Madonna con Bambino, san Domenico, san Giuseppe, san Vincenzo Ferrer, santa Lucia e un devoto

Moretto

Madonna con Bambino, san Domenico, san Giuseppe, san Vincenzo Ferrer, santa Lucia e un devoto

Descrizione

Autore: Moretto

Cronologia: ca. 1525 - ca. 1530

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: tela / pittura a olio

Misure: 166 cm x 177 cm

Notizie storico-critiche: Il dipinto, in discreto stato di conservazione, è entrato a far parte dei beni degli Spedali Civili di Brescia con decreto del Governo Provvisorio Bresciano n. 757 del 2 novembre 1797 nel quale si stabiliva che tutti i beni di Sant'Eufemia della Fonte o "de fora", appartenuti ai benedettini (soppressi insieme a tutti gli altri ordini religiosi con decreto del 30 settembre 1797) passassero in dotazione all'"Ospital Maggiore Nazionale". Attribuito già al Romanino, correva il rischio, nel 1880, di essere alienato se l'allora parroco di Sant'Eufemia non si fosse opposto alla vendita costringendo l'amministrazione ospedaliera a desistere dal propostito (il documento, conservato presso l'archivio parrocchiale di Sant'Eufemia della Fonte è pubblicato in R. Prestini, Sant'Eufemia della Fonte tra Settecento e Ottocento. Note di storia religiosa e civile, Brescia 1990, p. 55). Trafugato nel 1974 dalla sede originaria, il terzo altare a destra della Parrocchiale di Sant'Eufemia della Fonte, veniva recuperato e quindi depositato presso la Pinacoteca Civica Tosio Martinengo. In base all'accordo di permuta tra gli Spedali Civili e la Diocesi di Brescia, stipulato nel 1998, nel quale questi cedevano la nuda proprietà della chiesa e della casa del parroco in cambio delll'immobile denominato 'casa dell'abate' posto all'interno del recinto dell'antico monastero, la tela rimaneva di proprietà dagli Spedali Civili che la concedevano in uso perpetuo alla parrocchia di Sant'Eufemia. Fino agli anni Sessanta del Novecento il dipinto era ritenuto unanimemente opera del giovane Romanino. I riflessi della cultura foppesca, frammisti a quella importata nel bresciano dal Civerchio erano messi in evidenza da Gaetano Panazza nella scheda per il catalogo della mostra dedicata al pittore (1965). L'analisi di Panazza era una sorta di punto d'arrivo della critica che aveva via via sottolineato il portato 'straniero' ora di Civerchio, come si è detto, ora di Altobello Melone e della cultura nordica. Lo stesso Panazza poneva la piccola tela all'inizio del percorso artistico del Romanino, situandola cronologicamente prima della Deposizione delle Gallerie dell'Accademia di Venezia del 1510, anche se avvertiva nelle teste dei santi Cosma e Damiano e nel viso di san Rocco qualche riflesso giorgionesco. Tale cronologia, tuttavia, male si accorda con l'influsso sul dipinto della pittura di Altobello, messa in evidenza da Mina Gregori e mostra la necessità di ripensare a un avanzamento di qualche anno, attorno, cioè al 1512-1514, così com'era già stato proposto dalla Bossaglia (1963) e da Peroni (1963), in prossimità, cioè, degli affreschi della Pieve della Mitria di Nave e della pala padovana per la chiesa di Santa Giustina (ora al Museo Civico). Proprio questo triennio è estremamente delicato per la formazione del linguaggio del Romanino, influenzato non più solo dalla cultura veneziana di Giorgione, ma - soprattutto - dai risultati anticlassici dei cremonesi e dalle soluzioni volumetriche di Zenale. Tutto questo si ravvisa nella pala di Sant'Eufemia, ma con un orientamento che non si allinea con i risultati romaniniani e che ha fatto supporre ad Alessandro Ballarin che l'opera sia da ascrivere piuttosto al giovane Moretto, alle prese con uno dei primi lavori nei quali la presenza del più anziano maestro bresciano si coniuga con il linguaggio autoctono della cultura foppesca e con i modi eversivi del Melone che qui sono, tuttavia, attenuati, raddolciti e rivestiti di una pienezza di forme che nel Romanino, anche all'indomani dell'incontro con la pittura bramantinesca, non assumeranno mai quella plasticità dominata che si nota invece nella maturità del Moretto, preferendo il Romanino sempre accendere di vibrazioni cromatiche i suoi modellati, memore piuttosto della lezione veneta che del farsi monumentale del portato milanese. Al di là dei raffronti stilistici tra questo dipinto e la pala di Atlanta (Madonna con il Bambino e i santi Giacomo maggiore e Girolamo) dipinta dal Moretto attorno al 1517 dove Ballarin riconosce forti assonanze tra le fisionomie dei santi di Sant'Eufemia e il san Giacomo maggiore, quel che fa propendere verso l'attribuzione al Moretto è proprio il modo di concepire la monumentalizzazione delle figure e la loro resa compatta e amplificata dal panneggiare che già si organizza secondo quel modo che sarà del Moretto maturo, cioè nel rigonfiarsi dei panni che ricadono morbidi fino a terra e che contribuiscono a determinare l'insieme stesso dei volumi. Cosa diversa da quanto accade nel Romanino dove il panneggio è necessario rivestimento a volumi già definiti e, per lo più in rapporto al fare tagliente di Altobello, raggiunge semplificazioni che nella tela di Sant'Eufemia non si ravvisano per nulla. Basterebbe a sostenere questa ipotesi l'analisi della figura centrale, il san Rocco, la cui prepotente tridimensionalità è resa dal Moretto con l'ardita posa del santo che mette in evidenza la coscia piagata; basterebbe guardare al

Collocazione

Provincia di Brescia

Ente sanitario proprietario: A.S.S.T. della Franciacorta

Credits

Compilazione: Piazza, Filippo (2009)

Aggiornamento: Fusari, Giuseppe (2010)

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