Tamar di Giuda

Hayez, Francesco

Tamar di Giuda

Descrizione

Identificazione: ritratto di donna

Autore: Hayez, Francesco (1791-1882), esecutore

Cronologia: post 1847

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: tela / pittura a olio

Misure: 84.5 cm x 112 cm (intero)

Descrizione: Il dipinto ritrae sullo sfondo di un cielo azzurro, appena velato da bianche nuvole, una donna identificabile con il personaggio biblico di Tamar. La giovane è rappresentata in posizione frontale, con la gamba sinistra leggermente in avanti e il corpo inclinato lateralmente: la donna indossa una bianca veste aperta sul davanti così da mostrare il seno nudo, e coperta sulle spalle e sul capo da un ampio mantello color ocra gialla che lei stessa sostiene con il braccio destro sollevato e portato in avanti nell'atto di coprirsi. Nella mano sinistra regge un bastone ricurvo sulla sommità e un anello d'oro; al collo porta un ricco collare dorato. Il volto, raffigurato quasi di tre quarti, è rivolto verso la sinistra della composizione ed è caratterizzato da un'espressione intensa e malinconica, accentuata dalla penombra offerta dalla pieghe del mantello e del rosso turbante che le copre la testa.

Notizie storico-critiche: Proveniente dalla collezione Sai Vita, il quadro venne donato nel 1971 ai Musei Civici con attribuzione dubitativa all'Hayez. Il riferimento all'Hayez ha trovato piena conferma in occasione della mostra antologica curata da M.C.Gozzoli e F. Mazzocca nel 1983. La scheda del catalogo esaurisce le informazioni, iconografiche, sulla committenza (Gaetano Taccioli), sul disegno autografo eseguito dopo il dipinto. Anche se non fu mai presentato all'esposizione di Brera, il dipinto ha goduto subito di una certa fortuna, da quando fu inciso sull'"Album" del 1847 da Caterina Piotti Pirola su disegno di Domenico Induno. Un elemento questo che ne suggerisce la datazione. Lo stesso artista, come avveniva per le opere da lui predilette, l'aveva riprodotto in un raffinato acquarello, già in collezione Raimondi a Milano (Nicodemi, 1962, Tav. 62), che dovrebbe identificarsi con quello passato alla "Retrospettiva" del 1883, mentre forse è un secondo d'après quello analogo esposto alla rassegna hayeziana del 1934 (segnalato in proprietà di Emma Clerici Baslini).
Il soggetto conferma la vicinanza di Hayez al tema della figura femminile nuda. Tale tematica fu da lui trattata prevalentemente raffigurando eroine dell'Antico Testamento o personaggi del mondo orientale: questa Tamar fa infatti parte di una serie iniziata con la "Betsabea al bagno" e proseguita con "Rebecca", "Susanna", "Loth e le figlie", nonché numerose versioni di odalische e bagnanti, fino ad arrivare alla "Rebecca al pozzo" del 1848, realizzata un anno dopo il presente dipinto. Il quadro fu commissionato da Gaetano Taccioli, per cui Hayez aveva seguito cinque anni prima il dipinto "Un pensiero malinconico" (1842) e che possedeva anche la prima versione della "Rebecca" del 1831.
La vicenda cui si riferisce il dipinto è tratta dal libro 38 della Genesi, che racconta la storia di Tamar, moglie del primo figlio di Giuda, Er. Dopo la precoce morte del marito, secondo l'obbligo della legge ebraica del levirato, la donna ne sposò il fratello, Onan, il quale però si rifiutò di avere figli da lei che, sempre secondo tale legge, sarebbero stati considerati del fratello Er e non suoi. Onan ricorse al metodo anticoncezionale del "coitus interruptus" ma, essendo questa una pratica considerata peccaminosa, venne punito da Dio con la morte. Giuda avrebbe dunque dovuto dare in marito a Tamar il suo terzo figlio, Sela, che però all'epoca era troppo giovane: la donna venne quindi rimandata dai genitori con la promessa che quando il ragazzo fosse cresciuto l'avrebbe sposata. Ma Giuda, temendo che la causa della morte di Er e Onan fosse Tamar e non volendo che anche Sela perisse, finse di dimenticarsi della nuora. Tamar escogitò allora uno stratagemma: si travestì da prostituta e senza essere riconosciuta (si era velata il volto) sedusse Giuda che, per unirsi a lei, le promise un capretto del suo gregge e le lasciò in pegno il suo sigillo, il cordone e il bastone. Quando Giuda venne informato che sua nuora si era prostituita ed era rimasta incinta, la condannò al rogo: la donna inviò allora al suocero gli oggetti che le aveva lasciato e gli mandò a dire che l'uomo con cui si era prostituita era il proprietario di quelle cose. Giuda riconobbe il sigillo e gli altri oggetti e riconobbe il suo peccato, cioè di non aver dato in marito a Tamar il suo terzo figlio.
Hayez preferì qui non raccontare per intero la vicenda, affidata solo al richiamo offerto dal bastone e dall'anello che Tamar regge con la mano sinistra, ma concentrarsi sul fascino della figura isolata, la cui malinconica bellezza sembra volersi nascondere sotto l'ampio mantello. L'artista punta tutto sulla qualità della stesura cromatica, ottenuta impastando il colore a corpo sulla tela, e sulla scelta di toni chiari e caldi. L'ottimo stato di conservazione del dipinto permette di apprezzare ancora pienamente dello straordinario rapporto tra il busto nudo e levigato dalla luce e i panneggi circostanti, che lo inquadrano con una serie infinita di pieghe così ben modulate da assorbire tutte le gradazioni di ombre. Quanto all'espressione di struggente malinconia che pervade il volto di Tamar, essa rimanda tanto ad altri quadri biblici di Hayez (es. "Incontro tra Giacobbe ed Esaù", 1844, Musei Civici di Arte e Storia di Brescia), quanto al malessere esistenziale tipico dell'animo romantico, così ben rappresentato dall'artista in molti suoi ritratti e personaggi.

Collezione: Collezione del Civico Museo d'Arte Moderna e Contemporanea - Castello di Masnago

Collocazione

Provincia di Varese

Credits

Compilazione: Vanoli, P. (2008)

Aggiornamento: Uva, Cristina (2015)

  Scheda completa SIRBeC (formato PDF)

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