magistrato ordinario 1541 - 1749
Sino all’avvio delle riforme settecentesche l’amministrazione finanziaria dello stato di Milano continuò a mantenere l’organizzazione che le era stata data nel periodo visconteo-sforzesco: un officio centrale, i Maestri delle entrate, organizzato in due sezioni – i Maestri delle entrate ordinarie, che curavano l’amministrazione dei proventi ordinari, quali dazi, imposte dirette ed indirette, ed i Maestri delle entrate straordinarie, che gestivano invece i beni del principe e tutti gli altri cespiti di reddito, quali feudi, regalie, confische, condanne pecuniarie – si occupava infatti dell’intera amministrazione delle pubbliche finanze. Tale magistratura rimase organizzata in due sezioni anche in seguito al passaggio del Milanese sotto la dominazione imperiale prima e spagnola poi, anche se in un primo momento nel 1542, anno seguente l’entrata in vigore delle Novae Constitutiones, il marchese del Vasto, per ordine dell’imperatore Carlo V, tentò l’accorpamento dei due magistrati: “ma dopo nascendo inconvenienti e confusione, il re nel 1562 li divise nuovamente aggregando allo straordinario il tribunale delle Biade e ordinò che per il resto fossero competenti come prima della riunione” (uffici tribunali regi).
Secondo quanto stabilito e ribadito dalle Nuove Costituzioni il Magistrato delle entrate ordinarie – comunemente detto Magistrato ordinario – si componeva di un presidente e di sei questori: tre di toga, specificamente incaricati dell’esame delle questioni di carattere giuridico, e tre di cappa e spada, ai quali erano invece attribuite funzioni di ordinaria amministrazione e di vigilanza sull’applicazione ed esecuzione degli ordini impartiti.
Come dignità i membri del Magistrato ordinario occupavano una posizione immediatamente successiva a quella dei senatori; la carica di presidente di entrambe le magistrature ordinaria e straordinaria – alla quale era anche attribuito il titolo e il grado di reggente nel Consiglio supremo – garantiva inoltre la “dignità” necessaria per poter accedere al Senato. Nella sfera gerarchica il Magistrato ordinario – come quello straordinario – era subordinato e doveva rispondere al solo gran cancelliere; altrimenti il Magistrato agiva in piena autonomia, dispensando pareri in materia fiscale, economica e finanziaria al governatore.
I membri del Magistrato ordinario si adunavano tutte le mattine dei giorni non feriali, per circa tre ore ogni volta, durante le quali ascoltavano prima il relatore di turno, poi la relazione dei maestri di cappa. Dopo una breve pausa, i questori tornavano a “sedere”, e i notai ed i cancellieri alle loro dipendenze promulgavano le sentenze, stipulavano istrumenti di vendita e pagamento, preparavano le gride per la pubblicazione degli incanti. Preciso era infine il sistema di votazione: prima votava il relatore, quindi i dottori per ordine di anzianità, poi i maestri di cappa, ed infine il presidente; qualora si fosse verificata parità di voti avrebbe prevalso la parte per cui aveva votato il presidente.
Composto quasi interamente da patrizi milanesi ed insignito del titolo di tribunale di giustizia, il Magistrato ordinario era competente in qualsiasi materia economica e finanziaria. Esso svolgeva una parte preponderante nella preparazione dei progetti di legge che avessero attinenza con le finanze: qualora il governatore o il Consiglio supremo avessero ritenuto opportuno avanzare la possibilità di emanare provvedimenti finanziari al fine di far fronte alle sempre crescenti necessità dell’erario, dovevano preventivamente far pervenire la proposta al Magistrato ordinario per ottenere ragguagli sul fondamento giuridico della ipotizzata manovra e sui probabili effetti che ne sarebbero derivati.
Al Magistrato ordinario era delegato anche il compito di vigilare sulla riscossione delle tasse di nuova e vecchia istituzione tanto in Milano quanto nelle altre città dello stato, attraverso l’ausilio di referendari da esso strettamente dipendenti. In collaborazione con il giudice delle monete, al magistrato ordinario spettava inoltre la vigilanza sulle monete circolanti, al fine di evitare che entrassero nello stato danari falsi o di errato peso.
E ancora al Magistrato ordinario erano delegati l’organizzazione del “servizio postale” dello stato, attraverso una fitta schiera di personale alle sue dirette dipendenze – i mastri di posta, i quali avevano per distintivo “la cornetta e la pelle di tasso in fronte” e i corrieri, che portavano invece “sulla spalla l’arma di Sua Maestà” (Visconti 1913, p. 256) – il controllo sulla distribuzione del tabacco, del pane di munizione, e la vigilanza sugli appalti di acquavite e di acque rinfrescative.
E ancora le Nuove Costituzione gli riconoscevano un ruolo consultivo in merito a qualunque materia potesse interessare la regia camera: ad esempio, i mercati, per l’apertura dei quali il Magistrato ordinario doveva esporre il proprio parere sui memoriali che la città inviava al governatore che, a sua volta, trasmetteva al Magistrato; o ancora al Magistrato era riconosciuto un ruolo consultivo in materia di prezzi.
Ma le Nuove Costituzioni attribuivano al Magistrato anche la facoltà di comunicare alla Corte le eventuali “incapacità” del bilancio a sostenere nuovi pesi e, soprattutto, gli riconoscevano il diritto di porre “veto” ai governatori che richiedessero stanziamenti o pagamenti straordinari “in pregiudizio di crediti già bilanciati”. Tuttavia, nel corso del Seicento, e ancor più nei primi decenni del Settecento, durante il regno di Carlo VI, tale diritto di veto venne di volta in volta annullato da ordini sovrani. Col tempo la pratica di annullare con ordine regio il “diritto di veto” divenne infatti talmente consuetudinaria che i medesimi governatori si arrogarono la facoltà di “ordinargli di dare corso a ciò che formava oggetto delle sue osservazioni, con la dichiarazione di assumersene essi la responsabilità di fronte alla Corte” (Pugliese 1924, p. 126).
Data la vastità delle materie ad esso attribuite e della sua giurisdizione, estesa a tutto il Milanese, il Magistrato ordinario aveva alle proprie dipendenze una copiosa schiera di funzionari, da esso direttamente nominati ed in ogni momento revocabili, incaricati di esercitare le funzioni loro demandate dai questori competenti per territorio e materia. Nelle città capoluogo di provincia il magistrato ordinario era infatti “rappresentato” dai referendari: ad essi era affidato il compito di intervenire negli incanti; di avvertire il magistrato circa tutte le gride pubblicate nelle città di loro giurisdizione. Ai referendari era inoltre riconosciuta una limitata competenza giurisdizionale tra il fisco e i privati e contro i debitori degli appaltatori.
Il Magistrato aveva infine alle proprie dipendenze la banca del notariato della camera, la banca del sale, la banca delle imprese, la banca delle tasse, la banca del mensuale; i tesoriere del tribunale; i ragionati della camera; l’ufficio delle munizioni e lavoreri dello stato di Milano; i tesorieri generali (Visconti 1913, p. 241).
Con l’editto 30 aprile 1749 si pubblicava una “nuova pianta delle magistrature riformate” (editto 30 aprile 1749) sulla cui base l’imperatrice Maria Teresa ordinava l’unione del Magistrato ordinario e straordinario in un unico organismo: il Magistrato camerale (Annoni 1959; Annoni 1966; Arese 1970; Arese 1979-1980; Bendiscioli 1957 a; Bendiscioli 1957 b; Pugliese 1924; Signorotto 1996; Visconti 1913).
ultima modifica: 19/01/2005
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