in seguito per cooptazione da parte della Congregazione del patrimonio stessa, che avrebbe eletto otto individui, ridotti poi a quattro dal Consiglio generale ed a due dal “Governo”.
Non poteva entrare a far parte della rinnovata Congregazione del patrimonio chi fosse debitore o avesse liti pendenti con la pubblica amministrazione, chi, per interessi personali fosse legato alle imprese civiche o al Banco di Sant’Ambrogio, o ancora chi non riuscisse a dimostrare di possedere almeno sei mila scudi d’estimo annui.
Non potevano inoltre essere ammessi i parenti di primo grado e, in generale, di qualunque grado discensivo di coloro i quali già ricoprivano incarichi al suo interno.
La durata della carica dei “patrimoniali” venne mantenuta quadriennale, secondo la consuetudinaria procedura che, propendendo per un graduale ricambio dei componenti affinché vi fosse sempre qualcuno informato circa gli affari da trattare, stabiliva il rinnovo di metà dei membri ogni due anni. La riforma mantenne in carica i membri della vecchia Congregazione in qualità di “soprannumerari”. E ancora qualora fosse venuto a mancare uno dei conservatori in carica, il successore doveva essere scelto dal governatore tra gli altri due candidati della terna a suo tempo proposta dal Consiglio generale.
Se si esclude la maggiore ampiezza giurisdizionale, le mansioni fondamentali attribuite alla nuova Congregazione del patrimonio rimasero pressoché invariate: “si riterranno gli Ordini vecchi, e le altre regole della Città, ove non siano contrarie al presente Piano”. Immutata rimase anche la subordinazione della Congregazione al Consiglio generale, senza la cui approvazione non poteva effettuare spese straordinarie superiori alla somma di 20.000 lire annue, ricevere anticipi dal tesoriere del comune o ancora contrarre debiti. La Congregazione, che rimaneva giudice di primo grado nelle cause in materia di imposte, era tenuta infine a riunirsi almeno due volte alla settimana – solitamente il lunedì e il giovedì.
Con l’entrata in vigore del nuovo sistema di imposizione ed esazione fiscale e con l’applicazione della riforma amministrativa provinciale di Milano, la Congregazione cessò di ricorrere alla tassazione straordinaria per far fronte alle impellenti esigenze finanziarie dell’erario pubblico.
Secondo quanto stabilito dalla riforma alla fine di ogni anno – o al più tardi entro la fine del mese di gennaio – la Congregazione del patrimonio doveva compilare il bilancio consultivo e farlo pervenire al Consiglio, il quale dopo averlo visionato lo avrebbe fatto a sua volta pervenire al Regio Tribunale affinché fosse approvato. L’approvazione del bilancio consultivo da parte del Regio Tribunale – Tribunale tutorio voluto dal Neri per vigilare sul buon funzionamento del sistema fiscale e per impedire che si verificassero nuovamente i soprusi commessi in passato nella ripartizione e nella determinazione dell’entità dei carichi; Tribunale le cui competenze dopo lo scioglimento della Giunta del censo, avvenuto il 31 dicembre 1757, vennero svolte dalla regia Delegazione iterinale e, dopo che questa venne sciolta definitivamente nel giugno 1761, dal Magistrato Camerale – serviva per liberare gli amministratori cittadini da ogni responsabilità per la gestione amministrativa condotta durante l’anno passato. Una volta approvato, il bilancio ritornava al Consiglio generale e poi alla Congregazione del patrimonio.
Entro il mese di novembre la Congregazione era tenuta inoltre a compilare il bilancio preventivo per la cui redazione si doveva considerare “tanto delle restanze attive, e passive, che possono risultare in fine dell’anno corrente, quanto dell’importanza del Carico, e spese ordinarie, e straordinarie verosimili dell’anno successivo” (riforma 10 febbraio 1758). Anche il bilancio preventivo doveva essere trasmesso al Consiglio generale e poi, insieme alle eventuali considerazioni dello stesso, al Regio Tribunale per l’approvazione, in seguito alla quale il Consiglio generale poteva calcolare l’imposta e pubblicarla. Il bilancio preventivo redatto dalla Congregazione del patrimonio, oltre a specificare “le partite che devono formare l’imposta” doveva prevedere anche il progetto dell’imposta necessaria per soddisfare il fabbisogno annuo dell’amministrazione provinciale. Quindi quando il Regio Tribunale approvava il bilancio preventivo così strutturato, il Consiglio poteva deliberare l’imposta, farla pubblicare ed inviarne una copia alla Congregazione “affinché faccia accudire alla dovuta esigenza nÈ termini corrispondenti al pronto pagamento de Carichi regi”. La Congregazione a questo punto doveva nominare il tesoriere – detto anche “commissario” – incaricato della riscossione dell’imposta tanto nella città quanto nella provincia.
La riforma del 1758 codificava anche le modalità per la nomina del tesoriere: egli doveva essere scelto all’incanto attraverso asta pubblica ed approvato dal Regio Tribunale; la riforma stabiliva inoltre che la durata della sua carica e le condizioni del contratto fossero a discrezione della Congregazione stessa e che il tesoriere non potesse, tassativamente, ricevere nessun onorario dalla Congregazione (Annoni 1966; riforma 10 febbraio 1758; Tesi Martini 1993-1994).
La Congregazione del patrimonio, riformata nel 1758, venne definitivamente soppressa nel 1786.
ultima modifica: 03/04/2006
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