giunta dei confini 1736 - 1743
Il cinquantennio di guerre che aveva visto affrontarsi le maggiori potenze europee per sostenere i loro opposti diritti di successione e che si chiuse con la pace di Aquisgrana del 1748, strappò alla stato milanese diversi territori economicamente progrediti, che vennero a più riprese aggregati al dominio dei Savoia.
Ma se il Ducato di Milano si rassegnò passivamente ad accettare il succedersi dei dominatori che alternativamente, nelle diverse fasi dei conflitti, si acclamavano suoi legittimi pretendenti insediandosi nella capitale milanese, tenace fu la lotta condotta per opporsi agli smembramenti territoriali dello stato.
Già a partire dal febbraio del 1707, quando conquistato il Ducato il principe sabaudo, Vittorio Amedeo, chiedeva gli venissero assegnate le province di Alessandria e di Valenza con tutte le terre situate tra il Po e il Tanaro, oltre al Vigevanasco, alla Lomellina ed alla Valle Sesia, il Consiglio dei Sessanta decurioni e la Giunta urbana di Milano immediatamente rimostrarono ed ottennero di inviare a Vienna una delegazione della Congregazione di stato per cercare di trattare direttamente con il governo imperiale. Vani tentativi: i patti di Utrecht confermarono le rivendicazioni dello stato piemontese.
La situazione si ripresentò pressoché invariata, vent’anni più tardi, in occasione della guerra di successione polacca.
Quando nell’inverno del 1736 il Ducato di Milano, più volte occupato dagli schieramenti in lotta, ritornò sotto il dominio dell’Austria, le magistrature milanesi reagirono costituendo una Giunta senatoria dei confini per la ripresa delle trattative diplomatiche con le fazioni avverse. Con il dispaccio del 24 dicembre 1736 l’imperatore Carlo VI nominava quali membri della Giunta, il presidente del Senato Pertusati, l’avvocato fiscale Cavalli, e delegava al governatore Traun l’incarico di eleggere altri cinque o sei senatori. Vennero quindi designati il vice presidente del Senato, Giorgio Olivazzi, il conte reggente Perlongo, il marchese senatore Gerolamo Erba, il conte senatore Giovanni Battista Trotti, e ancora il conte senatore Giuseppe Opizzoni. Il 30 marzo dell’anno successivo, per accelerare i lavori, Carlo VI ordinava la nomina di due commissari, che avrebbero dovuto collaborare attivamente con la Giunta di cui erano membri: si trattava del reggente Perlongo, estraneo al Ducato e quindi al di sopra degli interessi particolaristici, e dell’avvocato fiscale Cavalli, esperto in materia di confini e agile argomentatore in capo giuridico.
Affinché i lavori preparatori procedessero più speditamente ai singoli membri della Giunta venne affidato lo studio e la pianificazione di singole problematiche: la questione di Serravalle venne affidata al Cavalli, quella del Vigevanasco e del Naviglio grande al Trotti.
Tuttavia durante le prime trattative con lo stato piemontese, Vienna si limitò ad esaminare le questioni sollevate dai piemontesi senza esaudire le richieste della neo costituita Giunta dei confini, la quale sollecitava le venissero trasmessi gli incartamenti relativi alle terre ed ai problemi che si andavano trattando. Lo smembramento del Ducato fu inevitabile. Il trattato di Worms del settembre del 1743 elencava le nuove province cedute e disegnava i nuovi confini dello stato di Milano, stretto tra il Piemonte ed il Veneto: la nuova linea di demarcazione sarebbe passata per la metà del lago Maggiore, del fiume Ticino, del fiume Po (Annoni 1959; Capra, Sella 1984).
ultima modifica: 29/05/2006
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