comune di Milano 1848 marzo 18 - 1848 agosto 5
In seguito alla rivoluzione di Vienna ed alla vigilia dell’insurrezione milanese del marzo 1848 le strutture del potere civile milanese si trovarono in uno stato di assoluta evanescenza: il governatore di Milano, conte Gianbattista Von Spaur, era stato posto in congedo e – sostituito provvisoriamente dal vicegovernatore O’ Donnell – era partito da Milano il 6 marzo; il viceré arciduca Ranieri si era ritirato a Verona nella notte del 17 marzo. Dopo gli incidenti avvenuti nel Palazzo del Governo il 18 marzo il vicegovernatore fu costretto a firmare tre decreti (che seguivano la decisione imperiale di concedere una nuova legge sulla stampa e di convocare le Congregazioni del Lombardo-Veneto e gli Stati dei paesi tedeschi e slavi) con i quali destituiva la direzione della polizia, concedeva la formazione della guardia civica e ordinava alla polizia stessa di consegnare le armi al Municipio. Per i due giorni successivi, nonostante gli scontri si susseguissero e risultasse chiara e necessaria una direzione politica e militare, il podestà di Milano Gabrio Casati – che rappresentava la maggiore autorità politica cittadina – non prese una posizione netta, continuando a sostenere di rappresentare esclusivamente il Municipio. Si decise infine la mattina del 20 – al culmine dell’insurrezione – con una ordinanza che annunciava che per “l’improvvisa assenza dell’autorità politica” avevano effetto i decreti del vicegovernatore. Oltre alla costituzione di quattro comitati esecutivi (vigilanza e sicurezza personale, finanza, guerra, difesa e sussistenza), che funzionarono durante l’insurrezione e la guerra come dei veri e propri ministeri, l’ordinanza affidava la direzione della polizia al delegato Bellati e in sua mancanza – poiché prigioniero al Castello – al dottor Giovanni Grasselli. Furono inoltre nominati in qualità di collaboratori del Municipio il conte Francesco Borgia, il generale Lechi, Alessandro Porro, Enrico Guicciardi, l’avvocato Anselmo Guerrieri-Gonzaga e il conte Giuseppe Durini. Quello stesso pomeriggio – forse anche a causa della formazione del consiglio di guerra – Casati emanò un’altra ordinanza in cui annunciava che la Congregazione municipale assumeva “in via interinale, la direzione di ogni potere”: ai collaboratori del Municipio venivano aggiunti Gaetano Strigelli e il conte Vitaliano Borromeo.
Con la nomina dei collaboratori del Municipio la direzione politica degli eventi era stata insomma assunta dal gruppo aristocratico liberale moderato raccolto intorno a Gabrio Casati. La Municipalità aveva creato infatti, pur senza assumerne esplicitamente il nome, una sorta governo provvisorio tentando in qualche modo di restare nell’ambito di una ormai inesistente legalità austriaca. L’equivoco ebbe termine il 22 marzo, con la decisione della Municipalità stessa, maturata dopo i colloqui avuti con l’entourage di Carlo Alberto, di costituirsi in governo provvisorio, del quale fecero parte tra gli altri Vitaliano Borromeo, Gaetano Strigelli, Giuseppe Durini e Anselmo Guerrieri.
Già dalla mattina del 20 marzo 1848 Carlo Cattaneo era comunque riuscito a convincere altri patrioti a formare un organismo che fosse più efficiente nel dirigere l’insurrezione contro il feldmaresciallo Radetzky, che sin dal 18 aveva proclamato lo stato d’assedio ed aveva concentrato in sé tutta l’autorità. Si era costituto il consiglio di guerra, composto dallo stesso Carlo Cattaneo e da Enrico Cernuschi, Giorgio Clerici e Giulio Terzaghi. Obiettivo del consiglio era guidare la lotta contro gli austriaci senza affrontare – anzi rimandando al futuro – la questione sulla forma istituzionale che avrebbe dovuto assumere la Lombardia a guerra vinta (cioè l’unione con il Piemonte o la di creazione di una Lombardia autonoma), e dunque da una parte impedire che la Municipalità accettasse le già accennate offerte di tregua e di armistizio proposte da Radetzky e dall’altra evitare che la Municipalità stessa si legasse esclusivamente a Carlo Alberto, contrapponendo all’idea della guerra Regia e “fusionista” del Re sabaudo (e di gran parte dei nobili moderati milanesi e lombardi) l’idea di guerra federale, alla cui base vi era certamente un forte senso di patriottismo municipale ma anche una più aperta visione di lotta democratica e nazionale che tutta l’Italia avrebbe dovuto sostenere per l’indipendenza.
