Caduta di Simon Mago

Lomazzo, Giovanni Paolo

Caduta di Simon Mago

Descrizione

Autore: Lomazzo, Giovanni Paolo (1538-1592), esecutore

Cronologia: post 1570

Tipologia: pertinenze decorative

Materia e tecnica: intonaco / pittura a fresco

Descrizione: Un'imponente architettura dalle forme classiche, caratterizzata da balaustre, colonnati, timpani e strutture sporgenti, occupa tutto lo sfondo della composizione, negando al paesaggio naturale qualsiasi concessione spaziale, eccezion fatta per una minuscola apertura ad arco nell'angolo in basso a sinistra. Nella parte alta della parete, sagomata ad arco, è raffigurato il corpo del protagonista che cade verso il basso, mostrandosi allo spettatore di spalle e fortemente scorciato. Secondo la tradizione agiografica infatti, Simon Mago perse la vita nella caduta dopo aver sfidato San Pietro inscenando una prova di lievitazione alla presenza dell'Imperatore Nerone tra gli edifici della capitale.
All'ambientazione nella Roma antica si riferiscono sia i rilievi presenti sulle architetture di fondo, sia i molteplici stendardi presenti sulla scena, che riportano la scritta "S.P.Q.R." ("Il Senato e il popolo romano"). Alla caduta di Simon Mago assiste un'immensa folla concentrata nella parte bassa dell'affresco, che si accalca sconvolta dalla visione dell'uomo che precipita rovinosamente verso il basso.

Notizie storico-critiche: L'opera fu realizzata da Giovanni Paolo Lomazzo per la cappella di famiglia di Pietro Foppa, che l'artista decorò nel 1570 dipingendone le vele della volta con Profeti e Sibille, i pennacchi con i quattro Evangelisti e le pareti con episodi della vita dei Santi Pietro e Paolo, ai quali la cappella fu dedicata. Per la precisione affrescò l'episodio di "San Paolo che resuscita un morto" e il brano noto come "La caduta di Simon Mago", citato nel Vangelo apocrifo "Atti di Pietro" e raccolto nella "Legenda Aurea" di Jacopo da Varagine.
Qui il colto pittore milanese dimostra la sua peculiare cultura artistica, che associa al plasticismo di derivazione michelangiolesca delle figure, il forte e intenso cromatismo appreso dalla tradizione veneto-lombarda. I fondali architettonici, forse una citazione di Giulio Romano, si accompagnano infatti qui con una materia pittorica fortemente luministica, appresa guardando tanto a Leonardo quanto a Gaudenzio Ferrari. Sempre a Leonardo Da Vinci richiama poi la trattazione dei "moti dell'animo", qui tradotti con grande varietà di gesti ed espressioni nella folla che assiste alla caduta del Mago.
L'insolito tema iconografico della caduta di Simon Mago è certamente connessa alla spiritualità agostiniana, storicamente fortemente avversa alla simonia. Simon Mago, citato anche negli Atti degli Apostoli canonici come un uomo "che aveva esercitato nella città le arti magiche e faceva sbalordire le genti della Samaria, spacciandosi per qualcosa di straordinario", secondo la tradizione era molto incuriosito ed invidioso dei poteri degli Apostoli che compivano miracoli straordinari tra le genti nel nome di Dio. Egli, quindi, convinto di poter acquisire i doni lasciati da Dio attraverso la discesa dello Spirito Santo per affermare ulteriormente il proprio prestigio, chiese a San Pietro di poter acquisire con del denaro i doni divini, divenendo il simbolo di coloro che compravano e vendevano cariche ecclesiastiche. Come ha proposto nel 2014 Ferdinando Zanzottera nel convegno intitolato "Architetture, Biblioteche, Iconografia. Per una storia degli insediamenti agostiniani - Pavia - Milano - Crema", l'affresco milanese racchiude in se' una duplice chiave di lettura interpretativa, destinata contemporaneamente alla società contemporanea milanese e alla fraternità agostiniana. L'immagine di Simon Mago, infatti, costituiva un monito per le famiglie nobili milanesi che erano richiamate ad impiegare, secondo la spiritualità agostiniana, le proprie ricchezze e capacità personali per realizzare il disegno salvifico divino e non per affermare il proprio potere personale opprimendo i più umili o disinteressandosi dei più poveri. Un richiamo che nel periodo d'esecuzione dell'affresco si inseriva perfettamente nella cultura e nella spiritualità di San Carlo Borromeo, già ampiamente espressa nei temi caratteristici della "pittura pestante" che si riferiva alla peste tardo-cinquecentesca, e che fu ripresa dalla religiosità propria di Federico Borromeo, divenuto arcivescovo di Milano nel 1595. Nel contempo il medesimo affresco raffigurava un richiamo alla fraternità agostiniana alla povertà personale. Numerosi saggi spirituali cinque-seicenteschi, infatti, associano la colpa del possesso del denaro alla figura di Simon Mago, interpretato come vertice della perdizione monastica. Tale cultura perdurò ancora per tutto il il XVII secolo, e trova conferma ancora nel volume edito nel 1667 dall'agostiniano Luigi Torelli nella nota opera a più volumi intitolata "Secoli agostiniani overo historia generale del Sacro Ordine Eremitano del Gran Dottore di Santa Chiesa S. Aurelio Agostino Vescovo d'Ippona", dedicata a Girolamo Valvassori da Milano, generale dell'Ordine. Qui l'autore riferisce come San Gregorio avesse nel 590 ordinato che nessun monaco visitasse un confratello reo di aver trattenuto per se' tre monete d'oro, e che nessuno gli portasse consolazione, disponendo che, quando fosse morto, il suo corpo dovesse essere sepolto in un luogo profano insieme alla sue tre monete e che tutta la comunità presente recitasse la condanna pronunciata da San Pietro contro Simon Mago: "pecunia tua tecum sit in perditionem" (=Che il vostro denaro perisca con te). Una condanna tremenda ed estremamente estranea alla carità agostiniana, che qui vuole mostrarsi risoluta contro il costume di un confratello per salvare l'intera comunità religiosa.

Collocazione

Milano (MI), Chiesa di S. Marco

Credits

Compilazione: Uva, Cristina (2015); Zanzottera, Ferdinando (2015)

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