corte di Monza sec. IX - sec. XVI
Secondo Paolo Diacono, la regina longobarda Teodolinda fece costruire a Monza la basilica di San Giovanni Battista, nella quale il vescovo Secondo di Non, aperto difensore dello scisma dei Tre Capitoli, battezzò il figlio di Agigulfo e Teodolinda, Adoaldo, e per la quale Teodolinda rivendicò l’esenzione dalla giurisdizione diocesana (Historia Langobardorum, IV; Vigotti 1974). Come istituzione regia, la basilica monzese mantenne a lungo un regime particolare che la portò a esercitare prerogative spirituali sui territori soggetti alla propria giurisdizione temporale, ma anche su numerose chiese e perfino pievi come San Giuliano [di Cologno] e Locate; il territorio che Monza sottoponeva a tale giurisdizione era definito “corte” o “abbazia” (Palestra 1984; DCA, Monza).
Dal testamento del diacono Nazario, dell’845, si rileva la presenza nella basilica monzese di un clero secolare composto da presbiteri, diaconi, suddiaconi, chierici che vivevano in vita comune o canonica (Storia di Monza e della Brianza, I).
Nell’879 la corte della basilica di San Giovanni Battista risultava concessa in beneficio al conte Liutfredo, nipote di Ugo e Ava di Tours; costoro prima dell’837, data della sepoltura di Ugo nella chiesa, avevano donato alla basilica la corte di Locate. Un diploma dell’imperatore Carlo il Grosso del 881 confermava tale donazione, mentre un diploma di Berengario I del 920 riconosceva come canonici i trentadue componenti del capitolo monzese, sottoponendo le corti briantee di Cremella, Bulciago e Calpuno, l’attuale Lurago d’Erba, al pagamento delle decime battesimali (DCA, Monza). Risalirebbe all’età di Berengario anche la soggezione alla chiesa monzese della pieve di Cologno (Storia di Monza e della Brianza, I).
Nell’evangelistario monzese dell’XI secolo risultano visitate nell’“ordo litaniarum ecclesie modoetiensis” le chiese stazionali di Santa Agata, San Fedele, San Giorgio, San Maurizio, San Donato, San Vittore, San Salvatore, San Pietro, San Lorenzo, San Martino, San Biagio, San Michele, San Lorenzo (Frisi 1794).
Secondo la bolla di Alessandro III del 30 marzo 1169, il territorio posto alle dipendenze della basilica di Monza comprendeva le chiese di San Michele, San Salvatore, San Pietro, San Vittore, San Maurizio con l’ospedale, San Lorenzo con l’ospedale, San Martino, San Biagio, Sant’Agata, Sant’Ambrogio, San Donato con l’ospedale, San Fedele, Sant’Anastasia di Monza; Sant’Alessandro di Bladino; San Cristoforo di Occhiate; Santa Maria di Sirtori; Sant’Alessandro, San Salvatore, San Michele, Sant’Eusebio di Sesto; Santa Maria di Tenebiaco; Santa Maria di Sundri; la pieve di San Giuliano di Cologno con le chiese di San Martino, San Maurizio di Albairate; San Remigio di Vimodrone; San Gregorio, San Nazaro di Cologno; Santi Carpoforo e Alessandro, con l’ospedale di Cogliate; Sant’Eugenio di Concorezzo; Santa Maria e San Fedele di Velate; San Sisinio di Cremella; il monastero di San Pietro di Cremella; San Gregorio di Oriano; San Giovanni di Bulciago; San Giorgio di Colzago; San Giovanni di Varenna; Santa Maria di Sala al Barro; San Pietro di Sirone; Santa Maria di Castelmarte. La bolla di Alessandro III precisava inoltre le pertinenze temporali nelle corti di Cremella, Bulciago, Calpuno (Lurago d’Erba), Velate (Usmate), Lauredo (Albavilla), Castelmarte, Varenna e Locate (DCA, Monza).
In una carta del 1278, allegata all’indice delle chiese stazionali, la basilica di San Giovanni Battista faceva capo alle chiese di San Fedele, San Maurizio, San Donato, San Lorenzo, San Martino, Sant’Alessandro “ad buschum” di Monza; Sant’Eugenio di Concorezzo; San Carpoforo, San Giorgio di Cogliate; Sant’Alessandro, San Michele di Sesto; San Giuliano di Cologno; San Sisinio di Cremella; San Giovanni di Bulciago; San Giorgio di Calpuno; San Giovanni di Castelmarte; alle cappelle di San Michele, San Vittore, Sant’Agata di Monza; San Maurizio “de Catiis” di Cernusco Asinario; e alla chiesa “seu capella” di San Vittore “de…” (Frisi 1794).
