Affreschi di villa Torretta a Sesto San Giovanni
h3. Introduzione
"Villa Torretta":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-06841/, un tempo maestosa residenza nobiliare suburbana, oggi imponente struttura alberghiera, conserva alcune sale affrescate di cui si è venuti a conoscenza solo nel 1970, durante i lavori preliminari finalizzati ad un globale intervento di recupero che è però iniziato molto più tardi e si è concluso solo pochi anni fa.
In particolare due ambienti del piano nobile erano stati ribassati e, sia i soffitti, sia i fregi decorativi, una volta scoperti, si sono rivelati di notevole valore.
La responsabile della trasformazione strutturale del complesso in villa di delizia, avvenuta negli ultimi decenni del Cinquecento ed i primi del Seicento, fu la contessa Delia Spinola Anguissola, figlia del genovese Leonardo e moglie del governatore di Como, Giovanni, morto senza eredi nel 1578. Delia commissionò una dimora di rappresentanza immersa nel verde e facilmente raggiungibile da Milano, condizioni certo poco ravvisabili oggi, soprattutto di fronte alle innegabili mutazioni che ha subito il territorio circostante.
Gli affreschi del piano nobile furono voluti dai Marino, a cui la dimora pervenne alla morte di Delia, ed in particolare dal marchese Giovanni Gerolamo che scelse una tipologia di decorazioni allineate al gusto imperante nella Milano spagnola della prima metà del Seicento.
h3. I saloni al piano terreno; salone degli Stemmi
Il cosiddetto Salone degli Stemmi è denominato così per via del ricco apparato decorativo che abbellisce il fregio continuo nella parte superiore della stanza, dove si susseguono, intervallati solo da pilastrini affrescati, lo stemma imperiale e quelli delle famiglie Marino, Grimaldi, Spinola, Lomellini, Anguissola, Visconti Borromeo e Serbelloni.
Vi è qui una sorta di rassegna dinastica di quanti hanno partecipato od assistito agli splendori di Villa Torretta, e l'esaltazione dello stemma dei Marino, il cui ripetersi è ritmico e costante, non fa che confermare che la realizzazione di questi affreschi fosse ultimata entro il 1626, anno in cui l'edificio risulta essere dei marchesi d'Este, così come si apprende dalle visite pastorali dell'epoca.
Una serie di lesene affrescate, piatte e sobrie, culminanti in capitelli altrettanto semplici, paiono sorreggere il cornicione dipinto con la parata di stemmi, creando un tentativo di illusionismo e di dilatazione dello spazio reale. Il soffitto ligneo cassettonato contribuisce inoltre a movimentare l'ambiente con il continuo ripetersi del motivo a rosoni stellati dipinti in ogni riquadro.
h3. I saloni al piano terreno: salone dei Paesaggi
L'adiacente Salone dei Paesaggi presenta un'analoga impostazione: anch'esso è articolato su due piani, nella parte inferiore le pareti sono scandite da specchiature monocrome intervallate da finte lesene affrescate sui cui capitelli si innestano esili pilastrini. Tra un pilastro e l'altro, in vivaci cornici arricchite da mascheroni antropomorfi posti al centro dei lati lunghi, si nota uno sbizzarrirsi di curiose scenette con vedute di città, campagne, e marine.
Le espressioni accigliate delle maschere, una diversa dall'altra, la raffinatezza dei dettagli, come le volute delle cornici ed i festoni, rimandano ad una cultura figurativa tardomanieristica, mentre le vedute, di cui spiccano l'incertezza esecutiva e l'ardita fantasia di certe architetture inverosimili, sono stati ridipinti nell'Ottocento.
