comune di Milano 1816 - 1859
Dopo la parentesi della reggenza provvisoria del governo di Lombardia, eletta dal consiglio comunale in seguito alla rivoluzione dell’aprile 1814 che aveva sancito la fine del governo napoleonico di Eugenio Beauharnais, il decreto del 12 febbraio e le istruzioni del 12 aprile 1816 introdussero nel Regno Lombardo-Veneto un metodo di amministrazione comunale che si basava “sopra i principi determinati già pei Comuni dello Stato di Milano coll’editto 30 dicembre 1755”. A Milano (così come a Venezia) il consiglio comunale contava sessanta membri, due terzi dei quali appartenenti alla classe dei possidenti estimati per almeno 2.000 scudi censuari, mentre l’ultimo terzo poteva appartenere ai commercianti o agli industriali. La loro nomina spettò per la prima volta al governo su proposta della Regia delegazione; in seguito la sostituzione dei consiglieri ricadde sulle congregazioni provinciali, che vi provvedevano ogni triennio in quote uguali, sopra “dupla” proposta dai consigli stessi ed approvata dalle delegazioni. Gli uscenti furono estratti a sorte nei primi due anni; la norma prevedeva poi la scadenza per anzianità e la possibilità di rielezione dopo un anno. Le riunioni ordinarie dei consigli erano due ogni anno; il regio delegato comunque avrebbe potuto convocarli ogni qualvolta lo avesse ritenuto necessario. Il delegato assisteva inoltre alle sedute e, pur non avendo voto deliberativo, poteva scioglierle quando la discussione non fosse stata conforme alla legge o quando gli argomenti fossero stati estranei alla amministrazione del Comune.
Il potere esecutivo del comune risiedeva nella congregazione municipale, composta da un podestà nominato dal sovrano, sopra una terna proposta dai consigli, e da sei assessori (quattro dei quali scelti tra i possidenti e due tra i commercianti), nominati la prima volta dal governo su proposta delle delegazioni, poi dal consiglio con l’approvazione del governo. Il podestà, che presiedeva la congregazione e distribuiva gli affari tra gli assessori, durava in carica tre anni, gli assessori due.
La prima adunanza del nuovo consiglio comunale di Milano ebbe luogo il 27 e il 30 settembre 1816. Furono presenti il podestà conte Cesare Giulini (che era succeduto nel 1814 al Durini), il regio delegato marchese Pallavicini, gli assessori conte Alessandro Bolognini, don Ignazio Vidiserti, Filippo Ciani e Felice Besana, oltre a quasi tutti i consiglieri. Presidente dell’assemblea fu eletto il conte Luca Somaglia. Negli anni i podestà milanesi che si succedettero furono don Carlo Villa (successo nel 1820 al conte Giulini), nuovamente il conte Antonio Durini (in carica dal 1827) ed il conte Gabrio Casati (dal 1837 al 1848).
Dopo la parentesi rivoluzionaria (22 marzo – 4 agosto 1848) – durante la quale il consiglio e la congregazione svolsero un ruolo fondamentale per quanto molto discusso – il consiglio si riunì per la prima volta l’11 agosto. L’esercito piemontese si era già ritirato e le truppe di Radetzky erano rientrate in città. Podestà era stato nominato, il tre agosto, Paolo Bassi, cui era toccato il compito di consegnare le chiavi della città al feldmaresciallo. La seduta dell’11, alla presenza del regio delegato Giuseppe Guaita, fu considerata valida nonostante la presenza di soli 17 consiglieri (e non vi fosse dunque la maggioranza assoluta). Furono nominati altri assessori provvisori: Agostino Sopransi, Francesco Passetti, Luigi Sessa, Ferdinando Kramer e Giuseppe Valaperta. Si discusse anche dei provvedimenti finanziari da prendersi in quel momento di difficoltà e si stanziarono tre milioni di lire austriache per l’approvvigionamento delle truppe. Tre mesi dopo comunque il Bassi si dimise dall’incarico.
Di fronte ad una situazione carica di tensione per la sconfitta subita, per lo stato d’assedio, per il potere assoluto e vessatorio assunto dal “partito dei militari”, il conte Montecuccoli, ministro plenipotenziario dell’imperatore, comunicò che avrebbe accettato anche l’indicazione di un solo nome invece della terna prevista dalla legge del 1816. Per semplificare la procedura di nomina fu dunque deciso di adottare questa soluzione. Ma il rapporto tra i rappresentanti milanesi e l’Austria era inevitabilmente incrinato: il 12 novembre fu eletto al primo scrutinio Agostino Sopransi, che rifiutò la nomina. Fu scelto allora il conte Filippo Taverna, ma anch’egli rinunciò. Il 15 dicembre il consiglio si radunò per addivenire finalmente alla nomina: fu eletto Luigi Negri, che però rinunciò adducendo motivi di famiglia.
