Storie della vita di san Vincenzo di Saragoza
Della Rovere, Giovan Mauro detto il Fiamminghino; Della Rovere, Giovan Battista detto il Fiamminghino
Descrizione
Autore: Della Rovere, Giovan Mauro detto il Fiamminghino (1575-1640); Della Rovere, Giovan Battista detto il Fiamminghino (1561-ante 1633)
Cronologia: ca. 1610 - ca. 1615
Tipologia: pittura
Materia e tecnica: intonaco / pittura
Descrizione: La cappella presenta le pareti e la volta interamente affrescate. I soggetti della parete di destra, scanditi su due livelli sovrapposti e inquadrati da un apparato di cornici dipinte e di architetture illusionistiche, fanno riferimento ad altrettanti episodi del martirio di san Vincenzo di Saragoza: nella parta alta è illustrato il suo primo supplizio, ordinato dall'imperatore Diocleziano; nel riquadro inferiore è invece descritta la sua seconda condanna, corrispondente al martirio tramite uncini di ferro. La sofferenza impostagli dai suoi carnefici non piegò in alcun modo la resistenza e l'animo del santo, che in questo modo fu straordinario interprete della fede in Gesù Cristo.
Notizie storico-critiche: Gli affreschi sono riconducibili, senza alcun dubbio, alla bottega dei due fratelli Giovan Mauro e Giovanni Battista Della Rovere, conosciuti anche come i Fiammenghini. Questi pittori, attivi in tutto il contesto lombardo della prima metà del XVII secolo nell'ambito degli ordini religiosi e ben inseriti nel clima culturale borromaico, si caratterizzano per una pittura dai toni illustrativi e narrativi, di facile lettura e comprensione, priva di ogni connotato intellettualistico. Le composizioni, ma soprattutto i temi iconografici sviluppati e proposti dai Fiammenghini nell'arco della loro attività (conclusa con la peste del 1630), risultano estremamente didattici per rispondere alle istanze di immediatezza promosse proprio da san Carlo. In questo senso non è un caso che, sul piano stilistico, il loro stile debba molto alla presenza, in terra lombarda, di pittori come Cesare Nebbia e Federico Zuccari, attivi nel Collegio Borromeo di Pavia all'aprirsi del XVII secolo. Partendo da questi modelli, ma in generale dai modi della cultura pittorica dell'Italia centrale, Giovan Mauro e Giovanni Battista collaudarono schemi compositivi riproposti sino alla noia, che accentuarono gli elementi pietistici e devozionali sull'esempio anche dei Sacri Monti, dove peraltro lavorarono anch'essi), marcando i dettagli di crudo natiuralismo, come emerge negli affreschi della cappella di Santa Maria delle Grazie, in particolare per quanto riguarda la descrizione delle scene di martirio. I due pittori, infatti, avevano compreso come il realismo potesse attrarre e impressionare maggiormente lo spettatore-fedele, aumentando la forza espressiva delle immagini. Ecco spiegata la tendenza a una stesura pittorica quasi dimessa nei toni (pur tenendo conto di un generale stato di conservazione tutt'altro che ottimale) e a una accentuazione dei gesti che concentra l'attenzione sulla scena più che sulla sua rappresentazione. Difficile risulta operare una netta distinzione di mani all'interno della bottega dei due fratelli, soliti a collaborare in molte imprese e pertanto caratterizzati da un modus operandi piuttosto simile. E' stato tuttavia osservato che, mentre negli affreschi delle pareti sembra di poter essere individuata la responsabilità maggiore di Giovan Battista della Rovere, la volta potrebbe spettare all'altro fratello, incline a eseguire figure di accentuata monumentalità.
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