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<Leonis Papae IX privilegium>
1053 agosto.
<Leone IX papa> conferma a Olderico, vescovo di Brescia e protettore del monastero benedettino di S. Pietro in Monte Ursino, il patrimonio già in precedenza confermato da Enrico <III> imperatore, garantendo inoltre allo stesso cenobio i beni che comunque possiede o potrà in futuro acquisire per concessione di pontefici, per largizione di re e principi e per le offerte che i fedeli vorranno donare al fine di ottenere annualmente la remissione dei propri peccati nelle forme previste dalla constitutio dell'arcivescovo di Milano e degli altri vescovi suffraganei.
Minuta di falsificazione del sec. XVII, BQBs, ms. E. I. 11., Fondazione di vari monasteri di Brescia, c. 439r, [M].
Segue, della stessa mano, il seguente dettato: Benignitati itaque fratres innotescere cupimus. Nos, Deo inspirante a quo bona cuncta procedunt ex parte beati Petri apostolorum principis, vicarii filii Dei patris (M matris), cui Deus dedit claves regni celorum, et Sanctæ Mariæ genitricis ipsius et omnium apostolorum quorum nomina et reliquiæ hic adesse videntur et aliorum omnium sanctorum in quorum honore consecrata est hæc ecclesia et auctoritate supradicti do(m)ni Apostolici et suorum cardinalium et archiepiscopi Mediolanensium civitatis et conscilio cunctorum episcoporum Longobardiæ partibus, dimittimus tertiam partem criminalium peccatorum unde confessi sunt, l(icet) (non si può escludere la lettura vel) et infra ipsam octavam redeuntibus sue domui a suis patronis penitentiam recepturi sunt; minutis peccatis penitus fraude penitentiarum sine mala occasione omnia dimitti. Nos autem omnes quicunque de propriis facultatibus aut parum aut multum ad predictam ecclesiam dederint omnium orationum omniumque beneficiorum totius nostræ congregationis, Deo concedente, pro presentis scripti pagina in perpetuum participes facimus. Quod vobis et illis credatur et firmius habeatur sigilli nostri impressione signavimus.
La traditio del falso di papa Leone IX si interseca con quella del privilegio genuino di Innocenzo II del 1132 agosto 31 (doc. 56). Ambedue i privilegi sono protagonisti di una quaestio diplomatistica alquanto intricata anche perché la ricostruzione del loro dettato, in mancanza degli originali o di copie integrali dei medesimi, deve far capo a due testimoni tardi e per giunta incompleti. Il primo è un excerptum del sec. XVII (BQBs, ms. E. I. 8., FAINO, Collectanea de episcopis Brixiae, c. 290v) dipendente, seppure in modo mediato, dall'originale deperdito di Innocenzo II. Di questo testimone si tornerà a parlare più avanti (cf. nota introduttiva al doc. 56), basti qui anticipare che i pochi tratti che esso riprende dalla pergamena originale, sono, quanto a genuinità, al di sopra di ogni sospetto. Il secondo testimone è tramandato nel secentesco Queriniano E. I. 11 - un manoscritto miscellaneo di storia ecclesiastica, dove (cc. 15r-17r) è pure ospitata una copia autentica del documento del 1381 dicembre 24 con il quale la chiesa di S. Brigida veniva annessa al monastero di S. Pietro in Monte -: alla c.439r, sotto il titolo De Vualderico episcopo, sono inseriti, uno di seguito all'altro, il privilegio qui edito