Il Liber notitiae ricorda le chiese di Monza e della sua corte, senza però elencarla tra le pievi: Sant’Agata, Sant’Alessandro ’al Bosco’, San Biagio, San Donato, San Fedele ’al Parco’, San Francesco, San Giacomo Zebedeo, San Grisogono, San Lorenzo, Santa Maria (”ecclesia rupta”), San Martino, San Maurizio, San Michele, San Pietro, San Salvatore, Tutti i Santi, San Vittore, San Bartolomeo “humiliatis”, Santa Maria “fratrum Sancte Agathe”, Santa Maria (”de monasterio Angino”) di Monza; ’Villasanta’ (Sant’Anastasia “apud Modoetiam”); ’San Damiano’ (”Baratia”); ’Brugherio’ (San Bartolomeo “in Baratia de Modoetia”); ’San Giorgio al Parco’ (”Colliate Martiane”); San Gregorio, San Nazaro, San Giuliano (”canonica”), San Martino (’San Maurizio al Lambro’) di Cologno Monzese (”Colognia apud Lambrum”); Sant’Eusebio, San Michele, San Nicolao, San Salvatore, Santo Stefano, Sant’Alessandro (”apud Sextum iuxta Lambrum”) di Sesto “super Lambrum”; ’Torretta di Sesto’ (”Sexto Tenebiago”); ’Cascina de’ Gatti’ (Santa Maria “Xondri de Sexto”) (Liber notitiae; Vigotti 1974). Nel 1398 la “curia” di Monza comprendeva, oltre la canonica, le “capelle” di Santa Maria “de Vellate”; San Carpoforo, Sant’Alessandro al Bosco, Sant’Agata, San Maurizio, San Michele, San Donato “prope torratiam”, San Giorgio “apud vellum”, San Fedele, San Lorenzo (”in curia de Modoetia”), San Martino, San Giovanni evangelista di Monza; Sant’Alessandro, San Michele di Sesto San Giovanni. A quella data il collegio canonicale risulta composto dall’arciprete e trentuno canonici. Nel territorio della corte di Monza inoltre risultano comprese la canonica di San Giuliano di Cologno [Monzese] con la cappella di Santa Maria di Vimodrone; i “fratres” di Sant’Agata di Monza “ordinis humiliatorum”; San Bartolomeo di Monza “cum domo fratrum de medio vico”; San Michele di Monza “cum domo fratrum de Lixono”; i “fratres di Cavenago; i “fratres” di “Ripalta”; la “domus dominarum de Leucho”; la “domus domine Beatricis da Lambro”; la “domine humiliate caputie”; la “domine humiliate” di Bernareggio di Monza; la “domine humiliate” di Biassono; l’ospedale di San Gerardo di Monza; i monaci del monastero di Cremella; il monastero di Sesto San Giovanni; la “domine humiliate” di Sesto San Giovanni; il monastero di Ingino (Notitia cleri 1398). Secondo lo Status ecclesiae mediolanensis, nel XV secolo, in Monza, c’erano trentadue canonici oltre all’“archipresbyter”; la corte di Monza comprendeva i monasteri “fratrum Mendicantium”, cinque “monasteria ordinis humiliatorum”, sei “monasteria monialium intus et extra”; nella “curia” di Monza c’era inoltre l’ospedale di San Gerardo.
L’indipendenza del capitolo di Monza dalla sede arcivescovile milanese si rileva anche dalla controversa questione dei riti adottati nel duomo monzese e nelle chiese dipendenti. Nell’alto Medioevo fu in uso il rito di papa Gregorio Magno, ossia il rito romano, in seguito riti francesi e monastici e, dal XIII secolo, il rito patriarchino, adottato nella chiesa di Aquileia e in quella di Como, quest’ultima in contrasto con il metropolita milanese e divenuta suffraganea del patriarca di Aquileia (Palestra 1984). La prevalenza del rito patriarchino a Monza è da attribuirsi, secondo il Frisi, ai tempi dell’arciprete Raimondo della Torre che nel 1260 fu nominato vescovo di Como e nel 1272 fu promosso alla sede di Aquileia; il codice monzese del cerimoniale patriarchino risale infatti al XIII secolo (Frisi 1794). Secondo un altro punto di vista, il predominante influsso aquileiese a Monza sarebbe stato fin dall’origine connesso alla crisi provocata dallo scisma tricapitolino, sostenuto dalla regina Teodolinda e dal suo clero, e in particolare da Secondo di Non, il quale appoggiò la ribellione del vescovo di Como alla Chiesa milanese (Vigotti 1974).
L’arcivescovo Carlo Borromeo nella sua opera di rifondazione della diocesi si propose di unificare i diversi riti in uso nel territorio milanese con l’adozione generale del rito ambrosiano. Ottenuta nel 1575 l’autorizzazione pontificia, inaugurò l’introduzione del rito ambrosiano nella basilica di Monza con un pontificale il giorno di San Barnaba dell’anno 1578, esautorando del tutto il rito patriarchino che ancora persisteva nella celebrazione pasquale (Frisi 1794). Ma in seguito alla richiesta rivolta al Papa da parte del popolo e del clero, l’arcivescovo, in data 16 ottobre 1578, concesse l’uso del rito romano (Vigotti 1974).
All’epoca dell’arcivescovo Carlo Borromeo, nel territorio della corte di Monza, oltre alla canonica di San Giovanni, i ventinove canonicati e l’arcipresbiterato, risultano comprese le cappelle di “Poronzoni”, Santa Maria “de Vellate”, San Carpoforo, Sant’Alessandro al Bosco, Santi Pietro e Paolo in San Giovanni di Monza, Sant’Agata di Monza, San Fedele, San Vincenzo con il clericato di San Martino, San Donato presso la Torrazza, San Giorgio “appresso il Vello”, Santa Maria in San Giovanni, Crocifisso in San Giovanni, Crocifisso, “cappella sive clericato” di San Lorenzo, Santa Lucia, una cappella dotata, San Giacomo di Sesto San Giovanni; oltreché, in San Giovanni di Monza, otto cappelle ducali e la cappella di Santo Stefano; i due clericati di San Maurizio, quelli di Sant’Alessandro di Sesto San Giovanni “alias Acurtii” e altri due clericati, di cui uno di Sesto San Giovanni; la rettoria di Santo Stefano di Sesto San Giovanni con il clericato di San Michele (Liber seminarii 1564).
Dall’epoca post-tridentina il territorio della corte di Monza risulta definitivamente identificato come pieve nella regione IV della diocesi di Milano.
ultima modifica: 04/01/2007
[ Marina Regina ]
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