podestà di Milano sec. XIV - sec. XVI
Con la fine del XII secolo il podestà subentrò – dapprima saltuariamente poi definitivamente – ai consoli, accentrando nelle proprie mani tutti i poteri e tutte le funzioni a loro delegati e da loro svolte.
Tuttavia in seguito, con il consolidarsi della signoria il podestà andò perdendo gran parte dei poteri politici ed esecutivi usurpati al governo consolare, vedendosi confermato il solo ruolo di capo del potere giudiziario. Perso il carattere di capo del Comune il podestà si vide infatti trasformato in ufficiale alle strette dipendenze del signore, da lui direttamente nominato.
Nonostante gli “Statuta iurisdictionum” non specifichino i requisiti necessari per poter essere eletti podestà, è plausibile ritenere che dovesse ancora permanere l’antico obbligo, risalente al periodo comunale, secondo cui il prescelto dovesse essere forestiero. E gli elenchi delle persone chiamate a ricoprire la carica ed ancora le numerose minute di nomina, per lo più relative al periodo sforzesco, conservate presso l’Archivio di Stato di Milano, nella serie Carteggio, ne sono testimonianza: il signore, come già aveva fatto il comune, chiamava a ricoprire la carica di podestà, esponenti delle famiglie più ricche e nobili delle città che intrattenevano in quel preciso momento rapporti di amicizia o di alleanza con Milano. Con una lettera il signore stesso comunicava al candidato prescelto la nomina, la durata della carica, oltre a numerosi dettagli relativi alle condizioni offerte al neoeletto ed alla corte che avrebbe dovuto coadiuvarlo (Santoro 1929).
Come risulta dalle chiosature fatte sui registri civici in calce ad alcune lettere di minuta (Santoro 1929), solenne era la cerimonia di insediamento del podestà. Alla presenza del popolo, delle massime autorità cittadine, del podestà uscente, del vicario di provvisione, di un notaio e di un cancelliere, radunati nella piazza dei Mercanti, il neo podestà dopo aver presentato al vicario di provvisione la sua lettera di nomina, ed essere stato salutato dai giurisperiti con pubblico discorso, ascoltava la lettura fatta dal notaio del giuramento previsto dagli statuti, e, solo dopo aver giurato fedeltà alla Chiesa, all’Imperatore, al signore ed al Comune, ed aver promesso osservanza e rispetto delle leggi e consuetudini cittadine, riceveva dal predecessore la verga del comando.
Gli statuti sottolineavano inoltre l’obbligo del podestà di informare il signore della scadenza della carica almeno un mese prima, affinché questi potesse provvedere per tempo o alla riconferma o alla nomina del successore, e stabilivano che il podestà non potesse lasciare l’ufficio senza speciale permesso del duca – condizione saldamente ribadita nella lettera di nomina.
Come si è già accennato i compiti del podestà, durante il periodo signorile, si ridussero quasi esclusivamente all’amministrazione della giustizia sia civile che penale. Sino alla metà del XIV secolo tuttavia al podestà continuavano ad essere riconosciute, almeno formalmente, prerogative piuttosto ampie. Gli “Statuta iurisdictionum” oltre a vari compiti di rappresentanza, quali intervenire alle oblazioni che si facevano a favore delle chiese, gli attribuivano altre mansioni da svolgere in collaborazione con il vicario di provvisione: a podestà e vicario erano affidati ad esempio la sorveglianza sulla corretta manutenzione dei porti sui fiumi Ticino, Adda, Lambro e di quelli esistenti su altri corsi d’acqua minori (statuta iurisdictionum, cap. LXXXVI); il compito di garantire la libera circolazione dei negozianti all’interno della città di Milano (statuta iurisdictionum, cap. LXXXVIII); di difendere i castelli, i borghi e le terre sottoposti alla giurisdizione del Comune (statuta iurisdictionum, cap. LXXXVII).
Ampia era la giurisdizione del podestà per l’amministrazione della giustizia civile e penale: oltre alla città ed ai Corpi Santi essa si estendeva, entro un raggio di circa 15 km, a numerose pievi del Contado milanese. E ancora la sua giurisdizione si poteva estendere, per le cause civili superiori a lire 50 e facoltativamente anche per quelle inferiori – fino a 25 lire avrebbero dovuto giudicare i vicari, fino a 50 i consoli di giustizia – anche ai contadi della Martesana, Bazana, Seprio e Bulgaria, che geograficamente non rientravano entro la cerchia dei 15 km.
