Fotoracconto: Milano, 29 aprile 1945
È il 29 aprile 1945, a Milano in zona Venezia Città Studi. È una delle zone della città nella quale durante i giorni dell'insurrezione cominciata la mattina del 25 aprile si è combattuto più a lungo e più aspramente. Gli spari sono cessati la sera prima, il 28 aprile.
Luigi Ferrario, trentanni, classe 1915, sfuggito alla guerra perché sostegno di famiglia numerosa, madre vedova e tre sorelle, esce dalla sua casa di via Sansovino nelle prime ore della mattina. Ha con sé il suo apparecchio fotografico caricato con una pellicola in bianco e nero Agfa Isopan F, formato 24x36 millimetri completamente vergine, 36 scatti a disposizione.
Si avvia verso corso Buenos Aires, non distante da casa sua e qui comincia a fotografare.
Forse ha sentito alla radio della fucilazione di Mussolini avvenuta nel pomeriggio del 28 a Giulino di Mezzegra, nei pressi di Dongo sul lago di Como.
La notizia che i corpi di Mussolini, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi fucilati a Dongo sono stati esposti nella notte a Piazzale Loreto si è sparsa molto velocemente in tutta la città fin dalle prime ore del mattino. Il luogo è lo stesso nel quale mesi prima sono stati fucilati quindici partigiani.
Ferrario, fotoamatore evoluto, si dirige in corso Buenos Aires e lì, dando le spalle a Porta Venezia, all'incirca all'altezza del numero civico 20 sul marciapiede di destra, comincia a fotografare.
L'ora, a giudicare dalla luce delle prime fotografie e dallorientamento delle ombre, deve essere tra le nove e trenta e le dieci.
La prima immagine (fotogramma 00) rappresenta un assembramento di persone alcune delle quali armate; si tratta probabilmente di uomini del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia). Forse l'immagine rappresenta il fermo di qualcuno sospettato di essere fascista o collaborazionista. Un'automobile è ferma al bordo del marciapiede.
La seconda e terza immagine (fotogrammi 01 e 02) ritraggono una colonna di autocarri carichi di partigiani, mitragliatrici poggiate sul tetto della cabina di guida, dal marciapiede qualcuno applaude: siamo sempre in corso Buenos Aires, Ferrario fotografa rivolto verso Porta Venezia; sul marciapiede opposto sono visibili il Cinema Venezia e la Galleria Puccini.
Nella quarta fotografia (fotogramma 03), un po' mossa, si vede una automobile, probabilmente una FIAT 1100, in moto lungo corso Buenos Aires, due uomini armati, uno appollaiato sul parafango, l'altro in piedi sul predellino.
A questo punto Ferrario attraversa il corso e s'inoltra per via San Gregorio fino ai chiostri del vecchio lazzaretto dove oggi ha sede una chiesa Russo-Ortodossa.
Qui scatta tre fotografie (fotogrammi 04, 05 e 06) a un gruppo di tre donne con la testa rasata sorvegliate da un uomo armato di moschetto. Nella seconda di queste immagini (fotogramma 05) appare di spalle in primo piano un giovane, che probabilmente a sua volta, sta fotografando le donne.
La tonsura a zero in quei giorni era praticata alle donne accusate di collaborazionismo coi tedeschi, atto ricorrente nelle città liberate di tutta Europa.
È mattina inoltrata intorno alle 11 quando, lasciato il vecchio lazzaretto e percorso tutto corso Buenos Aires, Luigi Ferrario giunge in Piazza Loreto.
Dalle prime ore del mattino la folla si era accalcata e molti avevano cominciato ad oltraggiare i corpi lordandoli e cercando di colpirli a calci e bastonate.
A un certo punto, sicuramente prima dell'arrivo di Ferrario, i partigiani di guardia avevano richiesto l'intervento dei pompieri, alcune fonti sostengono per disperdere l'assembramento con il getto degli idranti, altre per lavare i corpi dopo le ore di esposizione alla furia della folla.
Ferrario fotografa uno dei corpi abbandonati a terra, potrebbe trattarsi del gerarca Francesco Maria Barracu, privo dellocchio sinistro così come pare il cadavere ripreso nel fotogramma n. 07.
Gli scatti successivi riprendono il sollevamento da terra del corpo di Benito Mussolini, issato per i piedi e appeso alle travi di sostegno della tettoia del distributore di benzina Esso di piazzale Loreto (fotogrammi 08, 10, 11, 12; il fotogramma 09 è illeggibile).