Pregevole è inoltre il soffitto ligneo a cassettoni, che si distingue da quello della sala precedentemente descritta per l'inventiva che propone: al posto delle consuete formelle dipinte qui si vede un cielo azzurro attraversato da uccelli in volo, che paiono voler scappare dallo spazio limitato dall'intersecarsi delle travi e dei travetti.
h3. Il loggiato del piano nobile
I recenti restauri hanno riportato in luce altre decorazioni ad affresco, soprattutto nell'arioso loggiato al piano nobile dell'ala occidentale, dove sopra una porta compare ancora una volta lo stemma dei Marino attorniato da architetture dipinte, fregi geometrici e grottesche che occupano l'intera superficie, dove trova spazio anche una figura femminile in cui si è riconosciuta Santa Barbara, per via della palma e della torre, simboli del suo martirio.
Dal loggiato si accede a tre salette dove oggi è situato un ristorante. Nella prima di queste, oltre al consueto stemma dei Marino inserito in un medaglione sopra la porta, sono conservate scene di caccia e di vita eremitica, che colpiscono il visitatore per la minuzia con cui sono dipinte le varie specie di uccelli e di essenze arboree. Gli episodi raffigurati con dovizia di particolari hanno portato a credere che l'ignoto esecutore abbia preso spunto dai paesaggi alla fiamminga tanto in uso nei primi decenni del Seicento, spesso reinterpretati da artisti attivi in Lombardia, come nel caso di Carlo Antonio Procaccini (1571-1630 circa), fratello meno conosciuto dei più noti Camillo (1551-1629) e Giulio Cesare (1574-1625).
h3. La cappella
La "piccola chiesa a navata unica":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-06962/ presenta sulle pareti laterali scene bibliche all'interno di due cornici affrescate, ovvero Giuditta e Oloferne e Il Passaggio del Mar Rosso, mentre nelle formelle minori, intervallate dalle paraste, sono effigiati da sinistra a destra San Gerolamo, Santa Chiara, Santa Caterina da Siena, San Carlo Borromeo, il Beato Ludovico Gonzaga, Santa Lucia, la Maddalena e San Giovanni Battista.
Al centro della volta L'Eterno in Gloria benedicente è attorniato da quattro angeli, nell'intradosso dell'arco del piccolo presbiterio si trovano la colomba dello Spirito Santo, S. Giovanni, S. Giacomo e le Sibille, sulla volta una Gloria Angelica e Angeli musicanti, ed alle pareti l'Annunciazione e il Riposo durante la fuga in Egitto. Le fonti citano anche una pala d'altare raffigurante la Natività, di cui si ha l'ultima notizia nella visita pastorale del cardinal Pozzobonelli del 1763.
Le decorazioni raggiungono l'apice espressivo nelle scene corali delle pareti laterali con gli episodi di Giuditta e Oloferne e del Passaggio del Mar Rosso, dove l'accalcarsi di personaggi e la drammaticità dei gesti sono resi con pennellate sciolte e fluide e dove lo sconosciuto pittore immortala i protagonisti indugiando sui tratti fisionomici denotandoli di profonda introspezione psicologica. La tragicità degli eventi si percepisce negli sguardi interrogativi dei protagonisti, soprattutto nell'ancella che assiste Giuditta o nelle tre figure in primo piano nel Passaggio del Mar Morto.
Le scene affrescate ai lati dell'altare sono anch'esse inserite in cornici dipinte, appaiono però più raccolte ed intimiste, domina un'inclinazione poetica e tenera rinvenibile nei dettagli, per esempio nel gesto affettuoso dell'angelo che porge un fiore a Gesù Bambino sotto gli occhi vigili della Madonna, o nella spossatezza di San Giuseppe assopito nella scena del Riposo durante fuga in Egitto, oppure nella levità e nella pacatezza della gestualità dell'angelo dell'Annunciazione.
La paternità degli affreschi non è ancora accertata, le ipotesi più accreditate rimandano all'ambito dei Procaccino. Si è avanzata un'ulteriore attribuzione al genovese Simone Barabino (1585-?), artista operoso a Milano nel secondo decennio del Seicento. La freschezza esecutiva, la fluidità della narrazione degli episodi affrescati rendono particolarmente interessante questo ancora sconosciuto Maestro della Torretta, le cui opere meritano una visita accurata, soprattutto dopo i recenti restauri che le hanno interessate.
Testo a cura di Beatrice Bolandrini