consiglio generale sec. XII - 1743
Il consiglio generale aveva una composizione mista: 48 membri erano elettivi e 12 nominati dal podestà, che al tempo della redazione degli statuti era un vicario (cap. 92)
Le prerogative del consiglio generale erano molto ampie: innanzi tutto svolgeva, con il consiglio di credenza funzione legislativa: nessuna modifica avrebbe potuto esserre apportata allo statuto del 1392 in mancanza di una delibera favorevole dei due consigli, oltre alla conferma del dominus mediolani (cap. 192).
Il consiglio generale eleggeva i principali ufficiali cittadini e i membri del consiglio di credenza (cap. 93), aveva potere accusatori speciali contro i responsabili di danni provocati (cap. 72). Era competente, inoltre, in materia di spese e di entrate del comune (capp. 150 e 196) e aveva podestà di autorizzare il vicario a compiere ambasciate. (cap. 198)
L’ampiezza di tali poteri fu via via limitata per volontà dei Visconti. Con decreto del 1368 Gian Galeazzo subordinò all’approvazione signorile la validità delle delibere in materia di spese straordinarie ed escluse che qualunque vigevanese potesse ottenere l’immunità riguardo a frodi e taglie (cap. 291)
Tali disposizioni furono in parte modificate, in parte confermate da Bianca di Savoia: l’autorizzazione del dominus mediolani era imposta per la validità delle delibere relative alle spese straordinarie superiori a dieci lire. Solo il signore, inoltre, aveva la facoltà di imporre “taleae” e di autorizzare, insieme con il consiglio maggiore, le ambasciate del vicario. (cap. 304)
Bianca di Savoia intervenne anche in merito all’organizzazione e alle funzioni dei consigli, sancendo la netta distinzione tra il “Consilium Maius” (probabilmente il corrispettivo del consiglio generale) e quello dei “duodecim sapientes” (cap. 306), la stessa, inoltre, fissò il numero massimo di trentasei persone che avrebbero dovuto costituire gli uffici di Vigevano (consoli, procuratori, “canevarii e rationatores”) (cap. 305)
Alle due parti in cui era divisa la società vigevanese (altri documenti quattrocenteschi parlano di una suddivisione triplice su basi economiche) venivano assegnate otto “sortes”, cioè all’interno di una rosa di persone ne venivano estratte otto che potevano eleggere tre consiglieri non più di tre per famiglia poteva accedere al consiglio generale.
La serie dei decreti signorili per Vigevano, aggiunti al testo del 1392, termina con alcuni capitoli non datati, collocati sotto la rubrica “Statua ordinata in successionibus”(Chittolini 1992).
Facino Cane, che fu signore di Vigevano dal 1409 al 1412 attuò una riforma del consiglio generale che permise alle grandi famiglie di estendere il loro controllo su un numero maggiore di cariche pubbliche: sei di una stessa parentela potevano essere consiglieri e una stessa famiglia poteva avere più ufficiali. (si trattò di una chiusura oligarchica, probabilmente un tentativo di Facino di salvare una situazione in crisi, cercando di avere l’appoggio delle famiglie più potenti. Infatti nel 1412 sette famiglie vigevanesi avevano in tutto 29 rappresentanti nel consiglio, controllandone, praticamente, la metà. Tale situazione si mantenne anche negli anni successivi)
Negli anni attorno al 1420 si tornò, però, alla vecchia norma, per cui non potevano essere eletti più di tre membri per famiglia.
La situazione cambiò notevolmente in seguito all’aumentare del potere mercantile (settore laniero), infatti molti mercanti entrarono a far parte del consiglio generale (Chittolini 1992).
Agli inizi degli anni sessanta del Quattrocento la lotta politica tra personaggi anti sforzeschi e filo sforzeschi fu così aspra da provocare crisi anche a livello amministrativo. Valutato il fatto che fossero state compiute delle irregolarità nelle elezioni dei consigli generali del 1462 e del 1463,
nell’agosto dello stesso anno si avviò una riforma che porterà all’elezione di un nuovo consiglio nell’ottobre del 1463, che rimase in carica per quindici mesi.
Il vicario generale scrisse a Milano che aveva scelto sedici uomini dei più vecchi, dei più pratici e di miglior coscienza, ai quali aveva demandato di eleggere un nuovo consiglio. Dato che poi era norma che dodici consiglieri fossero eletti dal podestà, lo fece lui stesso.
Appena varata la riforma il consiglio generale così eletto mandò degli ambasciatori a Milano perchè chiedessero al duca che la riforma fosse revocata.
Non si conosce il testo della riforma, ma attraverso la lettura di altre fonti si possono citarne i criteri ispiratori che furono: in primo luogo si doveva ritornare agli statuti del 1392, quindi non più di tre persone per famiglia potevano essere elette nel consiglio, e, soprattutto, nessun straniero poteva farvi parte (Chittolini 1992).
In occasione del rinnovo delle cariche consiliari il 29 dicembre 1523, si trova, tra i nominativi, anche quello di Simone del Pozzo che nella seduta del 1° gennaio 1524 compare tra i quaranta consoli eletti. Lo stesso Simone sarà anche cancelliere del comune dal 1528, da questa data inizia la sua vita politica che durerà fino al 1568, da quella data risulta dai verbali delle sedute del consiglio generale che Simone del Pozzo lascia il posto al notaio Giuliano Portalupo (Cantella1916).
