Falere di Manerbio

bottega di artigiani boi o taurisci

Falere di Manerbio

Descrizione

Ambito culturale: bottega di artigiani boi o taurisci

Cronologia: post 100 - ante 49

Materia e tecnica: argento / sbalzo

Misure: Ø 19 cm (dischi grandi); Ø 10 cm (dischi piccoli)

Descrizione: Si tratta di quattordici dischi d'argento, due più grandi (diametro medio 19 cm) e dodici di dimensioni inferiori (10 cm), rinvenuti insieme ai frammenti di quattro elementi longitudinali ricurvi e tre catenelle, sempre in argento.
I dischi sono decorati a sbalzo dal rovescio forse mediante l'uso di punzoni, data la ripetitività di alcuni elementi e la presenza di segni di sovraimpressioni per la ripresa del motivo decorativo. Presentano una parte centrale a rilievo, l'umbone, circondata da una cordonatura: quella dei dischi minori è liscia, mentre nei due maggiori è decorata con un motivo a tre braccia ricurve, triskele, termine greco che significa letteralmente "tre gambe", da identificare con il motivo solare della svastica diffuso presso numerose popolazioni antiche. Lungo il registro esterno tutti i dischi presentano una serie continua di teste umane rappresentate frontalmente e fortemente stilizzate. Il volto, di forma ovale, è incorniciato da un'acconciatura tipica dei Celti.

Notizie storico-critiche: Il termine fàlere, inusuale nel lessico moderno, deriva dal latino phalerae, sostantivo che indica gli elementi metallici, borchie o decorazioni di vario genere, usati come ornamento militare da portare sul petto o appendere ai finimenti del cavallo. Le quattordici fàlere in esame sono molto probabilmente ornamenti per i finimenti di due cavalli.
Sepolti sotto non più di "due badilate di terra" (circa 50 cm), gli oggetti sono rinvenuti nel febbraio del 1928 dai contadini a servizio della nobile famiglia Gorno durante l'ampliamento della buca del letame presso la Cascina Remondina, poco distante dall'abitato di Manerbio. Consegnati ai carabinieri e poco dopo a Giorgio Nicodemi, allora direttore dei Musei di Brescia i pezzi sono acquistati dallo Stato e consegnati in deposito temporaneo presso le Civiche Raccolte d'Arte di Brescia, dove ancora oggi si trovano. Grazie al confronto con altri oggetti simili la datazione può essere circoscritta entro la prima metà del I secolo a.C. Più problematica è risultata l'attribuzione che vede ormai concordi gli studiosi nel riferirla a una bottega di artigiani boi o taurisci, mostrandoci a posteriori le relazioni esistenti tra gli antichi popoli della Cisalpina (Italia settentrionale) e quelli stanziati nelle regioni del Norico e della Pannonia (Ungheria).
Gli occhi chiusi e la bocca semiaperta con gli angoli ripiegati verso il basso conferiscono ai volti l'aspetto di maschere funerarie. Si tratta del tema delle tétes coupées ("teste tagliate"), uno dei motivi più importanti dell'arte celtica del II-I sec. a.C., presente su molti oggetti come motivo ornamentale e nello stesso tempo con valore apotropaico. Richiamano il costume celtico di tagliare le teste dei nemici vinti e di appenderle ai finimenti dei cavalli come trofei.
Perché questi materiali preziosi vennero sepolti a Manerbio? Non si tratta con molta probabilità di un corredo funerario, bensì di un trofeo di battaglia o di un dono a un santuario posto nel territorio di occupazione cenomane, a cui facevano capo diverse tribù e di cui purtroppo ignoriamo la collocazione, ma che doveva trovarsi nel territorio manerbiese, come sembra avvalorare, nella stessa zona, il ritrovamento di un tesoretto di monete, avvenuto in località Gravine Nuove nel 1959.

Collezione: Collezione archeologica dei Civici Musei d'Arte e Storia di Brescia

Collocazione

Brescia (BS), Musei Civici di Arte e Storia. Santa Giulia - Museo della Città

Credits

Compilazione: D'Adda, Roberta (2014)

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