dipartimento di censura 1816 - 1859
Il regio ufficio di censura venne istituito con la sovrana risoluzione del 23 marzo 1816 ed entrò in funzione il primo maggio 1816. Organizzata come nelle altre province della monarchia, la censura del Regno Lombardo-Veneto dipendeva direttamente dal governo. Gli uffici, che risiedevano a Milano ed a Venezia, erano composti da un capocensore e da altri tre censori.
Il dipartimento di censura si occupava di tutto ciò che era stampato nel territorio, o che si voleva stampare. I limiti posti alla circolazione delle idee e delle notizie riflettevano in Lombardia e in Veneto il divieto esistente in tutta la monarchia di associazione politica, con lo scopo – evidentemente – di soffocare il dissenso politico ed ideologico nei confronti dell’ordine costituito ma, nonostante la fama, le leggi emanate e vigenti nel Lombardo-Veneto furono, almeno fino al 1848, più tolleranti rispetto a quelle degli altri Stati della penisola, tanto che Milano sin dai primi anni della Restaurazione – forse anche per la presenza di censori meno manichei o per l’impreparazione culturale dei censori stessi – fu sicuramente la capitale dell’industria editoriale della penisola (La Salvia 1977; Greenfield 1940).
Il controllo del censore sulle le opere stampate estere e nazionali si esprimeva attraverso diverse formule: “admittitur” (le opere si potevano vendere e recensire sulle gazzette); “transeat” (si potevano vendere ma non esporre nei negozi o annunciarle sui giornali); “erga schedam” (le opere potevano essere rilasciate solo in seguito ad un permesso speciale dell’autorità a singoli individui, poiché le “cose censurabili prevalgono alle utili”); “damnatur” (proibizione assoluta riservata alle opere che tendevano a sovvertire lo stato, la religione e la morale). Simili erano le formule usate per i manoscritti e le ristampe: “admittitur” (il manoscritto poteva essere stampato nel luogo indicato); “permittitur” (si poteva stampare, ma senza l’indicazione del luogo); “toleratur” (si poteva stampare, ma non annunciare nelle gazzette: questa formula veniva usata “per quegli scritti che possono esser letti soltanto da colte persone, e non giova che si diffondano soverchiamente nel pubblico”). Sempre riguardo ai manoscritti, non venivano ammessi alla stampa se classificati con la formula “non admittitur”, qualora il contenuto venisse considerato censurabile e pernicioso e “typum non meretur”, formula usata per “quÈ miseri libercoli di niun valore, il di cui soggetto è senza interesse o ripugna alla sana ragione e per tutti quegli futili scritti che offendono il buon gusto, le regole dello stile e la purità della lingua”.
I giornali venivano naturalmente controllati dal censore prima di essere stampati, mentre speciali prescrizioni erano previste per i fogli “volanti ed affini”, cioè quelle pubblicazioni “giornaliere di qualunque materia che non eccedano nella stampa li tre fogli di carta e sono avvisi, scritture legali, atti, decreti governativi, poesie, relazioni, ricette e simili”. (Istituzione 22 aprile 1816; notificazione 21 luglio 1818).
Nonostante le funzioni di polizia nei teatri spettassero all’autorità di polizia e, nelle province, ai delegati ed ai commissari, anche l’arte e le opere teatrali erano sottoposte a censura: in caso superassero l’esame la formula usata era “se ne permette la recita”. Nelle diverse province operavano inoltre i censori e revisori per i fogli volanti e per i “libercoli”, mentre i manoscritti che superavano i tre fogli dovevano essere inviati alla censura di Milano (o di Venezia) per ottenere il permesso alla stampa.
La questione della stampa e della censura era sentita in tutto il Regno: forse non a caso il primo provvedimento preso dall’imperatore allo scoppiare dell’insurrezione nei sui territori nel 1848 (a Vienna il 15 marzo ed a Milano il 18) fu l’abolizione della censura e la promessa di una nuova legge sulla stampa, decisione comunicata alla popolazione milanese con un avviso dello stesso 18 marzo. Ma se durante l’insurrezione i giornali e le riviste furono lo strumento principale della vita politica milanese e lombarda, nel decennio di resistenza la situazione andò peggiorando fino a rendere praticamente impossibile la pubblicazione di giornali politici non governativi: la patente imperiale del 13 marzo 1849, pur non contemplando la censura preventiva, introdusse la cauzione per i fogli politici e stabilì pene detentive per reati a mezzo stampa; l’ordinanza imperiale del 6 luglio 1851 attribuì alla luogotenenza la facoltà di sospendere la pubblicazioni di un giornale dopo due ammonizioni scritte (per un periodo non superiore ai tre mesi) e lasciò al Consiglio dei ministri la decisione sulla soppressione definitiva; infine, la materia fu regolata definitivamente con la legge 7 marzo 1852 (ed il suo regolamento esecutivo del 27 maggio) che stabilirono commissioni di censura presso i governi e delegarono al dicastero di polizia la revoca o la soppressione della concessione dei giornali (Della Peruta 1979).
Dopo la conquista della Lombardia da parte delle truppe franco-piemontesi, la proclamazione della libertà di stampa insieme con gli altri provvedimenti previsti furono attuati con il decreto 31 luglio 1859 (che pubblicava e rendeva operante il regio editto 26 marzo 1848 sulla libertà di stampa), con la legge 26 febbraio 1852 (che abrogava alcune disposizioni della stessa), con la legge 20 giugno 1858 (contro l’apologia dell’assassinio politico) ed infine con il decreto 28 aprile 1859, che prevedeva alcune limitazioni alla stampa durante il periodo di guerra (Atti della commissione Giulini 1962; Della Peruta 1979; Greenfield 1940; La Salvia 1977; Meriggi 1987; Sandonà 1912).
ultima modifica: 19/01/2005
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