congregazione degli interessati milanesi 1549 - sec. XVIII
Alla vigilia della presa di possesso del Milanese Carlo V e i suoi consiglieri ritennero che il normale gettito fiscale esistente sarebbe stato sufficiente a coprire le ordinarie spese di amministrazione del nuovo dominio. Tuttavia la realtà si rivelò ben presto contraria alle aspettative. La ripresa delle operazioni militari tra il 1536 e il 1544 per fronteggiare la pressante presenza francese in Piemonte imposero all’erario milanese un volume di spese in crescita esponenziale al punto che le autorità, per farvi fronte, ricorsero ai “soccorsi” in denaro provenienti dalle altre parti dell’impero, ed alla creazione di un nuovo tributo: il mensuale, istituito nel 1536 come provvedimento “temporaneo”, consistente in un prelievo mensile di oltre 20.000 scudi d’oro, portato a 25.000 scudi mensili nel 1545.
Per la sua ripartizione le autorità imperiali si affidarono al vecchio sistema fiscale vigente nel periodo ducale, secondo cui ciascuna provincia doveva occuparsi della ripartizione e riscossione della quota ad essa complessivamente attribuita. All’interno di ogni provincia quindi le autorità provinciali stabilivano quanto e come ogni singola Terra, borgo, città dovesse corrispondere secondo un criterio fondato su una netta distinzione tra beni civili, cioè terre ed immobili posseduti da cittadini, e beni rurali i quali, appartenendo agli abitanti dei contadi, venivano più pesantemente vessati fiscalmente; criterio che privilegiava le città sulle campagne e che ancor di più sottolineava la posizione preferenziale di Milano nei confronti non solo del suo Contado ma anche delle altre città dello stato.
Nel 1549, dopo la pubblicazione per volere del governatore don Ferrante Gonzaga della sentenza secondo cui “in avvenire li beni [dei cittadini milanesi] pagar dovessero i carichi in loco situs” – sentenza che congelando le pertiche civili e rurali metteva in pericolo i privilegi fino a quel momento goduti dai cittadini – i milanesi possessori di beni nelle quattro principali città dello stato, cioè Pavia, Cremona, Lodi, Novara, formarono un corpo “tutto proprio e distinto, chiamato in seguito la Congregazione degl’Interessati Milanesi, li quali facendo tutte le funzioni di un Pubblico Particolare ed egualmente Principale, contribuissero rispettivamente ai carichi di quella città e Provincia, nel di cui territorio rispettivamente possedevano li beni” (Consulta degli Interessati Milanesi, 1754).
A questo fine, con l’approvazione del governatore, del Senato e del Consiglio segreto, “in un generale Convocato di ogni interessato”, furono eletti dieci “interessati milanesi”, quali membri rappresentanti della Congregazione.
Costituite quindi le quote universali del censo alla Congregazione venne assegnata “a scarico delle dette quattro città capoluogo di provincia, Pavia, Cremona, Lodi, Novara” una particolare quota di imposta, proporzionale al perticato che gli interessati possedevano in ciascuna delle quattro province.
Ai dieci interessati, rappresentanti di tutti i cittadini milanesi aventi interessi nelle altre province dello stato, fu quindi delegata dal governatore e dal Consiglio segreto, “ogni pubblica autorità opportuna per poter imporre, provvedere per le spese, ed altre occorrenze al bene del loro Corpo esigere, riformar gli Estimi, correggendo gli errori e a far tutto quello che avessero stimato convenire, senza alcuna eccezione” (consulta degli Interessati Milanesi).
Le imposte che la Congregazione degli interessati era chiamata a riscuotere da coloro che rappresentava comprendevano “tre sorte di partite”: “la Diaria, e qualonque altra imposta che viene fatta dalla Congregazione dello Stato” proporzionalmente alla quota di estimo attribuita a ciascuna provincia; “le spese proprie tanto ordinarie che straordinarie, le quali prima di imporsi si esaminano attentamente dalla nostra Congregazione”; ed infine le spese di alloggiamento degli eserciti che ognuna dalle quattro città e soprattutto province erano chiamate a contribuire, oltre a “tutte le altre spese regolari dipendenti dal Militare” (consulta degli Interessati Milanesi).
Dei dieci “interessati” che componevano la Congregazione, in carica a vita – tre per le province di Cremona e Lodi, due per quelle di Pavia e Novara, i quali però, in seguito allo smembramento del Novarese, dopo la guerra di successione polacca, si ridussero a otto – uno, scelto dai medesimi dieci – poi otto – veniva nominato priore ed investito per due anni della carica di presidente, cioè “dell’officio di presiedere, dare quelle disposizioni particolari che accadono alla giornata e riferire al Corpo le occorrenze” (consulta degli Interessati Milanesi).
Qualora uno dei membri fosse venuto a mancare, la Congregazione invitava sette milanesi, “di maggiore età ed esenti da qualunque legittimo impedimento”, con particolari interessi nella provincia che il membro venuto meno rappresentava e, “unitamente a voti segreti” nominava il nuovo “interessato”.
Per lo svolgimento delle incombenze ad essa attribuite la Congregazione aveva alle proprie dipendenze un sindaco, “il quale suole essere uno dei più accreditati causidici della Città”, incaricato ad intervenire a tutte le riunioni della congregazione e a rappresentarla quale procuratore generale per sostenerne e difenderne gli interessi davanti agli organi superiori.
Ma alla Congregazione era subordinato anche un cancelliere, notaio causidico collegiato, massimo esperto in materia di carichi ed imposte, il quale era, come il sindaco, tenuto ad intervenire a tutte le riunioni della Congregazione. A lui spettava rogare le ordinanze, anche giudiziali, che si producevano nei processi in cui la Congregazione era direttamente parte in causa, o in cui svolgeva la funzione di mediatrice tra le parti; a lui era ancora delegato il compito di controllare e comunicare agli “interessati” gli ordini impartiti dalla Congregazione dello stato, di vigilare sui riparti compilati dagli offici centrali, di esaminare gli eventuali trapassi di proprietà tra i vari estimati; di controllare la documentazione dei dichiarati esenti e di riceverne i giuramenti; ed infine a lui spettava l’incombenza di curare l’archivio, “riconoscere e cavare scritture dal medesimo, secondo le occorrenze degli affari e delle cause”.
Un “ragionatto” infine era destinato alla cura dei catasti e dei libri d’estimo. A lui spettava ogni anni la compilazione dei “libri di scossa, delli scrutini delle imposte, delle compense per li esenti”; egli era inoltre incaricato di riconoscere, registrare e liquidare i conti comuni delle città rappresentate dalla Congregazione (Sella 1987; Vigo 1979).
ultima modifica: 19/01/2005
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