municipalità di Milano 1802 ottobre - 1816 febbraio
In base alla legge sull’organizzazione delle autorità amministrative pubblicata il 24 luglio 1802 in ogni comune dovevano essere attivati una Municipalità e un Consiglio comunale.
Nei comuni di prima classe, quelli cioè con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, le Municipalità erano composte da un numero di membri variabile da sette a nove (a Milano erano nove), proposti “per schede segrete” ed eletti “a maggiorità assoluta di suffragi” dal Consiglio comunale.
Condizione preliminare per la nomina di almeno metà degli amministratori municipali era il medesimo requisito di possidenza necessario per entrare a far parte dei collegi elettorali stabiliti dalla costituzione di Lione del gennaio 1802, cioè una rendita annua non inferiore alle seimila lire accertabile “nel circondario del dipartimento e, in qualche parte, in quello del comune”.
I municipalisti si rinnovavano per un terzo ogni anno, potevano però essere rieletti senza limiti e all’ufficio, che era gratuito, non si poteva rinunciare “senza legittimo impedimento”.
Nella loro attività essi erano coadiuvati da un segretario e da alcuni impiegati.
Convocata “quando il bisogno lo richiede e necessariamente dietro domanda” del prefetto, del viceprefetto o del cancelliere distrettuale, la Municipalità era l’organo esecutivo del comune.
Ogni anno doveva presentare al Consiglio comunale il rendiconto di gestione dell’anno precedente e il prospetto delle spese e delle imposte comunali dell’anno a venire. Proponeva poi gli oggetti alla discussione del Consiglio e ne eseguiva le determinazioni dopo l’approvazione del prefetto, dal quale dipendeva “immediatamente”. In caso di inosservanza delle leggi o di malversazione, il prefetto poteva infatti sospendere l’amministrazione, informandone subito il governo, al quale spettava poi confermare o annullare il provvedimento. E al prefetto la Municipalità doveva trasmettere ogni mese copia degli atti (legge 24 luglio 1802).
La nuova Municipalità di Milano venne eletta dal Consiglio comunale il 25 ottobre 1802. A farne parte furono allora chiamati: Francesco Bignami, sostituito in seguito da Carlo Arconati, Pietro Carcano, Carlo Costa, Emanuele Gallarati, Aurelio Rezzonico, Gaetano Sacchi, Pietro Saint Clair, Antonio Scorpioni e Carlo Villa (Verga 1914).
Il passaggio dalla Repubblica al Regno ebbe significative ripercussioni anche sugli ordinamenti locali e sulle stesse Municipalità, che, in base al decreto 8 giugno 1805, nei comuni di prima classe, dovevano essere formate da sei membri, detti “savi”, guidati da un podestà.
Eletti dal Consiglio comunale “fra i cento maggiori estimati”, i savi dovevano rinnovarsi parzialmente ogni anno e per intero in un triennio ed erano indefinitamente rieleggibili (decreto 8 giugno 1805 a)
Con decreto 22 aprile 1806 il viceré dispose che i savi nominati dai rispettivi Consigli comunali fossero dichiarati in attività e, fino alla nomina dei podestà, autorizzati a scegliere fra loro chi ne supplisse provvisoriamente le funzioni (decreto 22 aprile 1806).
A Milano, in quel periodo, alle nomine dei savi effettuate dal Consiglio avevano fatto seguito altrettante rinunce motivate principalmente dalla cura degli affari privati. Il numero legale di sei savi poté così essere raggiunto solo nel febbraio 1807, quando a ricoprire l’incarico furono Marco Arese, Giangiacomo Bolognini, Cesare Brambilla, Domenico Moioli, Antonio Scorpioni e Cesare Brivio, nelle vesti di “propodestà” (Pagano 1994).
Pochi mesi più tardi, con decreto 5 giugno 1807, le funzioni attribuite alla Municipalità, a tenore del decreto 8 giugno 1805, vennero concentrate nel podestà, che divenne pertanto il vero amministratore del comune. Ai savi non rimaneva che occuparsi di tutti gli oggetti di amministrazione municipale portati alla loro discussione dal podestà, che poteva inoltre delegarli nell’esercizio dei propri diritti e doveri (decreto 5 giugno 1807).
Nella capitale la fase propriamente podestarile ebbe tuttavia inizio solo alcuni mesi dopo la pubblicazione del decreto, quando cioè, cessato l’incarico provvisorio ricoperto dal Brivio, venne nominato podestà Antonio Durini (decreto 30 novembre 1807). Da allora la già scarsa autonomia degli amministratori conobbe un’ulteriore diminuzione, alla quale corrispose una più stretta vigilanza sull’attività del Consiglio e un’accresciuta influenza sulle sue deliberazioni, che il podestà esercitava quale funzionario governativo (Pagano 1994).
ultima modifica: 12/03/2003
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