regno Lombardo-Veneto 1815 - 1859
Falliti i piani dei rappresentanti lombardi inviati dalla reggenza provvisoria del governo di Lombardia a Parigi – dove si erano svolti i primi colloqui diplomatici tra i rappresentanti dei paesi vincitori di Napoleone – per ottenere una sostanziale autonomia da Vienna e possibilmente un regno separato di Lombardia inglobando parte del Piemonte e della Liguria, il destino delle province annesse ufficialmente all’Impero il 12 giugno 1814 si decise a Vienna, dove il 31 luglio 1814 l’imperatore Francesco I aveva istituito la commissione aulica centrale di organizzazione. Presieduto dal conte Procop Lazansky (figura di primo piano del gruppo dirigente di Vienna), questo consesso ebbe l’incarico di formulare proposte e progetti per l’integrazione e per il nuovo ordinamento delle province occupate. Dai lavori della commissione, cui parteciparono anche i rappresentanti delle oligarchie lombarde e venete e che concluse la propria attività intorno alla fine del 1817, emerse sostanzialmente la nuova struttura dei territori che la sconfitta di Napoleone aveva fatto acquisire, o riacquisire, all’Austria.
A fronte delle differenti posizioni ideologiche dei funzionari austriaci in seno alla commissione – molti dei quali, tra cui il plenipotenziario Bellegarde, sinceramente ammirati dell’organizzazione amministrativa del cessato Regno napoleonico – i rappresentanti lombardi e veneti puntarono allora ad ottenere, ed in parte ottennero, “la cancellazione giuridica del quindicennio napoleonico” (durante il quale essi erano rimasti ai margini dell’organizzazione statale) e la reintroduzione di una costituzione cetuale che ricalcasse sostanzialmente quella teresiana settecentesca (Meriggi 1983, p. 35).
Con la sovrana patente del 7 aprile 1815 la Lombardia ed il Veneto furono unite nel Regno Lombardo-Veneto. La denominazione, decisa dopo aver scartato definizioni come Ost und West Italien (Italia orientale ed occidentale) e come österreichische Italien (Italia austriaca), era stata adottata con l’intento di dare ai sudditi italiani una sensazione di relativa indipendenza da Vienna ed anche per stimolare un “senso di avvicinamento che rendesse possibile un futuro unitario, tra le popolazioni lombarde e quelle venete” (Meriggi 1987, p. 18).
Il nuovo Regno comprendeva tutti i dipartimenti delle province lombarde e venete del cessato Regno d’Italia con l’esclusione di Novara, tornata al Piemonte, e dell’Alto Adige, riacquisito anch’esso dall’Austria ma conglobato nel land del Tirolo.
La patente del 7 aprile, considerata l’atto costitutivo del Regno, ne delineava naturalmente la struttura: il regno si divideva in due territori governativi, separati dal fiume Mincio. Il territorio alle destra del fiume veniva denominato Governo milanese, quello alla sinistra Governo veneto (art. 6). Ogni governo si divideva in province, ciascuna provincia in distretti ed i distretti a loro volta in comuni (art. 7). La direzione generale degli affari di ogni governo veniva affidata ad un governatore e ad un collegio governativo, che risiedevano a Milano ed a Venezia. Il vincolo morale e politico dei due territori, oltreché vertice dell’amministrazione era il viceré, rappresentante dell’Imperatore (art. 5). Naturalmente, a sottolineare la dipendenza degli organi locali, la patente specificava che essi avrebbero esercitato il loro ufficio “colla dovuta dipendenza da’ Nostri Aulici Dicasterj”.
L’amministrazione delle province veniva affidata ad una regia delegazione che dipendeva dal governo (art. 9). La figura incaricata di gestire l’amministrazione dei distretti era il cancelliere del censo – dal 1819 denominato commissario distrettuale – il quale sotto la dipendenza della rispettiva regia delegazione aveva “la superiore ispezione sopra i Comuni di seconda e terza classe, tutta l’ingerenza negli affari censuarj e la sorveglianza generale sui comuni delle suddette classi per l’adempimento delle leggi politiche” (art. 10). Rimaneva momentaneamente in vigore la divisione dei comuni in tre classi, così come la struttura delle amministrazioni municipali. I comuni di prima classe, le città regie e quelle nelle quali veniva fissata la residenza della regia delegazione dipendevano direttamente dalle regie delegazioni stesse e non dai cancellieri del censo (art. 11).