e un privilegio vescovile senza data, privo del nome dell'autore e del destinatario. I due brani sono tutt'altro che trasparenti per quanto riguarda il contenuto e del tutto restii a essere inseriti in una griglia coerente, rispettivamente della cancelleria pontificia e della cancelleria vescovile. Già il Kehr li aveva valutati con estrema diffidenza (cf. KEHR, Papsturkunden in Italien, V, p. 429-31, n. 4), esprimendo in particolare un reciso giudizio di falsità sul documento pontificio. Esso dipende, quasi sicuramente attraverso una copia intermedia, dall'originale deperdito del privilegio genuino di Innocenzo II, decurtato delle parti finali del testo e dell'intero escatocollo. Queste lacune, cui vanno aggiunti una serie di innesti tanto grossolani quanto improbabili (basta leggere il protocollo con la relativa datazione), ci costringono a considerare l'intera scrittura come la prima bozza di un'operazione fraudolenta, elaborata in funzione del mundum vero e proprio (del quale peraltro non c'è traccia nell'archivio di S. Pietro e neppure menzione nella storiografia bresciana). D'altra parte, che il dettato pervenutoci sia da considerare una minuta, una specie di canovaccio, lo rivela anche l'espressione Et inf(ra), posta a chiusa del testo, che a null'altro sembra poter rinviare se non al brano successivo. A quest'ultimo lo pseudografo si riservava forse di attingere in fase di rielaborazione e assestamento definitivo del falso in forma di originale. La bozza superstite offre tuttavia elementi sufficienti per farci comprendere con chiarezza quali fossero gli intendimenti sottesi all'intera operazione. Il privilegio genuino di Innocenzo II indirizzato a Giovanni, abate del monastero di S. Pietro in Monte, viene trasformato in un privilegio diretto al vescovo di Brescia Olderico, qualificato come protettore del monastero. Nella nuova versione il vescovo di Brescia vede confermati a S. Pietro, oltre ai beni precedenti, anche quelli che il cenobio di Serle avrebbe potuto acquisire oblatione fidelium annuatim remissione suorum peccatorum secundum constitutionem archiepiscopi Mediolanensis Ecclesiae et cæterorum episcoporum Italiæ Longobardiæ partibus. Non è difficile cogliere in quest'ultimo passaggio un chiaro riferimento a un concilio provinciale milanese che avrebbe deciso la concessione di indulgenze ai fedeli che avessero effettuato elargizioni in favore dei luoghi pii. Un concilio sulle indulgenze di cui non risultano altri ricordi, e che comunque appare del tutto improbabile prima della fine del secolo XI, periodo in cui comincia ad affermarsi in parallelo all'avvio della stagione delle crociate la nuova disciplina penitenziale che prevede la remissione parziale o totale delle pene per i partecipanti alle spedizioni in Terrasanta (si veda per Milano, AMBROSIONI, Dagli albori, pp. 204-5; più in generale sul fenomeno delle indulgenze può essere qui sufficiente il rinvio a MAGNIN, Indulgences, col. 1594 ss. e alla bibliografia elencata in ADNÈS, Indulgences, col. 1720). È inutile aggiungere che la menzione di questo impossibile concilio milanese basterebbe da sola a tradire le intenzioni ingannevoli di chi ha allestito l'operazione fraudolenta e di chi l'ha commissionata.