Dall’elenco delle “sentenze comunali dei podestà milanesi”, nelle quali è sempre specificato il luogo dove venne commesso il reato, emerge chiaramente che numerosi furono gli interventi dei podestà milanesi nei territori non compresi nella cerchia dei 15 km: molti dei reati commessi nel contadi della Martesana e della Bazana vennero infatti sottoposti al loro giudizio.
Gli “Statuta iurisdictionum” prevedevano infine che al termine della carica il podestà dovesse rendere conto della propria amministrazione sottoponendo sé stesso ed il proprio operato a “sindacato”, istituzione che trovava le sue origini nel Codice Giustinianeo: secondo quanto disposto in tale codice tutti gli ufficiali incaricati dell’amministrazione superiore della provincia, nell’uscire di carica dovevano trattenersi per cinquanta giorni nei territori della provincia da essi controllata, mostrarsi in pubblico e rispondere alle eventuali lamentele.
Sei erano i cittadini chiamati ad esaminare la gestione del podestà uscente: nominati dal principe medesimo durante gli ultimi giorni di incarico, i sei sindacatores – due giudici giurisperiti, due laici e due notai – erano tenuti ad invitare, con pubblica grida, tutti i cittadini che avessero reclami a notificarli entro un determinato tempo – precisamente cinque giorni per i cittadini, otto per gli abitanti del contado. Le querele dei privati così pervenute venivano quindi sottoposte all’esame dei sindacatores, i quali erano tenuti a giudicarne la fondatezza e conseguentemente a dichiararne la ammissibilità.
Esaminate le querele ed udite le ragioni del podestà i sindacatores erano chiamati a giudicare sommariamente e ad emettere la sentenza, contro la quale non era ammesso alcun appello.
Come si è precedentemente accennato nella lettera di nomina oltre alla durata della carica ed alle condizioni offerte al neoeletto podestà venivano specificati anche numerosi dettagli circa la corte che avrebbe dovuto coadiuvare il podestà nello svolgimento delle sue funzioni. Nonostante la riduzione dei poteri ad esso delegati, il podestà continuò – soprattutto nel primo periodo dell’età signorile – a rivestire almeno formalmente la carica di sommo rappresentante del Comune e quindi a disporre di una folta corte, che ricordasse l’antico splendore.
Questa corte era composta di ufficiali, quali giudici, notai, militi – solitamente giurisperiti provenienti dalla stessa città del podestà – i quali lo coadiuvavano nel disbrigo degli affari; di sbirri, una sorta di polizia del podestà, incaricati di mantenere l’ordine pubblico; e della famiglia, cioè dell’insieme dei servi che attendevano ai lavori domestici ed alla scuderia del podestà.
Il numero dei componenti la corte, in origine completamente a carico del podestà, subì nel corso del tempo ingenti modificazioni: se negli “Statuta iurisdictionum” si stabiliva che la corte dovesse essere composta da un vicario, 7 giudici, 4 militi, 6 notai, 12 donzelli, 12 scudieri, 20 cavalli, oltre a un numero indeterminato di sbirri, connestabili, cuochi e ragazzi da stalla, con il consolidarsi della signoria lo splendore della corte andò sempre più scemando ed il numero dei suoi componenti venne consistentemente ridotto. Dagli statuti del 1502 emerge infatti una corte fortemente ridimensionata – 3 militi, 2 connestabili, 6 donzelli, 2 scudieri, 6 cavalli, 2 servi di stalla, 1 cuoco ed una trentina di sbirri – ed una consistente riduzione del salario annuo del podestà (statuta civitatis Mediolani).
Giudici e notai furono tuttavia gli unici componenti della corte a non subire consistenti ridimensionamenti. I giudici detti anche assessori, rimasero secondo le antiche consuetudini sette: uno con funzioni di vicario del podestà, si vedeva affidato il compito di sostituirlo qualora fosse stato occupato in ambasciate; due erano addetti alle cause criminali, tre alle civili – distinti secondo consuetudine da tre simboli, un leone, un cavallo ed un gallo rappresentato sul loro seggio, e quindi detti iudex ad leonem, ad equum ad gallum – ed un ultimo giudice incaricato della riscossione dei denari dovuti al comune e perciò denominato iudex pecuniae.
Nulla specificano gli “Statuta iurisdictionum” circa la nomina di tali giudici: essa era lasciata al libero arbitrio del podestà.
Ai notai, che secondo antica consuetudine dovevano essere sei, uno per porta, anch’essi nominati direttamente dal podestà, era invece demandato il compito di redigere, sottoscrivere e registrare tutti gli atti prodotti dall’ufficio podestarile e rilasciarne copia (Cognasso 1955; Garin 1956; Leverotti 1994; Leverotti 1997; Santoro 1929; Santoro 1956; Santoro1968).
ultima modifica: 19/01/2005
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