commissione Giulini 1859 maggio 10 - 1859 maggio 26
Già dalla metà di aprile del 1859 il clima europeo sembrava far precipitare gli avvenimenti verso la guerra tra l’alleanza franco piemontese e l’Impero austriaco. Il 26 aprile veniva istituita presso il ministero degli esteri di Torino – naturalmente senza essere resa pubblica onde evitare proteste e complicazioni internazionali – la direzione generale delle province italiane, diretta dal Minghetti (che era segretario generale agli esteri) e divisa a sua volta in due uffici: uno per “le province unite ai regi stati”, diretto da Antonio Allievi e uno per “le province poste sotto la protezione di S.M.”, affidato a Costantino Nigra.
Il timore che l’entrata in Lombardia delle truppe piemontesi senza l’aver anticipatamente predisposto la gestione politica e amministrativa della regione avrebbe potuto risvegliare quel municipalismo che tante tensioni aveva creato nel trimestre rivoluzionario del ’48, spinse Cavour a istituire una commissione che preparasse un progetto di organizzazione politica, amministrativa e giudiziaria da applicarsi proprio durante la fase eccezionale dell’amministrazione separata della Lombardia nel periodo di tempo, che si prevedeva relativamente lungo, che sarebbe passato tra l’ingresso degli eserciti alleati fino alla incorporazione definitiva della regione con le altre parti del regno.
Per evitare imbarazzanti spiegazioni a livello internazionale la commissione naturalmente non ebbe carattere di ufficialità e fece capo direttamente al presidente del consiglio subalpino e alla direzione generale delle province italiane, dalla quale peraltro dipendeva l’ufficio per le province unite diretto da un membro della commissione stessa, Antonio Allievi.
Incaricato di formare questo consesso fu il conte Cesare Giulini della Porta, che scelse personalmente esponenti provenienti da tutta la Lombardia, i quali rappresentavano “la vecchia emigrazione veterana delle lotte politiche colla nuova che meglio conosce le attuali condizioni della Lombardia” (Raponi 1961, p. 3). I membri furono dunque il marchese Giuseppe Arconati Visconti, Cesare Correnti, Achille Mauri, Emiglio Broglio, Antonio Allievi e Luigi Pedroli di Milano; Innocenzo Guaita di Como; Giovanni Lauzi de Rho di Pavia; il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga di Mantova; il conte Ercole Olofredi Tadini di Brescia e i valtellinesi Emilio e Giovanni Visconti Venosta con il conte Luigi Torelli.
La commissione – che prese il nome del suo presidente – tenne 18 sedute plenarie, oltre ad alcune sedute delle sottocommissioni costituite appositamente per accelerare la stesura del progetto. Si riunì inizialmente in casa del marchese Arconati Visconti; successivamente, iniziate le ostilità contro gli austriaci, in un’aula del palazzo del parlamento ormai vuoto essendo stata sospesa la sessione dopo la votazione che conferiva i poteri straordinari a Vittorio Emanuele II.
Il progetto temporaneo di riorganizzazione amministrativa della Lombardia che ne scaturì si basava su alcune direttive impartite direttamente da Cavour al Giulini: veniva considerato ancora valido il voto plebiscitario del 1848, presupposto della “immediata unione politica della Lombardia cogli Stati Sardi” sotto la sovranità di Vittorio Emanuele II. Dopo aver previsto la gestione commissariale dei territori, veniva successivamente regolato l’ordinamento amministrativo, adeguandolo alle nuove condizioni politiche. In sintesi l’amministrazione avrebbe fatto a capo ad un governatore, residente a Milano e ministro senza portafogli del gabinetto piemontese, che sarebbe subentrato al luogotenente. Il consiglio di luogotenenza lombardo-veneto sarebbe stato sostituito da un consiglio amministrativo, composto dal governatore, da un vicepresidente e dai diversi direttori delle sezioni centrali dell’amministrazione, ridotti però di numero.
A Milano si sarebbe poi creato un tribunale di terza istanza, a completamento dell’organizzazione giudiziaria dopo la soppressione del tribunale supremo di giustizia austriaco che risiedeva a Verona.
L’ordinamento provinciale proposto dalla commissione prevedeva una responsabilizzazione politica dei capi delle province – i governatori – ai quali sarebbero stati direttamente subordinati tutti gli uffici e le autorità provinciali: i questori, i commissari distrettuali, gli uffici di sanità, delle poste e delle pubbliche costruzioni. Sostanzialmente immutato sarebbe invece rimasto l’ordinamento comunale una volta indette nuove elezioni per eliminare dagli organi gli elementi “non nazionali”: si ammetteva la ricostituzione della guardia nazionale e, nei comuni più piccoli, si prevedeva l’esautoramento dalle funzioni di polizia del commissario distrettuale. Per quanto riguarda le istituzioni rappresentative, la Congregazione centrale doveva essere soppressa, mentre le congregazioni provinciali dovevano essere sciolte e ricostituite senza l’antica distinzione tra i deputati “nobili” e quelli “non nobili”.
In sintesi dunque il progetto prevedeva un sostanziale mantenimento delle istituzioni locali – concedendo loro tuttavia una maggiore autonomia – l’accentramento del potere politico nelle province nelle mani del rappresentante del governo e una estrema limitazione delle attribuzioni del governo centrale, premessa alla scomparsa della Milano “capitale” una volta unificata la legislazione delle province del nuovo regno.
Alle ultime sedute della commissione mancarono i fratelli Visconti Venosta: il 22 maggio Emilio era stato infatti nominato commissario regio presso il generale Garibaldi e Giovanni aveva avuto il compito di coadiuvarlo nella funzione di commissario straordinario. Anche la gestione commissariale era stata peraltro prevista durante i lavori della commissione.
Dopo l’entrata in Milano di Vittorio Emanuele II fu stabilita con decreto (8 giugno 1859) l’organizzazione temporanea della amministrazione centrale e periferica della Lombardia. Il decreto nonostante alcune modificazioni non intaccava la sostanza del progetto Giulini.
I progetti legislativi della commissione Giulini furono usati come modello anche per l’incorporazione e l’organizzazione dell’amministrazione dei ducati di Modena e Parma.
L’ordinamento proposto dalla commissione, applicato in sostanza dunque non solo alla Lombardia ma anche agli ex ducati di Parma e Modena (decreto 15 giugno 1859 a; decreto 15 giugno 1859 b), fu dunque “il primo esperimento di parziale unificazione delle nuove province secondo un modello che non era né piemontese né lombardo” (Atti della commissione Giulini 1962; Raponi 1967).
ultima modifica: 19/01/2005
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