delegazione provinciale di Milano 1815 - 1859
L’articolo 7 della sovrana patente del 7 aprile 1815, anche definita l’atto costitutivo del Regno Lombardo-Veneto, prevedeva la divisione dei due territori governativi (quello di Milano e quello di Venezia) in province, ciascuna provincia in distretti e ogni distretto in comuni. L’amministrazione di ogni provincia era dunque affidata ad una regia delegazione in diretta dipendenza del governo (art. 9).
Del governo di Milano facevano parte nove province, Milano, Como, Bergamo, Brescia, Pavia, Cremona, Mantova, Lodi-Crema e Sondrio che costituivano nove delegazioni. In particolare nel 1815 la provincia di Milano (che comprendeva anche 1/3 di Gallarate) contava 429.387 abitanti su una superficie di 33 miglia quadrate.
La delegazione, rappresentante del governo centrale nella provincia, dipendeva direttamente dal governatore (in seguito dal luogotenente) e svolgeva le funzioni di organo di prima istanza per tutte le questioni politico-amministrative; il delegato provinciale presiedeva anche la Congregazione provinciale, l’organo consultivo e di rappresentanza della provincia.
Ogni delegazione aveva un ufficio provinciale composto dal regio delegato, da un vice delegato, da alcuni aggiunti, da un segretario e da personale subalterno in numero variabile a seconda dell’importanza della provincia. Addetti alla delegazione erano inoltre un commissario di polizia, un censore e revisore delle stampe e dei libri, un medico provinciale per tutti gli affari sanitari, un ingegnere in capo a cui si affiancavano ingegneri ordinari (di riparto) e alcuni aspiranti per gli affari di acque, strade e fabbriche erariali (Sandonà 1912; Meriggi 1987).
In pratica il delegato provinciale rappresentava nel nuovo ordinamento quello che prima del ritorno degli austriaci era stato il prefetto napoleonico, e durante la restaurazione le delegazioni svolsero in sostanza le funzioni delle prefetture dipartimentali del cessato Regno italico.
Le delegazioni entrarono in funzione il 1 febbraio 1816 e le specifiche competenze dei delegati furono poi precisate con la sovrana risoluzione del 26 aprile 1817. Dalla delegazione dipendevano i commissariati distrettuali, il commissariato superiore provinciale di polizia, l’ufficio provinciale di censura, l’ufficio provinciale delle pubbliche costruzioni, l’ufficio provinciale di sanità (il protomedico), l’ufficio provinciale delle poste. Il delegato aveva inoltre competenza nell’amministrazione dei comuni, sulla leva, sull’esazione delle imposte dirette e fungeva da autorità tutoria su tutti gli enti di assistenza e beneficenza (Raponi 1967). Aveva dunque una notevole ingerenza sulle amministrazioni locali, sia attraverso i commissari distrettuali sia come autorità tutoria e di sorveglianza, soprattutto nei comuni di prima classe e nelle città regie, le quali, secondo la sovrana patente 7 aprile 1815 “dipendevano direttamente dalle regie delegazioni stesse e non dai cancellieri del censo” (art. 11).
Sotto l’aspetto politico il delegato provinciale, così come il commissario distrettuale, era quindi uno degli strumenti tramite il quale l’Austria erodeva i diritti e la poca autonomia riconosciute ai sudditi dalle carte costitutive del Regno Lombardo-Veneto; comunque, grazie alla precisione dei limiti di competenza fissati (per quanto molto ampi) e grazie alla correttezza nella applicazione delle leggi e nel loro operato in generale, l’amministrazione austriaca acquistò una certa fama di serietà e di ordine almeno per la durata del Regno di Francesco I, anche perché la carica di delegato fu ricoperta esclusivamente da funzionari di origine italiana scelti in base alle effettive capacità dei candidati. Con l’avvento di Ferdinando I (1835) le delegazioni furono invece affidate anche a funzionari di origine tedesca e negli anni successivi le sovrane risoluzioni del 20 novembre 1838 e 12 marzo 1839 allargarono le loro sfere di influenza e di competenza negli affari politici e amministrativi. I delegati quindi furono scelti soprattutto in base a criteri politici a scapito delle reali capacità personali e professionali fino a che, dopo le rivoluzioni del 1848, la loro funzione si ridusse alla sorveglianza dell’ordine pubblico della provincia di competenza e alla repressione delle manifestazioni di patriottismo e la sua attività politica divenne “mescolata di uffici repugnanti e giustamente odiosi” (Raponi 1967, p. 32). Nell’ultimo decennio di dominazione austriaca infatti, “la qualità prima che si richiese nel capo della provincia fu sempre quella di un attaccamento al governo austriaco, o per usare della frase più comune e propria di alti funzionari austriaci, a casa d’Austria” (Atti della commissione Giulini 1962, p. 121). Secondo Cesare Correnti, pur mantenendo a Milano e a Venezia funzioni più che altro amministrative, il delegato come rappresentante del governo “invigila l’ordine, studia e riferisce sullo spirito pubblico, non può dispensarsi dal caratterizzare e colpire le persone […]” (Raponi 1967, p. 280). Col tempo insomma i delegati erano divenuti lo strumento principale della politica antinazionale austriaca (Atti della commissione Giulini 1962; Meriggi 1987; Raponi 1967; Rotelli 1978; Sandonà 1912).
ultima modifica: 19/01/2005
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