magistrato camerale 1771 - 1786
La prima ondata delle riforme teresiane andò esaurendosi alla fine del decennio 1750-1760 e riprese con maggiore vigore con la fine della guerra dei Sette anni, altra grande conflagrazione che investì l’intera Europa. Ancora un vasto piano di rimaneggiamenti di tutto il sistema delle magistrature, volto a eliminare definitivamente le caotiche e confuse eredità del passato, portò ad una netta separazione tra amministrazione e giurisdizione.
La riforma del 1771 con l’applicazione del principio “il Senato giudica; il Magistrato Camerale regola; la Camera dei conti sindaca; eccoti i tre soli corpi che formeranno il sistema” estese infatti anche allo stato di Milano quella netta separazione degli affari giudiziari dalle competenze amministrative che in Austria era già stata introdotta nei precedenti decenni.
Il principale banco di prova del nuovo assetto politico-amministrativo fu il Magistrato camerale, rinominato “Regio Ducal Magistrato Camerale”, che “per vastità di compiti e numero di addetti costituiva l’asse portante del governo asburgico nello stato di Milano” (Capra, Sella 1984, p. 439). Continuatore diretto dell’attività svolta dal soppresso Supremo consiglio di Economia, di cui ereditò non solo le competenze in materia censuaria, annonaria, commerciale, ma anche la struttura dipartimentale e gran parte del personale, compreso il corpo direttivo, organizzato in due aule, civile e criminale, il Magistrato camerale si vedeva delegata la gestione di tutte le materie economiche e fiscali.
In quanto “autorità amministrativa assoluta per la direzione ed ispezione di tutti i rami di finanza nel territorio soggetto alla giurisdizione del governo” nel campo economico-finanziario nulla poteva sfuggire al suo controllo.
Un dispaccio reale del 30 dicembre 1771 ne ufficializzò le competenze: ad esso si affidava tutta la materia censuaria, tutte le imposte dirette, i beni del demanio e della corona, le privative, i diritti regali, il debito pubblico; e ancora nelle sue mani veniva riunita la direzione generale del commercio, dell’annona, della zecca, delle acque, delle strade, dei pesi e delle misure.
In collaborazione con la Camera dei conti di recente istituzione, il Magistrato camerale doveva dunque “vegliare all’indennità del Regio Erario e al maggiore bene dei sudditi”.
Il dispaccio mutava inoltre la composizione del Magistrato camerale: da quel momento si sarebbe articolato in un presidente, dieci consiglieri, tre avvocati fiscali e un sindaco fiscale, tenuti ad adunarsi ogni giorno presso palazzo Marino (Relazione piano tribunali, 1771; Valsecchi 1959).
Tuttavia una decina di anni più tardi, un dispaccio regio del 3 marzo 1783, ordinando la sottrazione delle materie finanziarie dalle competenze del Magistrato camerale segnò il preludio alla definitiva soppressione dell’organo.
Nel 1786 infatti anche il Magistrato camerale fu travolto dall’onda riformatrice di Giuseppe II, successore di Maria Teresa: le Nuove Costituzioni che da due secoli e mezzo avevano regolamentato la vita amministrativa, economica, giudiziaria del Milanese venivano abolite e con esse, anche la magistratura che in quello stesso periodo ne aveva gestito l’ordine e l’organizzazione economico-finanziaria (Annoni 1966; Arese 1979-1980; Capra, Sella 1984; Pugliese 1924; Valsecchi 1959; Visconti 1913).
ultima modifica: 29/05/2006
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