Il 22 marzo comunque si costituì il governo provvisorio, composto da Gabrio Casati, che ne fu anche il presidente, da Vitaliano Borromeo, Giuseppe Durini, Pompeo Litta, Gaetano Strigelli, Cesare Giulini, Antonio Beretta, Marco Greppi e Alessandro Porro. Alle dirette dipendenze del governo furono create una segreteria generale affidata a Cesare Correnti, unico membro di tendenza democratica, e un ufficio per la sovraintendenza degli affari segreti e diplomatici, affidato a Anselmo Guerrieri. Segretario degli affari diplomatici fu nominato Pietro Tagliabò.
La stessa mattina del 22 – la giornata conclusiva dell’insurrezione – Cattaneo presentò al Casati le dimissioni del consiglio di guerra, proponendo di fonderlo con il comitato di difesa.
L’organismo nato dalla fusione fu il comitato di guerra – presieduto da un membro del governo provvisorio, Pompeo Litta – che svolse in pratica le funzioni di un ministero della guerra. Membri furono Cattaneo, Enrico Cernuschi, Giulio Terzaghi, Giorgio Clerici, Antonio Carnevali, Luigi Torelli, Antonio Lissoni e Riccardo Ceroni. Il comitato diresse vittoriosamente le operazioni della quinta ed ultima giornata di insurrezione; ma politicamente rimase in posizione subordinata sia perché il governo provvisorio impose di controllare e firmare ogni atto pubblicato dal comitato stesso (comprese le notizie della guerra in corso), sia perché il giorno dopo (23 marzo), il consiglio dei ministri piemontese riunitosi sotto la presidenza del Re Carlo Alberto decise di intervenire in guerra.
L’attività del comitato di guerra fu comunque tutta tesa ad organizzare un esercito regolare lombardo e questo fu causa di contrasti con il governo provvisorio il quale, il 26 marzo 1848, stipulò una convenzione con il Piemonte in base alla quale le truppe piemontesi si impegnavano a combattere come alleate a quelle lombarde (affidate a Teodoro Lechi) mentre il governo lombardo si impegnava a fornire le sussistenze necessarie e ad assumere ufficiali piemontesi fuori servizio per inquadrare l’esercito lombardo. Il comitato intendeva invece arruolare i veterani dell’esercito italico e gli esuli forniti di esperienza che avevano combattuto fuori dall’Italia proprio per non sottomettere il costituendo esercito lombardo all’esercito piemontese.
Anche a causa di questi contrasti il 31 marzo comitato di guerra fu costretto a dimettersi ed al suo posto fu organizzato un regolare ministero della guerra con a capo Pompeo Litta che pochi giorni dopo, a causa di una indisposizione, fu sostituto da Giacinto Provana di Collegno, esule sin dai moti del ’21, che arrivò a Milano il 15 aprile (Cattaneo 1921, p. 71).
L’8 aprile successivo il governo provvisorio di Milano decise, in accordo con i membri dei governi insurrezionali delle altre città lombarde, di costituirsi in governo provvisorio centrale di Lombardia aggregandosi un membro per ogni provincia. Il nuovo governo fu composto dal presidente Gabrio Casati e, in qualità di membri, da Vitaliano Borromeo, Giuseppe Durini, Pompeo Litta, Gaetano Strigelli, Antonio Beretta, Cesare Giulini, i quali già facevano parte del governo provvisorio milanese o erano stati nominati collaboratori del Municipio. In rappresentanza delle province lombarde entrarono Anselmo Guerrieri per Mantova (già membro del governo ma ora rappresentante della città ancora in parte occupata dagli austriaci), Girolamo Turroni per Pavia, Pietro Moroni per Bergamo, Francesco Rezzonico per Como, Azzo Carbonera per la Valtellina, l’abate Luigi Anelli per Lodi e Crema e Annibale Grasselli per Cremona. Il 12 aprile a questi si aggiunse Antonio Dossi in rappresentanza di Brescia, che inizialmente aveva opposto qualche resistenza alla creazione di un governo unico. Segretari del governo furono Emilio Broglio, Giulio Carcano e Achille Mauri.