Che il fatto doloso intendesse far perno sulle indulgenze per favorire donazioni in favore di S. Pietro in Monte lo dimostra anche il dettato successivo. Un brano, carente di riferimenti topici e antroponimici, mancante del protocollo, che inizia con una espressione priva di senso compiuto (Benignitati itaque fratres innotescere cupimus.), ma che non si fatica a collegare alla formula di notificazione di un documento vescovile. La parte dispositiva, seppure sprovvista di coerenti supporti sintattici e in alcuni passaggi del tutto oscura, sembra voler regolamentare in qualche modo la concessione delle indulgenze (quasi a completamento e a spiegazione del cenno generico inserito nella bozza del falso documento pontificio): coloro che, dopo essere andati in pellegrinaggio nella chiesa
<di S. Pietro in Monte>
, si confessino o si confesseranno entro gli otto giorni successivi al rientro nelle loro case, saranno premiati con lo sconto di un terzo delle pene per i peccati mortali; agli stessi pellegrini saranno inoltre annullate tutte le pene per i peccati veniali. È di aiuto nella comprensione della parte dispositiva, ma anche di tutto il brano, un documento del vescovo bresciano Giovanni II di Fiumicello. Seppure non datato, può essere inserito nei mesi immediatamente posteriori al 1189 luglio 17 o 18 (KEHR, Italia Pontificia, VI, 1, p. 331, n. 7) poiché rappresenta l'ultimo anello di una delicata quaestio sulle reliquie dei santi Faustino e Giovita, sviluppatasi a partire dal 1187, per la quale cf., oltre a ibid., pp. 330-1, nn. 5-7, anche SAVIO, Brescia, pp. 236-7. Tale documento (l'originale insieme con gli altri che trattano della controversia è in ASBs, Arch. Stor. Civ., Cod. Dipl. di Brescia, ad annos), emanato per il monastero dei SS. Faustino e Giovita, conferma una disposizione del vescovo Raimondo riguardante la concessione delle indulgenze in favore dei fedeli che onoreranno le reliquie degli anzidetti santi in occasione della loro festa (15 febbraio). In particolare la remissione delle pene derivanti dai peccati veniali è sancita con un'espressione che richiama quella del nostro brano: Remisit etiam omnia minuta peccata et penitentias absque mala occasione corruptas. Ma torniamo alla falsificazione di San Pietro. Se le ragioni della frode vanno collegate in qualche modo alle indulgenze, rese credibili dalla loro menzione nel documento pontificio e regolamentate nel frammento vescovile, restano da chiarire alcuni altri interrogativi. I tempi dell'imbroglio innanzitutto. Una risposta che non trova aiuti nel dato paleografico poiché, come si è detto, il testimone che noi possiamo leggere è una copia secentesca. Dallo spoglio sistematico di tutta la documentazione bresciana, effettuato ai fini dell'allestimento del Repertorio dei notai, emergono almeno tre documenti vescovili, certamente genuini, che indirizzano la nostra attenzione ai primi decenni del secolo XIII e che ci paiono particolarmente eloquenti. Il primo è un privilegio non datato del vescovo Giovanni III di Palazzo (1195-1212, cf. GAMS, p. 780; SAVIO, Brescia, pp. 239-41: l'accreditamento del privilegio agli ultimi anni dell'episcopato tiene conto del giudizio paleografico e dei rapporti contenutistici con i documenti vescovili di seguito menzionati), indirizzato a tutti i fedeli della diocesi bresciana, laici ed ecclesiastici, con il quale vengono concessi quaranta giorni di indulgenza per i benefattori del monastero di S.Pietro in Monte(ASVat, FV, I, 3523). Nella parte dispositiva si precisa in modo dettagliato che le donazioni dei fedeli verranno utilizzate per l'approvvigionamento dell'olio necessario all'alimentazione delle lampade, ma anche, in caso di offerte eccedenti, per il restauro della chiesa e per la costruzione di una cisterna ad retinendam aquam qua propter loci solitudinem fratres monasterii admodum indigebant. Si tratta di lavori di particolare urgenza per il cui finanziamento l'abate Alberto de Cenatho ha chiesto aiuto anche al di fuori della diocesi, come appare da un documento vescovile, pure non datato, di Federico di Vanga vescovo di Trento (1208-1218, cf. ROGGER, Monumenta liturgica, pp. 74-8), indirizzato al clero e ai fedeli della sua diocesi con il quale viene concessa l'indulgenza di dieci giorni per i peccati mortali e cancellata la quarta parte delle pene per i peccati veniali in favore di quanti elargiranno elemosine al cenobio di S. Pietro per soddisfare le medesime necessità illustrate nel privilegio del vescovo di Brescia Giovanni. Anche un terzo documento di Sicardo vescovo di Cremona dell'agosto 1202 - BQBs, ms. E. I. 8, FAINO, Collectanea de episcopis Brixiae, c.290r e v: si noti che nell'incipit, Anno 1202. Privilegium Sy(cardi) episcopi Cremensis in mense augusto, la dizione Cremensis va intesa come erronea trascrizione del Faino in luogo di Cremonensis -, pur regestato in modo eccessivamente conciso, sembra collegarsi ai documenti precedenti nel sancire vantaggi di ordine spirituale per quanti elargiranno elemosine in favore del nostro monastero.