Alla riunione del 22 dicembre Radetzky diffidò il consiglio tramite il governatore militare della città maresciallo Winpffen: se entro otto giorno il consiglio non avesse nominato il podestà sarebbe intervenuto lui stesso, nominando d’autorità il podestà e rimpiazzando i funzionari municipali. Il consiglio deliberò allora che, rinunciando il podestà eletto, venisse incaricato colui che avesse ricevuto più voti allo scrutinio. Ma il 24 dicembre anche Angelo Decio e coloro che avevano ottenuto preferenze dopo di lui rinunciarono (il marchese Lorenzo Litta Modignani, il conte Ambrogio Nava, il nobile Antonio Re e il marchese Pietro Barbò). Radetzky, il 6 gennaio 1849, nominò d’autorità alla carica di podestà Antonio Pestalozza, senza limiti di tempo.
Il Pestalozza rimase in carica fino al 1854, fino alla cessazione cioè dello stato d’assedio. Ma la situazione non migliorò affatto, ed anzi la questione della nomina podestarile di Milano è forse sintomatica della frattura insanabile che si era creata tra la città e l’Austria dopo il ’48: alla scadenza del secondo triennio del Pestalozza, l’11 dicembre, il consiglio fu invitato a procedere all’elezione del nuovo podestà, ma i proposti della prima terna (Paolo Bassi, Filippo Taverna ed Eugenio Venino) rifiutarono. La nuova terna, decisa alla adunanza del 29 dicembre (composta da Alberto de Herra, Francesco Duca e Giuseppe Guaita, indicato il 29 gennaio 1855 dopo il rifiuto di G.B. Lurani), fu considerata di caratura mediocre dalla luogotenenza lombarda, che invitò anzi il consiglio a presentare figure di profilo adeguato a rappresentare la carica di podestà della capitale della Lombardia.
Il Consiglio non si radunò fino al 31 agosto. La nuova terna proposta fu composta da Eugenio Venino, dal nobile Antonio Citterio e dal cavaliere della corona Innocente Pini, i quali, naturalmente, rifiutarono. La regia delegazione convocò una nuova adunanza, il 15 febbraio 1856: da questa uscì la terna composta da Alessandro Sormani, Alessandro Bossi Visconti e dal conte Ambrogio Nava. Questi ultimi due però rifiutarono. Nuova adunanza il 31 marzo: oltre a Sormani il consiglio indicò il conte Luigi Belgioioso e il conte Giuseppe Sebregondi. Entrambi però rifiutarono, così come rifiutarono Alessandro Bossi Visconti e il conte Paolo Taverna, indicati dal consiglio il 26 settembre.
Il 27 novembre 1856 l’imperatore nominava a podestà di Milano il conte Giuseppe Sebregondi, dopo averlo esonerato dalla carica di podestà di Como che occupava. Impossibilitato a rifiutare il Sebregondi sarà l’ultimo podestà nominato dal governo austriaco.
Nel pomeriggio del 4 giugno 1859, dopo la battaglia di Magenta – che aprì la via per Milano alle truppe franco-piemontesi – Cesare Giulini e Cesare Correnti entrarono in città con preciso mandato di Cavour per conferire con la municipalità circa l’immediata annessione della Lombardia al Piemonte. Durante la lunga seduta notturna dello stesso giorno la congregazione municipale milanese (che era composta dal podestà conte Giuseppe Sebregondi, e dagli assessori Achille Rougier, Fabio Borretti, Giovanni Uboldi de Capei, Francesco Margherita, Alberto de Herra e Massimiliano de Leva) deliberò la formazione della guardia di sicurezza (il quartier generale prese poi sede a palazzo Marino, agli ordini di Carlo Prinetti e Carlo d’Adda), la costruzione di barricate, la somministrazione di 100.000 razioni al giorno di pane e di altri viveri. Lo stesso 5 giugno la congregazione votò un indirizzo a Vittorio Emanuele II che riconfermava il plebiscito del 1848. Il giorno successivo il consiglio votò l’indirizzo per acclamazione. Alla congregazione municipale, dato il momento eccezionale, si aggregarono quali coadiutori provvisori Alessandro Porro, Giovanni d’Adda e il conte Cesare Giulini.
Primo podestà nominato dal re subalpino fu Luigi Barbiano di Belgioioso. La pubblica sicurezza della città fu affidata a Paolo Rainoni, con la collaborazione di Alberico Gerli e Pietro Clerici, mentre a capo della divisione militare fu posto Angelo Bongiovanni di Castelborgo. Il consiglio visse altri sei mesi, fino al 14 gennaio 1860 e si radunò – in ottemperanza alla vecchia legge – con l’assistenza di un rappresentante del governo, che fu l’intendente generale della provincia di Milano, il cavalier Viani (Atti della commissione Giulini 1962; Candeloro 1964; Mazhol-Wallnig 1981; Marchetti 1960; Meriggi 1981 b; Meriggi 1983; Meriggi 1987; Raponi 1967; Spellanzon 1960 a).
In seguito alle elezioni del consiglio comunale svoltesi il 15 gennaio 1860 fu nominato sindaco di Milano il dott. Pietro Beretta (legge 23 ottobre 1859).
ultima modifica: 19/10/2003
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