vicari e sindacatori generali sec. XV - sec. XVI
Vicari e sindacatori generali “sono due distinti uffici, talora però associati in una stessa persona: tutti i sindacatori infatti erano anche vicari, mentre un vicario poteva non essere sindacatore. Vicario era un appellativo generico che indicava un sostituto, mentre sindacatore era l’appellativo pertinente a quel gruppo ristretto di magistrati delegati ad esaminare l’operato degli officiali alla fine del mandato” (Leverotti 1997, p. 30).
Giureconsulti, membri del collegio dei giudici e degli avvocati di Milano, ma soprattutto delle altre città del dominio, e poche volte provenienti da altre città forestiere, tali funzionari – non più di una decina in totale – venivano nominati, inizialmente annualmente poi “ad beneplacitum”, dal Consiglio segreto previa approvazione del duca.
La delicatezza dei compiti affidati loro direttamente dal duca richiedeva oltre che una spiccata professionalità, anche un rapporto di particolare fiducia con il signore: il Consiglio li sceglieva infatti tra gli uomini più “benvisi” al duca.
Nella veste di vicari essi erano chiamati a sostituire temporaneamente i magistrati periferici, a sentenziare e dirimere le più diverse controversie sorte tra i singoli e le comunità; a risolvere le liti nate tra i feudatari e la popolazione, o tra gli officiali locali e la popolazione; e ancora erano chiamati ad assolvere compiti di sindaci fiscali e di consultori degli officiali dei divieto. Ma la funzione precipua attribuita a questo ufficio era sindacare gli officiali alla fine del loro mandato.
In qualità di sindacatori essi erano infatti tenuti a valutare l’operato di diversi funzionari che avevano esercitato in località ben distanti dalla città di loro provenienza, ed a ricoprire, nel medesimo loco, la carica di podestà, con il titolo di vice – podestà, per evitare che venissero inquinate le eventuali prove a carico del funzionario “sotto processo”.
L’iter del sindacato incominciava, come si è detto, alla fine del mandato: il sindacatore si recava sul posto e consultava i funzionari ed alcuni membri del Consiglio generale del Comune, dai quali otteneva un primo quadro sull’operato dell’ufficiale – solitamente il podestà – in relazione al fisco, ai negozi privati, all’amministrazione della giustizia e della comunità in genere; in seguito fissava un termine per la presentazione di denunce, libelli, lamentele da parte del popolo. Ascoltate le parti ed esaminate le prove a carico e discarico, inviava al duca la sua decisione ed attendeva la risposta prima di poter emettere la sentenza decisiva e definitiva.
Mancando i verbali dei sindacati non è possibile valutare con precisione la quantità, il tipo di condanne e soprattutto i parametri di giudizio. Tuttavia sulla base di poche fonti ritrovate si può sostenere che in alcuni casi “i sindacatori non sembrano particolarmente esigenti quanto al comportamento degli ufficiali; tendono a far passare vitio e malitia per imperitia, inadvertentia, negligentia; pronti a giustificarli, attribuendone le manchevolezze magis infelicitati quam culpe, sottolineandone le ingenuità […]. Viceversa sembrano molto attenti a che le “debolezze” dell’ufficiale non abbiano attentato alla sicurezza dello stato” (Leverotti 1997, p. 30).
ultima modifica: 19/01/2005
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