Alla luce di queste tre importanti attestazioni non è difficile pensare che il vescovo bresciano, facendosi carico della situazione di difficoltà in cui si è venuto a trovare il cenobio di Serle all'inizio del Duecento, abbia cercato di avvantaggiarlo utilizzando lo strumento delle indulgenze, per la concessione delle quali ha ritenuto opportuno far emergere una lontana autorizzazione del pontefice. Da qui il falso che il vescovo, evidentemente in accordo con l'abate Alberto, ha allestito (non ci è tuttavia dato di sapere se il passaggio dalla minuta al mundum sia effettivamente avvenuto), collegandolo a Olderico, fondatore e patrono di S. Pietro in Monte, e rafforzandolo con il ricordo di un'antica constitutio dell'arcivescovo di Milano e dei vescovi suffraganei sulle indulgenze.
Va tuttavia precisato che la nostra attribuzione dell'apocrifo a Leone IX e al 1053 si basa su di una ricostruzione indiziaria che merita, a sua volta, qualche chiarimento. Nella copia secentesca, infatti, il privilegio risulta avere come autore Alessandro II ed appare accreditato all'agosto 1063. Ma Alexander è scritto su rasura e 1063 è chiaramente corretto da 1053. D'altra parte, soltanto a quest'ultimo anno si collega l'indizione VI, di seguito dichiarata, richiamando quella del diploma di Enrico III, emanato in favore del monastero il 18 maggio dello stesso anno (cf. qui doc. 41). Tutto dunque lascia credere che il contraffattore abbia montato l'operazione avendo come modello il privilegio genuino di Innocenzo II del 1132 agosto 30 (n. 56) e abbia recuperato il millesimo dal diploma di Enrico III. Due pezzi di indiscussa autorità fra le carte del tabularium, di certo adatti a fungere da interlocutori privilegiati e da modelli naturali per chiunque avesse voluto "inventare" una scrittura antica.
La bozza duecentesca del falso documento pontificio dovette dunque presentarsi al copista del XVII secolo così come noi l'abbiamo ricostruita. Le correzioni del nome del pontefice e del millesimo vanno ascritte a una manipolazione che ben s'innesta nei tentativi avviati in quel periodo per sistemare la cronotassi vescovile di Brescia. Non sfugge infatti che lo spostamento verso il basso viene a coincidere con gli anni di pontificato del vescovo Olderico II (un omonimo del fondatore di S. Pietro), che le più antiche liste episcopali collocano intorno alla metà degli anni settanta, dopo Adelmanno,1058-1059 (SAVIO, Brescia, pp. 211-4, SCHWARTZ, Die Besetzung, p. 107, CAPITANI, Adelmanno, pp. 263-5 e qui doc. 44) e prima di Conone,1080-1083 (SAVIO, Brescia, pp. 215-6; SCHWARTZ, Die Besetzung, p.108). La sua figura è avvolta nell'incertezza e la narrazione delle vicende che lo riguardano non sempre trovano supporti sicuri nelle fonti (SAVIO, Brescia, pp. 214-5 e SCHWARTZ, Besetzung, pp.107-8). La storiografia bresciana del Seicento non ha mancato di sottolineare i numerosi interventi di questo prelato in favore del cenobio di Serle, dove, scomunicato da Gregorio VII, avrebbe anche trascorso una parte della sua vita (cf. FIORENTINI, Antistitum Brixianorum index, p. 15; UGHELLI, Italia sacra, col. 540; FAINO, Thesaurus Ecclesiae Brixiae, BQBs, ms. E.I.1., p. 199). All'interno di una tale tradizione si può inserire il ringiovanimento della scrittura queriniana, che ben si prestava a dare forza e credibilità documentaria ai rapporti tra Olderico II e S. Pietro. Che poi il correttore di età moderna si rendesse conto di operare su di un dettato già falsificato nei primi decenni del Duecento è cosa non facile a sapersi, ma che, tutto sommato, pare alquanto improbabile.
