MORTE DI EURIDICE

Pippi Giulio detto Giulio Romano

MORTE DI EURIDICE

Descrizione

Autore: Pippi Giulio detto Giulio Romano (1499 ca./ 1546), disegnatore / pittore

Cronologia: ca. 1527 - ante 1530

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: affresco; affresco finito a secco

Misure: 292 cm x 429 cm

Notizie storico-critiche: La prima arcata cieca della parete settentrionale presenta una decorazione ad affresco estesa sull'intera superficie delimitata dalla modanatura architettonica. Il dipinto, fortemente compromesso da lacune tali da renderne non immediata la lettura iconografica, raffigura la morte di Euridice: l'identificazione del soggetto - correttamente individuato da Verheyen (1977) - è possibile soprattutto grazie al rilievo grafico di Ippolito Andreasi (1567 ca.). La base testuale della scena è fornita dalle "Georgiche" di Virgilio (IV, vv. 453 e segg.), in cui si racconta che la moglie del cantore Orfeo Euridice, inseguita dall'innamorato Aristeo, fugge lungo la riva di un fiume, trovando la morte a causa del morso di un serpente. Nel dipinto si scorge, infatti, la fuga della protagonista, sottolineata dal movimento delle vesti e del velo, gonfiato dalla corsa; Euridice, il serpente attorcigliato a un piede, è incalzata da Aristeo, che sta per raggiungerla a grandi falcate ed è preceduto da un amorino, quale chiara allusione al trasporto amoroso. Da ricordare la differente lettura della figura maschile data da Hartt, che vi riconosce Orfeo. A sinistra in basso la figura femminile seduta, vista da tergo e accompagnata dall'attributo dell'anfora, potrebbe essere una Driade (Belluzzi) o una personificazione del fiume presso il quale la fanciulla troverà la morte. Le figure sono ricalcate, come sottolineato da Berzaghi, nella tavola di scuola giuliesca della Galleria Rizzi di Sestri Levante, vera e propria replica dell'affresco. I lacerti di pittura, integrati dal disegno dell'Andreasi, restituiscono un'ambientazione silvana, caratterizzata dal corso dell'acqua tra il verde dell'erba; in secondo piano a sinistra, un albero spoglio - forse allusivo all'imminente morte della ninfa - completa la composizione, mentre sullo sfondo si apre un suggestivo panorama montuoso, dominato al centro da un frastagliato rilievo roccioso e addolcito dalla bruma. In lontananza si scorge il profilo di una città dal carattere medievale. Tutta la metà superiore della scena è dominata da un cielo azzurro appena segnato da nubi chiare allungate, forse realizzato a smaltino o blu egizio. Nella parte inferiore della parete, il basamento dipinto a imitazione del marmo bianco introduce visivamente la scena, assolvendo alla funzione di una balaustra posta tra l'osservatore e i protagonisti dell'evento. L'affresco è tematicamente legato alla scena dipinta nella terza arcata cieca della medesima parete, dedicata al canto di Orfeo - consorte di Euridice - tra gli animali (episodio narrato sia da Virgilio nelle stesse "Georgiche", sia da Ovidio nelle "Metamorfosi"): le due favole, benché non espressamente connesse con i soggetti delle lunette e della volta della loggia, mettono in scena figure in parentela tra loro: Aristeo, figlio di Apollo educato dalle Muse, e Orfeo, anch'egli figlio del dio, secondo alcune versioni del mito, e cantore caro alle Muse. Il mediocre stato di conservazione del dipinto non consente un'attribuzione univoca da parte della critica: se Intra (1883) attribuisce i due paesaggi a Camillo Mantovano, Carpi (1920) fa i nomi di Rinaldo Mantovano e Benedetto Pagni (cfr. E. Verheyen 1977, p. 115); la critica più recente non avanza ipotesi in merito. Si osserva, sull'affresco, una chiara organizzazione in giornate esecutive: un giunto di pontata corre all'altezza dei due capitelli, dividendo la giornata superiore dedicata al cielo dall'inferiore dedicata a paesaggio e figure; all'interno di questa seconda, grande stesura, si riscontrano isole minori di intonaco, corrispondenti alle singole figure, che risultano perciò eseguite a parte. Le giornate seguono, in questi casi, il profilo dei personaggi, a cominciare dalla figura femminile seduta con anfora; seguono - sempre in giornate distinte ben individuabili - Euridice in corsa; il torso del putto alato, dipinto insieme al velo di Euridice; il corpo di Aristeo, il cui braccio proteso in avanti, eseguito nella stessa giornata del busto, isola una piccola stesura d'intonaco dedicata alla sola gamba dell'amorino (a parte rispetto al busto con ali); infine, le gambe di Aristeo, dalla vita. Le figure non paiono eseguite tramite cartone, in quanto non si rilevano tracce di incisioni indirette: ricorre, invece, su tutte, un disegno preparatorio a sinopia, ben visibile a causa delle consistenti perdite della pellicola pittorica. Lo stato di conservazione dell'affresco, così come di tutta la loggia, è precario fin dal Settecento: Bottani, direttore dell'Accademia di Belle arti, giunge addirittura a proporre la messa in opera, nelle due controarcate della loggia (I e III), di due statue entro nicchie e di collocare, sopra di esse, "due medaglie rottonde" in stucco (ASMn, Intendenza Politica di Mantova, b. 222, fasc. 17, Distinta n. 1, 26 giugno 1790).

Collocazione

Mantova (MN), Museo Civico di Palazzo Te

Credits

Compilazione: Marocchi, Giulia (2011)

Aggiornamento: Pisani, Chiara (2011)

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