Sull’elezione dei signori del consiglio maggiore e altri ufficiali della città di Vigevano, nel 1532, si stabilisce che il consiglio generale sia composto da 60 uomini i cui padri siano nati a Vigevano e almeno vi abbiano abitato da 20 anni. Sempre alla presenza del podestà di Vigevano si estraevano a sorte 16 uomini fra i quali se ne sceglievano 3.
Il podestà sceglieva gli altri (esclusi i dodici) fino a raggiungere il numero 60 .
Il consiglio aveva il potere di trattare gli affari della città e durava in carica un anno.
I consiglieri erano tenuti al giuramento davanti al podestà. Il consiglio si tenevo in un luogo deputato e le votazioni venivano fatte con “bussolas et ballotas”.
I consiglieri assenti non giustificati, e quelli che abbandonavano il consiglio prima della fine senza il permesso erano passibili di una multa di 10 soldi.
Il podestà poteva costringere i renitenti a presenziare (era vietato insultarsi, occupare posti altrui e portare armi in sede consigliare).
Il consiglio generale eleggeva ogni anno quattro cittadini vigevanesi nel ruolo di ragionieri per la comunità.
Il primo gennaio di ogni anno il consiglio generale eleggeva due cancellieri annuali che percepivano un salario stabilito dal consiglio stesso, e sei servitori con funzioni di messi, questi dovevano essere sudditi di Vigevano e nativi della città.
Prima di prendere servizio giuravano nelle mani del podestà e ricevevano un salario mensile a carico del comune.
I trombettieri erano due banditori che proclamavano le grida del comune, avevano un salario mensile e giuravano nelle mani del podestà.
(Duboin Vigevano 1532)
Con decreto del Senato di Milano del 25 gennaio 1537 il consiglio generale di Vigevano veniva ridotto a quaranta decurioni (Duboin Raccolta), come voleva il gruppo al potere, impone una vacanza di un anno dalla carica, in modo da garantire, almeno teoricamente, una più larga partecipazione dei cittadini alle magistrature comunali. E un provvedimento, sentenza del commissario Ludovico Moresino del 3 gennaio 1543, obbliga i reggenti a trattare gli affari economici del comune e, in particolare, l’imposizione di nuove tasse, sempre alla presenza di tre rappresentanti del popolo, uno per parrocchia, cui viene riconosciuto, però, solo il diritto di informazione. Malgrado questi interventi i mercanti mantengono intatti privilegi e potere (Colombo 1916).
Con tale decreto si imponeva anche che il denaro pubblico veniva gestito solo dal Tesoriere o Esattore e il consiglio generale doveva chiedere rendiconto al Tesoriere e Gabelliere.
Si eleggevano annualmente tre rappresentanti del popolo (uno per parrocchia), per presenziare senza autorità alle sedute del consiglio in cui si trattava della rendicontazione e dell’imposizione delle tasse.
Era necessario, inoltre, eleggere uno archivista idoneo che redigeva e custodiva i libri della città (Duboin 1827-1854).
Nei successivi decenni il problema annonario diventa sempre più assillante; la discussione e l’attività dei consiglieri sono spesso assorbite dalla gestione del magazzino del grano e dalla ricerca del denaro necessario per comprare grano e biade da conservare nei periodi di carestia anche se i provvedimenti che dovrebbero favorire i poveri, in realtà favoriscono gli interessi dei privati, tra la disapprovazione dei tribuni della plebe e le “cedule infamatorie” poste sulla piazza pubblica contro l’onore dei deputati del magazzino (Colombo 1916).
I mercanti fanno sempre i loro interessi e capita, talvolta, che i rappresentanti del popolo siano alleati dei reggenti del comune, quegli stessi reggenti che pochi anni dopo ne decidono l’allontanamento. Capita anche che qualcuno ricopra, in anni diversi, ruoli un tempo incompatibili, Geromino Previde è consigliere e anche console, e tribuno della plebe, ma non è l’unico. Del resto i meccanismi attraverso cui i mercanti avevano controllato il principale organo cittadino (e cioè la presenza alternata di membri della stessa famiglia, l’uso frequente delle commissioni) avevano lasciato formalmente e istituzionalmente inalterata la magistratura e libera, quindi, quando fosse il caso, di raccogliere e rappresentare il modificarsi tra ceti e gruppi.
Ciò almeno fino alla fine del Cinquecento, quando sembra, invece, che il consiglio cominci a perdere di importanza. Le riunioni sono meno frequenti, una volta al mese o anche meno, e cominciano ad assumere il ruolo di tramite delle gride e degli ordini decisi a Milano. Aumentano i controlli e diminuiscono le possibilità di gestire l’amministrazione delle città a proprio favore.
Nel 1568 il senato dichiara non eleggibile in consiglio chi ha debiti fiscali con la comunità.
Dal 1594 è vietato scegliere, per il consiglio dei Dodici di Provvisione, quei consiglieri che non fanno “compagnia” con coloro che vendono vettovaglie in città e su cui, appunto i Dodici sono chiamati a prendere provvedimenti.
Dal 1606 poi, l’obbligo di deliberare solo a suffragio segreto dovrebbe aver permesso di votare liberamente anche a quei consiglieri che non osavano contraddire (Colombo 1916).
ultima modifica: 27/10/2002
[ Gloria Ferrario, Cooperativa Arché - Pavia ]
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