Infine la patente definiva le forme di rappresentanza consultiva dei sudditi del nuovo regno: si istituivano infatti dei “collegi permanenti composti di varie classi d’Individuj nazionali […] per conoscere con esattezza nelle vie regolari i desiderj, e bisogni degli abitanti […], e per mettere a profitto nella pubblica Amministrazione i lumi e consigli che i loro rappresentanti potessero somministrare a vantaggio della Patria”. Queste erano le congregazioni centrali (con sede a Milano e a Venezia) e quelle provinciali.
Dalla patente istitutiva si denota comunque la subordinazione del nuovo Regno all’apparato amministrativo e politico di Vienna. Questo per la direzione suprema degli affari di stato contava di un certo numero di dicasteri aulici, nei quali le decisioni si prendevano a maggioranza dei voti. Alcuni di questi avevano competenza su tutto il territorio dello Stato: la cancelleria di Stato, di corte e della casa imperiale per gli affari esteri; il consiglio aulico di guerra per gli affari militari; la camera aulica generale per le questioni finanziare, commerciali ed industriali; la direzione generale dei conti. Gli affari più specificamente politici erano trattati dalla cancelleria aulica riunita, istituita in seguito allo scioglimento della commissione aulica di organizzazione centrale, che in qualità di ministero dell’interno, culto ed istruzione, era composta da un cancelliere supremo e ministro degli interni e tre cancellieri aulici. Le cancellerie nazionali furono abolite (ad eccezione di quella dell’Ungheria), e venne istituito un dipartimento centrale unico degli interni, suddiviso in tre sottodipartimenti distinti per aree territoriali: Austria-Illiria, Boemia-Galizia e Lombardo-Veneto (carica ricoperta inizialmente da Giacomo Mellerio e l’anno successivo dal governatore di Venezia conte Peter Goess). Nel 1830 la cancelleria venne nuovamente riformata: i tre cancellieri “nazionali” furono sostituiti da un cancelliere supremo, un cancelliere aulico, un cancelliere ed un vicecancelliere.
Dal maggio 1848, dopo le rivoluzioni scoppiate in Europa e nel Lombardo-Veneto, furono emanate le nuove disposizioni per l’organizzazione e l’amministrazione del Regno. Al posto della carica vicereale venne istituita una commissione imperiale plenipotenziaria per le province lombardo-venete, presieduta dal maresciallo Montecuccoli, con poteri sia civili sia militari. La commissione restò in carica dal 2 maggio 1848 al 1 novembre 1849, fino cioè all’entrata in vigore del governatorato generale civile e militare del Lombardo-Veneto (istituito con decreto imperiale il 25 ottobre 1849). La carica di governatore fu affidata a Radetzky e successivamente al congedo di questo, avvenuto nel gennaio 1857, all’Arciduca Ferdinando Massimiliano, fratello di Francesco Giuseppe. La soppressione della sezione militare, il ristabilimento dell’amministrazione civile e la cessazione del Governo militare, avvenuti contemporaneamente alla nomina di Massimiliano, ebbero come effetto immediato un alleggerimento della pressione poliziesca ed un certo allentamento della censura e di conseguenza una maggiore vivacità politica (Raponi 1967, p. 231). Parte delle attribuzioni dei governi furono inoltre rimesse a due luogotenenze con sede Milano e a Venezia, anche se numerosi settori della vita pubblica ed amministrativa furono avocati all’amministrazione centrale di Vienna. Con queste riforme, il Regno subì quindi una profonda trasformazione politica ed amministrativa, che accrebbe l’accentramento politico ed amministrativo dei due territori rispetto all’Impero.
La battaglia di Magenta del 4 giugno 1859 liberò ai franco-piemontesi la via per Milano, dove l’8 giugno entrarono, accolti trionfalmente, Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Il giorno dopo il consiglio comunale votò per acclamazione un indirizzo che, ribadendo la validità del plebiscito del 1848, sanciva l’annessione della Lombardia al Regno di Vittorio Emanuele II.
Il regno lombardo-veneto cessò di esistere sul piano del diritto internazionale in seguito della pace di Zurigo, il 10 novembre 1859, che sancì l’unione della Lombardia al Piemonte (Atti della commissione Giulini 1962; Candeloro 1964; Mazhol-Wallnig 1981; Marchetti 1960; Meriggi 1981 b; Meriggi 1983; Meriggi 1987; Raponi 1967; Spellanzon 1960 a).
ultima modifica: 03/01/2006
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