Il governo non assunse in realtà la trattazione di affari propri della municipalità, che anzi fu dal governo stesso affidata al dottor Pietro Bellotti – facente funzioni di podestà – ed agli assessori Mauri e Belgioioso. Il consiglio comunale si radunò per la prima volta il 30 maggio, alla presenza di 33 consiglieri e degli assessori Bellotti, Greppi e Mauri, il primo dei quali come accennato svolgeva le funzioni di podestà, essendo Casati presidente del governo provvisorio.
Durante il periodo rivoluzionario il consiglio si riunì anche il 5 e il 26 giugno, il 26 luglio ed infine il 2 agosto, dietro pressanti inviti del governo provvisorio, per nominare il podestà. Durante la seduta del consiglio, il presidente Paolo Bassi, accennando alla gravità del momento ed alla necessità che Milano avesse una rappresentanza “normale” esortò a scegliere “una persona dotata dei lumi, della volontà e del carattere richiesti dai tempi”. All’unanimità (erano presenti 23 consiglieri ed un assessore) fu così nominato l’avvocato Agostino Sopransi, che accettò e richiese che venissero inoltre nominati degli assessori straordinari provvisori per far fronte alle esigenze del momento. Questi furono Paolo Bassi, Ambrogio Campiglio, il conte Filippo Taverna e il nobile Antonio Citterio. Al nuovo podestà Sopransi furono conferiti pieni poteri per la pubblica sicurezza.
Le allarmanti notizie sull’andamento della guerra dopo la sconfitta di Custoza e le pressioni di Mazzini e Cattaneo avevano portato il governo a costituire a Milano un comitato di pubblica difesa “coi più ampi poteri a tutto ciò che alla medesima si riferisce” (27 luglio). Questo, dopo il rifiuto di Pietro Varesi e di Francesco Arese, risultò composto da Francesco Restelli, da Manfredo Fanti e da Pietro Maestri.
Sempre il due agosto il governo provvisorio – in seguito alla nomina da parte del governo di Torino del consiglio amministrativo per la Lombardia, composto dai commissari regi Angelo Olivieri di Vernier, Massimo Cordero di Montezemolo e Gaetano Strigelli – assunse le funzioni di consulta straordinaria per la Lombardia.
Il tre agosto il consiglio comunale dovette radunarsi di nuovo d’urgenza perché il Sopransi “per sopravvenute circostanze” (Sopransi era cognato del maresciallo Welden) aveva dichiarato di rinunciare all’incarico: al suo posto fu nominato podestà Paolo Bassi.
Il dualismo di poteri che si era venuto a creare in città e le incomprensioni tra i regi commissari e i membri del comitato di pubblica difesa generarono inevitabilmente confusione e sfiducia nella popolazione. Comunque Carlo Alberto entrò in Milano la sera del 4 agosto per raggiungere palazzo Greppi, dove era stato trasferito il suo quartier generale. La stessa sera, alle venti, il consiglio di guerra riunito dal re decise che sarebbe stato impossibile difendere la città ed impossibile la resistenza ed inviò parlamentari a San Donato, dove Radetzky aveva posto il suo quartier generale. L’accordo tra gli interlocutori fu concluso nella notte e fu proprio l’Olivieri a palazzo Greppi a comunicare l’armistizio ai rappresentanti della città ed al comitato di pubblica difesa, che protestarono violentemente per la disfatta e la consegna della città senza alcuna resistenza. Finalmente, dopo vari tumulti della folla radunatasi intorno a Palazzo Greppi, nella notte tra il cinque ed il sei agosto Carlo Alberto ed il suo seguito lasciarono Milano. La città restò così senza una reale direzione politica e fu il podestà Bassi a chiedere a Radetzky di anticipare l’occupazione della città di due ore per ristabilire l’ordine pubblico: alle 10 del sei agosto il maresciallo entrò in città e pose il suo quartier generale alla villa reale. Fu lo stesso podestà Paolo Bassi a consegnargli le chiavi della città sconfitta (Candeloro 1960; Cattaneo 1849; Curato 1950; Curato 1960; Marchetti 1948 a; Marchetti 1948 b; Meriggi 1987; Raccolta 1848).
ultima modifica: 12/03/2003
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