capitano di Monza sec. XIV - 1757
“Alla stratificazione di norme risalenti ad epoche diverse era dovuto il fatto che nello statuto monzese la carica più alta del governo cittadino assumeva di volta in volta titoli diversi: rector, potestas, vicarius, capitaneus”: il rettore o vicario o podestà o capitano, a norma dello statuto, esercitava tutte le supreme funzioni del governo locale, da quella giurisdizionale a quella di convocare il consiglio cittadino, a quella di mediatore tra il governo della comunità e quello centrare, a quella ancora di disporre in merito a tutti gli affari di interesse pubblico (Storti Storchi 1993).
Eletto direttamente dal signore tra una rosa di candidati predisposta dalla curia del comune, il capitano di giustizia – nel periodo medievale ed agli inizi dell’età moderna detto anche capitano di Monza – per entrare in carica, secondo quanto stabilito dagli statuti, doveva prestare giuramento di fedeltà alla chiesa, all’impero, alla signoria: egli si dichiarava infatti “fedele della Santa Madre Chiesa, del Sacro Impero, del signore di Milano l’illustre ed eccelso miles Azzone Visconti signore perpetuo della terra, del comune e degli uomini di Monza” (Barni 1975); a lui erano affidati uomini, beni e diritti del borgo, a lui spettava reggerli, custodirli, governarli e difenderli; “la sua attività doveva essere spesa prima di tutto a tutela dei diritti personali e di quelli patrimoniali, non solo dei singoli ma soprattutto della res publica” (Storti Storchi 1993).
Nel corso dell’età moderna il capitano di giustizia di Monza veniva ancora nominato dal signore feudale: il “mero et misto imperio” e la “potestà di spada” che la formula di investitura affidava al feudatario, era stata a tal punto svuotata da ridursi infatti alla sola nomina del capitano, giudice in materia penale e civile, solo però di primo grado, sul cui operato gli organi statali mantenevano facoltà di controllo.
I compiti affidati al capitano di Monza lo impegnavano in importanti mansioni, che alla amministrazione della giustizia, alla tutela dell’ordine pubblico, alla manutenzione delle carceri, alla affissione in pubblico di decreti e gride, perché tutti ne venissero a conoscenza, affiancavano compiti di polizia annonaria e di controllo sulla corretta applicazione delle leggi in Monza e nei territori della sua corte. Delicata e politicamente rilevante era inoltre l’azione di sindacato e di direttiva esplicata dal podestà sugli organi locali: per legge assemblee e consigli potevano radunarsi solo su suo mandato e deliberare sempre alla sua presenza od a quella del suo luogotenente (Superti Furga 1979).
La comunità di Monza, secondo quanto affermato nelle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751, non corrispondeva alcun salario al capitano di giustizia, ma era tenuta a sostenere le spese relative alla manutenzione del palazzo pretorio, presso cui risiedeva il capitano, e delle carceri, oltre “al pagamento del salario del baricello e quattro fanti che continovamente servono in detto Pretorio” (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3063).
ultima modifica: 13/10/2003
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