congregazione municipale di Milano 1816 febbraio 12 - 1859 ottobre 23
La regolamentazione definitiva degli enti locali, fissata dalla patente del 12 febbraio 1816 ed ulteriormente perfezionata e resa operativa con la notificazione – cioè con le “istruzioni per l’attivazione del nuovo metodo d’amministrazione comunale colle attribuzioni delle rispettive autorità” – del 12 aprile 1816, stabiliva che nelle città regie, nei capoluoghi di provincia e nei comuni maggiori l’organo collegiale incaricato dell’amministrazione del patrimonio sarebbe stata la congregazione municipale con a capo un podestà (mentre negli altri comuni svolgeva questa funzione una deputazione comunale).
La congregazione municipale di Milano era composta da un podestà e da sei assessori, quattro dei quali dei quali scelti dal corpo dei possidenti che avessero almeno 2.000 scudi di estimo censuario; mentre gli altri due potevano essere scelti – ma ciò non significa che lo fossero effettivamente – della “classe de negozianti che abbiano un rilevante stabilimento d’industria o di commercio”. Il requisito richiesto agli assessori era la cittadinanza austriaca e lo stabile domicilio nel comune. L’ufficio della congregazione municipale era completato da un segretario, un ragioniere, un protocollista (che esercitava anche le funzioni di speditore e di archivista), oltre ad alcuni cancellieri scrittori e ad alcuni inservienti. Il ruolo di questi impiegati coi rispettivi stipendi – proposto dalla congregazione municipale al consiglio comunale nella prima sua adunanza – veniva sottoposto alla definitiva approvazione del governo.
All’entrata in vigore del nuovo ordinamento fu il governo di Milano a “fare la proposizione per la nomina del podestà” e ad “eleggere gli assessori sopra proposizione delle regie delegazioni”. Successivamente la norma aveva previsto la nomina imperiale del podestà sopra una terna proposta dal consiglio comunale e la nomina degli assessori direttamente dal consiglio comunale, naturalmente “salva l’approvazione del governo” e, dopo il 1849, della luogotenenza.
Agli assessori ed al podestà erano attribuiti rispettivamente il rango di deputati alla congregazione provinciale e di consigliere di governo. Sia i primi – che duravano in carica due anni – sia il podestà – che durava tre anni – potevano essere rieletti. Il primo rinnovo degli assessori era previsto “per metà avanti che sia scorso il biennio e la sorte ne regola l’uscita”; successivamente la scadenza del mandato avveniva per anzianità della nomina.
La congregazione municipale, che deliberava collegialmente ed a maggioranza, esercitava “tutte le ispezioni amministrative e rappresentative nel proprio comune” (art. 134), naturalmente dietro il controllo del regio delegato, superiore autorità politica, cui il podestà proponeva “la distribuzione degli affari fra gli assessori” (art. 135).
Essendo l’organo esecutivo del comune, la congregazione presentava ogni anno al consiglio comunale il rendiconto amministrativo ed il conto preventivo delle spese e delle imposte comunali per l’anno successivo. Inoltre aveva “l’iniziativa negli affari che si propongono nel consiglio comunale”: la norma stabiliva infatti che le determinazioni del consiglio comunale, approvate dalla competente autorità governativa, venissero eseguite dalla congregazione municipale stessa.
Seppur sotto la tutela governativa l’ordinamento comunale riconosceva ai governi locali quindi una ampia autonomia rispetto ai poteri politici e la sfera di intervento loro riconosciuta era ampia e comprendeva numerose materie: sicurezza e sanità (medici condotti, incendi, malattie contagiose, preventive cautele per l’idrofobia, sorveglianza sull’annona, sui mercati, ecc.); beneficenza (mantenimento dei cronici, soccorso ai miserabili); acque e strade (i comuni potevano deliberare la costruzione delle strade nel territorio comunale); ornato pubblico (allineamenti, passeggi, giardini); moralità (sorveglianza sugli esercizi di vendita di vino e sugli scandali); istruzione (sia scuole elementari che ginnasi liceali e scuole tecniche); culto (cerimonie, diritti di patronato); poteri delegati dal governo in materie politiche (arresti dei prevenuti di un crimine, ruoli di popolazione, formazione delle liste di leva, pubblicazioni delle leggi, requisizioni di foraggi e viveri, alloggi dei soldati); finanza (il comune riscuoteva per mezzo degli esattori comunali il contributo arti e commercio, il dazio consumo forese e le imposte dirette fondiarie, ordinarie, straordinarie, addizionali di dominio, provincia e comune).
Infine, a tutela dell’operato della congregazione, ad essa veniva riconosciuto il diritto di presentare le sue rimostranze direttamente al governo, “tutte le volte che per parte del regio delegato o della congregazione municipale venga o negata o soverchiamente ritardata una provvidenza, oppure sia fatto un manifesto pregiudizio ai diritti ed alle prerogative sue” (art. 141).
In entrambi i momenti di crisi delle istituzioni austriache – l’ondata rivoluzionaria del 1848 e la decisiva guerra del 1859 – furono il podestà e la congregazione municipale a prendere l’iniziativa e ad assumere interinalmente i pieni poteri anche se, nel marzo ’48, non senza suscitare accese polemiche.
Il 4 giugno 1859, a fronte della rapida avanzata delle truppe franco-piemontesi, il conte Giulini si recò a Milano insieme con Cesare Correnti per recarsi a conferire col podestà e con gli assessori circa l’immediata annessione della Lombardia al Piemonte. La congregazione municipale in una lunga riunione la notte successiva deliberò l’altro la formazione della guardia di sicurezza, che agli ordini di Carlo Prinetti e dell’aggiunto Carlo D’Adda prese sede a Palazzo Marino; la costruzione delle barricate per fronteggiare eventuali scorrerie di corpi di austriaci sbandati; la somministrazione di 100.000 razioni al giorno di viveri (pane, zucchero, ecc.). Milano fu liberata il 5 giugno e la congregazione, prevenendo la proposta dei consiglieri della luogotenenza che avevano proposto di costituirsi in “reggenza provvisoria governo”, votò per acclamazione l’annessione della Lombardia al Piemonte secondo il voto plebiscitario del 1848 e la sovranità di Vittorio Emenuele II. L’8 giugno il Re e Napoleone III entrarono trionfalmente a Milano.
A reggere il municipio fu confermato con decreto reale Luigi Barbiano di Belgioioso, già nominato dalla volontà popolare il 6 giugno, mentre la direzione di pubblica sicurezza fu assunta da Paolo Rainoni con la collaborazione di Alberto Gerli e Pietro Clerici. A capo della divisione militare della città fu posto il generale Angelo Bongiovanni di Castelborgo (Atti della commissione Giulini 1962, Meriggi 1981, Meriggi 1983, Meriggi 1987, Raponi 1967, Rotelli 1978).
ultima modifica: 19/10/2003
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