direzione generale di polizia 1815 aprile 21 - 1859 giugno 8
Secondo l’analisi di Cesare Correnti, per la popolazione “veramente regna e sovrasta a tutti gli altri uffici delle province lombardo-venete, è la polizia, soggetta all’ordine gerarchico dei due governi, ed al viceré, ma in sostanza arbitra pressoché assoluta non degli affari, ma delle persone e specialmente di tutti gli impiegati” (Correnti 1847).
Tra i primi atti legislativi degli austriaci, dopo il crollo del regime napoleonico e il loro ritorno in Lombardia, vi fu la cessazione della “vecchia prefettura di polizia del dipartimento dell’Olona” e la riorganizzazione di una nuova polizia “più conforme alle presenti circostanze” (notificazione 21 aprile 1815). Le funzioni che nel periodo napoleonico erano state attribuite a questa furono demandate e riunite quindi nella direzione generale di polizia, che le avrebbe esercitate a Milano “e nÈ Comuni compresi nel primo distretto coll’opera dei delegati stabiliti in ognuno dei quattro circondari”; negli altri distretti la direzione di polizia si sarebbe avvalsa inizialmente della collaborazione dei rispettivi viceprefetti di Pavia, Monza e Gallarate. I delegati ed i viceprefetti furono dunque immediatamente subordinati alla direzione generale e, nell’esercizio delle loro funzioni, si sarebbero dovuti attenere alle istruzioni ed avrebbero reso conto alla direzione generale stessa (notificazione 21 aprile 1815).
Le disposizioni prevedevano la presenza nel Regno Lombardo-Veneto di due direzioni generali di polizia, una con sede a Milano ed una a Venezia. Se nelle province del Regno l’amministrazione della polizia spettava alle regie delegazioni – presso le quali erano referenti i commissari superiori di polizia – la direzione generale amministrava direttamente la polizia pubblica della città di Milano e della sua provincia. Nella concezione amministrativa austriaca la polizia aveva il compito fondamentale di evitare la politicizzazione della società civile (in tutta la monarchia era in vigore il divieto di associazione politica) ed era “lo strumento principe della paterna vigilanza dell’imperatore”, cioè lo strumento principe di governo (Meriggi 1987, p. 90). Il controllo poliziesco si estendeva infatti non solo sui potenziali cospiratori, sui dissidenti o sugli intellettuali, ma anche e soprattutto sul personale burocratico dell’apparato di stato. In breve insomma il commissario di polizia finì con il contare più di un consigliere di governo o di un delegato provinciale. Inoltre, a differenza di quanto avveniva nell’apparato politico-amministrativo, il personale non “italiano” nella polizia fu numeroso: il ruolo di commissario, ad esempio, fu ricoperto – anche se non esclusivamente – da elementi provenienti dal Trentino; si ricordano il direttore generale della polizia di Milano, Carlo Giusto Torresani, e il giudice Antonio Salvotti, incaricati delle inquisizioni politiche.
Dopo le rivoluzioni del 1848 la direzione generale di polizia, pur essendo nominalmente subalterna alla luogotenenza – che la controllava e ne indirizzava l’azione in sede locale – corrispose separatamente anche con l’autorità suprema di polizia viennese, il dicastero di polizia e censura, che era un vero e proprio ministero di polizia. Da Vienna, dunque, si ricevevano le istruzioni in merito alla sorveglianza politica.
La direzione si divideva in diversi dipartimenti, specificamente dediti ad una materia (igiene, stampa, sicurezza pubblica e privata, teatri, prigioni, ecc.). A capo di ogni dipartimento vi era un commissario superiore cui era attribuito il rango di consigliere, mentre al direttore di polizia era riconosciuto il rango di consigliere aulico.
Dalla direzione generale dipendevano i sette commissari dei quartieri nei quali era divisa la città di Milano (nel 1859) e i commissari superiori residenti presso le autorità provinciali, “il centro cui fanno capo i confidenti incaricati di sorvegliare i cittadini per le tendenze politiche” (Atti della commissione Giulini 1962, p. 188). Dal direttore generale dipendevano inoltre le guardie di sicurezza (o di polizia) sia sotto l’aspetto organizzativo e per l’esercizio delle loro attività sia sotto l’aspetto economico.
I commissari di polizia erano invece impiegati municipali posti alla dipendenza del podestà. In realtà, secondo quanto risulta negli atti della commissione Giulini, con questi “finirono a conservare altro nesso che quello della paga”, poiché nella pratica erano sottoposti agli ordini dei commissari superiori di polizia. Con la circolare del 20 agosto 1852 il corpo delle guardie militari dell’ordine pubblico in Milano cambiò denominazione in Sezione dell’I.R. Corpo delle guardie militari di polizia in Milano (Circolare 20 agosto 1852).
Infine, i direttori di polizia avevano a disposizione consistenti fondi per le spese segrete: per l’anno 1847-1848 ad esempio alla direzione di Milano furono assegnati 120.000 fiorini. La direzione generale di polizia fu soppressa con il decreto 8 giugno 1859: in base a questo, tra l’altro, i circondari di polizia presero la denominazione di circondari di pubblica sicurezza (Atti della commissione Giulini 1962; Correnti 1847; Meriggi 1987; Sandonà 1912).
ultima modifica: 25/10/2005
[ Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria - Milano ]
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/8000328/