I fotogrammi 13, 14 e 15 ritraggono un altro corpo a terra; si tratta di Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano
Nelle fotografie è visibile il tubo di uno degli idranti utilizzati dai pompieri intervenuti per alleggerire con getti d'acqua la pressione della folla, uno di quegli stessi idranti usati successivamente per lavare sommariamente i corpi di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi, Pavolini, Bombacci e Starace anch'essi appesi per i piedi alla tettoia del distributore. Ferrario non si ferma a lungo in piazzale Loreto, si allontana dirigendosi verso il centro della città probabilmente prima che i corpi della Petacci e degli altri gerarchi vengano appesi. Forse la scena troppo cruda spinge Ferrario ad allontanarsi, forse vede e sceglie di non fotografare.
Ricomincia a scattare in Piazza San Babila. Dalla posizione e dalla lunghezza delle ombre si può ipotizzare che sia all'incirca mezzogiorno, e qui in Piazza San Babila, Ferrario incrocia e fotografa la sfilata di una brigata partigiana da poco entrata in città. La scena è quella comune a molte delle immagini della liberazione delle città del Nord Italia: una staffetta in motocicletta precede la fila dei comandanti (fotogrammi 16 e 17) seguita dai partigiani della brigata. L'equipaggiamento e le armi sono le più varie per foggia e provenienza, gli uomini che sfilano vestono le approssimative divise dei ribelli, molti in pantaloni corti, qualcuno indossa uniformi arrivate con gli aviolanci degli alleati o sottratte ai tedeschi e ai repubblichini, qualcuno giubbe e pantaloni dell'uniforme del Regio Esercito; alcuni trasportano parti di mitragliatrici e mortai da campo.
Ai lati della strada gruppi di cittadini li guardano sfilare, qualcuno applaude, qualcuno saluta col pugno chiuso (fotogrammi 18, 19, 20 e 21).
Seguono diversi autocarri carichi di altri partigiani, la scritta sul muso di alcuni di questi camion permette di identificare la formazione: è la Brigata Alfredo Di Dio, un'unità della Divisione Valtoce, legata alle Fiamme Verdi, i partigiani di orientamento cattolico. La brigata porta il nome del comandante Alfredo Di Dio caduto nell'ottobre del 1944 nella battaglia per la difesa della più importante repubblica partigiana, la 'Libera Repubblica di Domodossola'. In questa formazione militano Enrico Mattei ed Eugenio Cefis. Altri camion riportano scritte inneggianti a Filippo Beltrami, primo comandante della divisione caduto in combattimento nel febbraio dello stesso anno.
La Divisione Valtoce è entrata in Milano il giorno precedente, 28 aprile, col grosso delle formazioni partigiane comandate da Cino Moscatelli e provenienti dalla Val d'Ossola.
Ferrario si sposta poi in corso Monforte e fotografa dall'alto alcuni carri armati sommersi da cittadini in festa (fotogrammi 27 e 28), probabilmente al momento dello scatto è in piedi sul basamento delle colonne che ornano il portone del Palazzo del Governo, sede della Prefettura. Si tratta di carri armati M4 Sherman della Prima Divisione Corazzata dell'Esercito degli Stati Uniti, la prima unità della V Armata che sta entrando proprio in quelle ore a Milano risalendo l'Italia.
Da una macchina scoperta sul cui parabrezza è fissato un foglio con la scritta '10° Divisione Matteotti' un partigiano tende il braccio verso i carristi americani che emergono dalle botole nella corazza dello Sherman.
L'immagine seguente (fotogramma 29) è dedicata a una giovane ragazza che guarda il fotografo sorridendo, una bandierina tricolore nella mano destra.
Infine Ferrario torna indietro dirigendosi verso San Babila e, quasi all'imbocco del corso, fotografa altri carri armati provenienti dalla piazza (fotogrammi 30, 31, 32 e 33) accompagnati da veicoli militari, jeep e motociclette.
L'ultima immagine, scattata all'altezza del numero civico 9 di corso Monforte dallangolo di Vicolo Rasini, chiude la serie con un'immagine di pace: un'altra ragazza appoggiata al manubrio di una bicicletta guarda in macchina mentre Ferrario la fotografa (fotogramma 34).
Sullo sfondo uomini e donne passeggiano tranquilli. Sulla destra un gruppo di persone, probabilmente una famiglia, si allontana di spalle: deve essere circa l'una di domenica 29 aprile 1945, forse tornano da messa. È scoppiata la pace.