Si osservi infine che anche per favorire il ben più potente e ricco monastero cittadino di S. Giulia viene ideato un falso privilegio pontificio, verosimilmente allestito nei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo (seppure pervenutoci in una copia quattrocentesca), accreditato al 1133 maggio 1: con esso il pontefice Innocenzo II si rivolge alla badessa Ermengarda, elargendo indulgenze a coloro che visiteranno la chiesa monastica in occasione di determinate feste liturgiche (cf. KEHR, Italia pontificia, VI, 1, p. 324, n. +9; Papsturkunden in Italien. V, pp. 431-3). Il falso di S. Giulia, che ci è pervenuto completo in tutte le sue parti, dipende direttamente del privilegio genuino emanato dal medesimo pontefice in favore del cenobio di Serle il 1132 agosto 31, lo stesso che, come si è detto prima, è servito da modello per il falso qui edito. Ce n'è quanto basta per immaginare un'identica iniziativa che il vescovo e alcuni monasteri bresciani hanno avviato nei decenni iniziali del Duecento per favorire donazioni in favore di questi ultimi, un'iniziativa che, in taluni casi (in altri tutto sembra essersi svolto senza frode, cf. supra le litterae di Giovanni II di Fiumicello in favore del monastero dei SS. Faustino e Giovita), si è ritenuto di dover rafforzare mediante la costruzione di scritture fraudolente, tendenti a collocare in tempi remoti, e quindi più credibili agli occhi dei contemporanei, le concessioni indulgenziali.
Leo IX (a) papa in nomine Domini nostri et salvatoris Iesu Christi ab incarnatione eius anno 1053 (b), mense augusti, indictione VI. Ad hoc in apostolicæ Sedis specula disponente Domino constituti esse conspicimus (c), ut venerabiles et religiosas diligamus personas et ad ecclesias et religiones propensius intendamus. Nec enim aliquando gratus Deo famulatus impenditur si non, ex charitatis radice procedens, a puritate religionis et devotionis fuerit conservatus. Quocirca in Domino filio Vualdericus Brixiensium episcopus (1) quoniam omnipotenti Domino deservire in cænobio Beati Petri sito in Monte Ursino secundum regulam beati Benedicti decrevisti, tuis r(ati)onabilibus postulationibus duximus annuendum. Statuimus enim ut universa quæ monasterio Beati Petri, cui Deo auctore præsides, collata sunt et ab illustris memoriæ Henrico Romanorum imperatore semper augusto per præcepti sui pagina (2) firmata esse noscuntur, firma tibi et successoribus supradicti cenobii (d) et (e) illibata permaneant. Quæcumque præterea inpresentiarum idem monasterium possidet aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fidelium annuatim remissione suorum peccatorum secundum constitutionem archiepiscopi Mediolanensis Ecclesiae et cæterorum episcoporum Italiæ Longobardiæ partibus seu aliis iustis modis prestante Domino poterit adipisci, vobis et per vos eidem monasterio auctoritatis nostræ munimine roboramus (f).
(a) M Alexander su rasura forse di Leo IX.
(b) M 1063 con -6- corr. da -5-.
(c) Così M
(d) Precede monasterii cassato mediante sottolineatura.
(e) et aggiunto successivamente.
(f) Segue Et inf(ra).
(1) Cf. doc. 1, nota 3.
(2) Doc. 41.
Edizione a cura di
Ezio Barbieri ed Ettore Cau
Codifica a cura di
Gianmarco Cossandi