Cuboflash - lampadina flash - industria, manifattura, artigianato
Sylvania
Descrizione
Cubo in materiale plastico trasparente in cui sono incorporate quattro lampade AG1, ciascuna anteposta a un suo riflettore. Nella parte inferiore è inserito l'incastro, in plastica nera, per l'inserzione sull'apparecchio fotografico. Insieme ai due cuboflash è presente un cartoncino sul quale sono indicate a seconda della sensibilità delle pellicole usate e delle distanze di ripresa, le aperture dei diaframmi da selezionare per l'uso con questi flash.
Funzione: Inserita su un apparecchio fotografico, emette lampi di luce per un breve intervallo di tempo, in sincronia con il periodo di apertura dell'otturatore. utilizzato con apparecchi fotografici automatici e di uso amatoriale.
Modalità d'uso: Ciascun cubo permette di fare quattro flash: man mano che si bruciano le singole lampadine, si fa ruotare il cubo in modo da portare in posizione di accensione una nuova lampadina. L'accensione dei cuboflash avviene o per mezzo di una batteria o meccanicamente a seconda del modello e il flash è sincronizzato con lo scatto dell'otturatore. Modelli diversi hanno attacchi diversi. Questi cuboflash sono del tipo a batteria. La parte riflettente è azzurrata per rendere la luce del flash con temperatura cromatica uguale a quella per cui sono tarate le pellicole a luce diurna.
Notizie storiche: Prima della nascita delle lampade flash, i flash per la fotografia erano realizzati con polvere di magnesio che bruciava, grazie all'innesco di una scintilla, generando un lampo di luce molto intenso. Le lampade al magnesio vennero utilizzate a partire dal 1865 anche se il magnesio era molto caro e la sua attinicità mal si coniugava con la sensibilità spettrale delle emulsioni fotografiche. Agli inizi del '900, con la nascita delle pellicole pancromatiche e la produzione industriale del magnesio che ne abbassò i costi, il lampo al magnesio si diffuse rapidamente. Queste lampade consistevano in contenitori attrezzati per bruciare polvere di magnesio. Il flash di queste lampade produceva molto fumo e polveri di ossido di magnesio. Questo inconveniente venne superato con il brevetto di Erwin Quedenfeldt che nel 1900 presentò una lampada simile a quelle a bulbo in vetro per l'illuminazione elettrica che conteneva polvere di magnesio sopra al filamento che ne avrebbe causato l'accensione. Naturalmente questo tipo di lampade flash non prevedeva alcuna sincronizzazione tra accensione della lampada e scatto dell'otturatore. Un passo avanti si ebbe nel 1929 quando la lampada Vakublitz fu prodotta da Johannes Ostermeier su progetto di Paul Vierkotter. Nel 1925 Vierkötter inventò infatti la prima lampadina flash usando polvere incendiaria inserita in un bulbo in vetro in cui era contenuto ossigeno a bassa pressione, accesa da un filamento (lampadine flash a combustione). Nel 1927 sostituì il magnesio con foglietti di alluminio. La Vakublitz si diffuse rapidamente e prodotti analoghi furono messi in commercio dalla General Electric (Sashalite, 1930) e dalla Philips (Photoflux, 1933). Quest'ultima introdusse un'utile novità per la sicurezza del fotografo: una macchia di colore che permetteva di stabilire la tenuta del vetro e scartare le lampade che sarebbero potute esplodere al momento dell'accensione. Inizialmente le lampade flash erano singole e usa e getta, realizzate con bulbi di lampadine vere e proprie, con diversi tipi di innesco (a vite, a baionetta, ecc) e spesso potevano essere pericolosi da usare. Per velocizzare l'uso del flash e renderlo più innocuo, vennero realizzati flash multipli che consistevano in più lampadine flash riunite in un unico dispositivo e con un metodo automatico di passaggio al flash inutilizzato successivo (Flashcubes, Magicubes e Flipflash). Nel 1935 la reflex Exakta (modello B) fu la prima macchina fotografica ad essere dotata di serie dei contatti elettrici per l'accensione del flash e alla fine del decennio l'utilizzo del flash a lampadine era diventato accessibile anche alle macchine economiche. Negli anni '50 la sincronizzazione era a disposizione sulla maggior parte delle macchine fotografiche. Nel frattempo la dimensione delle lampade si stava riducendo progressivamente fino a permettere l'integrazione del flash nel corpo della macchina stessa. Nel 1966 il Cuboflash dette il via all'ultima evoluzione di lampade al magnesio. Basato su 4 lampade AG1 alloggiate in una scatoletta di plastica, esso costituiva di fatto 4 flash indipendenti, completi di riflettore e sicuri contro le esplosioni, ciascuno innescato elettricamente da una batteria a basso voltaggio. Il magicube (detti anche X-flashcube) , evoluzione dei precedenti a partire dagli anni'70, prevedevano invece un innesco meccanico mediante una punta che si infilava in una capsula di materiale infiammante. In questo modo si semplificava ulteriormente il sistema. I flipflash erano costituiti da una griglia di 8 o 10 lampadine flash disposte orizzontalmente una sopra l'altra in verticale con un fusibile per la selezione del flash da bruciare. Utilizzate metà delle lampadine, occorreva girare la griglia dall'altra parte. Vennero realizzate anche altre combinazioni come la Polaroid Flash Bar con le lampadine flash disposte verticalmente una di fianco all'altra in orizzontale e la Sylvania Flip Flash con le lampadine disposte a zig zag. Il flash deve essere sincronizzato con l'apertura dell'otturatore. Nei primi flash la sincronia veniva realizzata manualmente facendo scattare il flash e contemporaneamente l'otturatore. Successivamente la sincronizzazione verrà effettuata elettricamente. Nel frattempo, fin dal 1930, periodicamente era stato ripreso lo studio del flash elettronico basato su una scarica elettrica ad alta tensione in un tubo di vetro contenente un gas (tipicamente xenon) e i primi flash elettronici erano apparsi in commercio a partire dal 1940. All'inizio si trattava di ingombranti attrezzature da studio ma verso il 1950 essi divennero trasportabili e poi più compatti e leggeri con l'invenzione del transistor. Verso il 1960 i flash elettronici avevano reso obsoleti i flash al magnesio professionali mentre quelli economici, per le fotocamere compatte, sopravvissero approssimativamente fino al 1980.
Autore: Sylvania (costruttore) (1924/)
Datazione: ca. 1960 - ca. 1980
Materia e tecnica: materiale plastico
Categoria: industria, manifattura, artigianato
Misure: 2.5 cm x 2.5 cm x 3.5 cm
Collocazione
Milano (MI), Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia "Leonardo da Vinci"
Riferimenti bibliografici
Hedgecoe J. "Fotografare : tecnica e arte", Milano 1976, pp. 232-233
Credits
Compilazione: Ranon, Simona (2008)
Aggiornamento: Iannone, Vincenzo (2011)
Scheda completa SIRBeC (formato PDF)
Link risorsa: https://lombardiabeniculturali.it/scienza-tecnologia/schede/ST110-00467/
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