reggenza provvisoria del governo di Lombardia 1814 aprile 21 - 1816 gennaio 2
La rivoluzione di Milano del 20 aprile 1814 che si concluse con l’assassinio del ministro delle finanze Giuseppe Prina sanzionò il crollo definitivo del regime napoleonico di Eugenio Beauharnais ancor prima dell’entrata in Lombardia delle truppe austriache. Nel vuoto di potere che si era venuto a creare il consiglio comunale di Milano, riunitosi d’urgenza, nominò una Reggenza provvisoria di governo composta da sette membri: Gilberto Borromeo, Alberto Litta, Giorgio Giulini, Giacomo Mellerio, Carlo Verri, Giovanni Bazetta e Domenico Pino (nomina 21 aprile 1814).
Alcuni giorni dopo, per decisione dei Collegi elettorali, a questi si unirono per cooptazione un rappresentante per ognuno dei sette dipartimenti lombardi: Giacomo Muggiasca per il Lario (Como), Gian Battista Vertova per il Serio (Bergamo), Matteo Sommariva per l’Alto Po (Cremona), Lucrezio Longo per il Mella (Brescia), Luigi Tonni per il Mincio (Mantova), Gian Battista Tarsis per l’Agogna (Novara) e Francesco Peregalli per l’Adda (Sondrio) (nomina 24 aprile 1814).
Di profilo sociale nobiliare (esclusi il mantovano Tonni ed il Pino, di origine borghese e nobilitato grazie ai servigi prestati come generale dell’esercito italico) e politicamente rappresentante le frange oligarchiche lombarde più conservatrici – quelle stesse frange che durante il Regno napoleonico erano rimaste sostanzialmente ai margini della vita pubblica e politica – la Reggenza governò autonomamente e con poteri sovrani la Lombardia fino alla fine di maggio, fino cioè all’arrivo a Milano del plenipotenziario austriaco Heinrich Bellegarde, feldmaresciallo comandante in capo dell’esercito austriaco nell’Italia del nord.
I primi provvedimenti furono tesi ad alleggerire la pressione fiscale che gravava sul paese: furono dimezzati il prezzo del sale, del tabacco e delle tasse postali delle lettere; soppresse la tassa di registro, la tassa sulle arti e sui mestieri e quella sull’industria (contributo arti e commercio) e venne sensibilmente diminuita la tariffa del dazio consumo. Per far fronte al fenomeno del brigantaggio che si stava diffondendo nel paese venne promulgata inoltre una amnistia generale per tutti i disertori e i “coscritti refrattari”. Contemporaneamente la Reggenza abolì il senato e il consiglio di stato del Regno napoleonici, due istituzioni che, pur avendo sede a Milano, erano per natura aperti a elementi originari da tutti i dipartimenti del Regno.
Il reale intendimento politico della Reggenza era infatti riuscire a qualificarsi di fronte alle potenze vincitrici di Napoleone come “la voce autentica e legittima del “paese” lombardo” (Meriggi 1987, p. 8) per ottenere l’indipendenza della Lombardia ed eventualmente un ampliamento territoriale in base ad un ben preciso progetto oligarchico-regionale. Per perorare questa causa venne inviata a Parigi, dove si stavano svolgendo i primi colloqui diplomatici tra i vincitori di Napoleone, una deputazione composta da Federico Confalonieri, Alberto Litta e Gian Luca Somaglia, che però si risolse in un fallimento.
Per interpretare l’ideologia di cui si faceva portatrice la Reggenza è significativa l’opera, di cui si fece solerte interprete, di disaggregazione dell’organizzazione centrale e periferica dell’apparato di stato napoleonico. In base ad una discriminante antiborghese e antigiacobina venne infatti attuata una importante epurazione ad personam dei vertici del sistema politico e burocratico: dai ministri in carica ai prefetti e ai viceprefetti, fino all’amministrazione della polizia e delle poste di numerosi dipartimenti (il 23 aprile con un proclama la Reggenza si era infatti riservata la facoltà “di operare quei cambiamenti nel personale ch’essa credesse necessari dopo aver assunte le necessarie informazioni”). L’obiettivo principale dei reggenti era quindi riuscire a riproporre in posizione dominante il ruolo dell’oligarchia nobiliare, “in contrapposizione al quadro di potere centralizzatore ed antiaristocratico delineatosi nella tarda età napoleonica” (Meriggi 1983, p.19). L’assunzione alla fine di maggio della presidenza da parte del Bellegarde comportò un sostanziale esautoramento del potere degli uomini della Reggenza. Il centro decisionale politico del governo milanese divenne infatti la segreteria privata del plenipotenziario. Già prima del suo arrivo comunque erano giunti a Milano due commissari imperiali, Annibale Sommariva e Giulio Strassoldo, i quali, con mandato delle potenze alleate, avevano da un lato confermato l’operato della Reggenza, compresi i provvedimenti in materia fiscale, dall’altro avevano però imposto l’interruzione dell’attività legislativa della stessa in attesa dell’arrivo del plenipotenziario (proclama 26 aprile 1814). Il Bellegarde, giunto a Milano l’8 maggio, emanò il 25 dello stesso mese un proclama che annunciava il termine della attività della Reggenza come istituzione di governo autonomo e l’assunzione della sua presidenza e cercò di attuare una politica di distensione: bloccò le epurazioni della burocrazia napoleonica, sciolse i Collegi elettorali che si erano riuniti in una sorta di assemblea costituente e impose ai reggenti di giurare fedeltà all’imperatore.
A quel punto, svanita la possibilità di ottenere uno stato autonomo – il 12 giugno 1814 venne infatti annunciata l’annessione della Lombardia all’Impero austriaco a seguito della pace di Parigi del 30 maggio – i notabili della Reggenza puntarono ad ottenere una costituzione nobiliare che ricalcasse quella teresiana del secolo prima, che riservasse cioè ai nobili un ruolo dominante.
Ufficialmente la Reggenza provvisoria di governo venne sciolta il 2 gennaio 1916 con l’entrata in vigore dell’ordinamento stabilito dalla patente imperiale 7 aprile 1815, con l’istituzione cioè del Regno Lombardo-Veneto. Il Bellegarde fu nominato luogotenente del viceré con lettera sovrana del 5 aprile 1815 (Meriggi 1981 b; Meriggi 1983; Meriggi 1987; Raponi 1967; Spellanzon 1960 a).
ultima modifica: 19/01/2005
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