Introduzione
1. Premessa
I documenti anteriori all’anno 1200 dell’archivio vescovile di Cremona, secondo la ricostruzione effettuata, i cui risultati sono ancora provvisori, sono contenuti in più di 300 pergamene e nel Codice detto di Sicardo, nel quale vi è una copia del documento più antico, datato 10 maggio 715 o 730 (n. 2 del Codice); ad essi vanno aggiunti poco meno di ottanta documenti, oggi non più reperibili, dei quali più di settanta sono noti grazie ai regesti, contenuti in due inventari archivistici della Mensa vescovile, rispettivamente dei secoli XVI e XVII [1]; e due documenti, dei quali ci è giunta notizia grazie ad una trascrizione e ad un regesto contenuti in un manoscritto del XVI secolo intitolato “Memorie di Gian Giacomo Torresino” [2].
Ben pochi di essi sono conservati nella loro sede originaria. L’antico archivio subì infatti pesantissime dispersioni che, iniziate alla fine del XVIII secolo, si protrassero almeno per tutto il XIX: si dice che i primi danni siano stati causati dal passaggio delle truppe francesi nel 1796, ma sappiamo che durante l’Ottocento documenti e codici continuarono ad essere asportati dall’archivio e, finiti sul mercato antiquario, furono acquistati da collezionisti privati.
Nell’attuale fondo “Mensa vescovile” dell’Archivio Storico Diocesano sono conservate solo dieci pergamene anteriori alla fine del secolo XII, le prime sette datate tra il 953 e il 1193, alle quali vanno aggiunte due “attestationes testium” e un elenco di affittuari senza data, ma attribuibili alla seconda metà del secolo XII; dello stesso fondo fanno parte anche due inventari archivistici, il primo redatto nella prima metà del secolo XVI (su di esso compare una nota datata 1539), il secondo nei primi decenni del secolo successivo.
Le pergamene, che oggi si trovano nel fondo “Mensa Vescovile”, sono menzionate dal Muratori, dall’Astegiano, dal Robolotti e dal Cereda, mentre il Kehr, nella breve descrizione dell’archivio vescovile premessa ai regesti dei documenti pontifici relativi all’episcopio di Cremona, dà notizia dell’inventario del XVI secolo. Successivamente non si ebbe più notizia di tale documentazione che è stata ritrovata solo durante recenti riordini archivistici; il Falconi si limita infatti a denunciare la perdita dei documenti, quando citati dagli autori sette-ottocenteschi.
Le sedi in cui sono attualmente custoditi i nuclei più cospicui di documenti provenienti dall’archivio del vescovo cremonese sono: la Biblioteca Statale di Cremona, la Biblioteca Universitaria di Halle e l’Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo. Alcune pergamene vescovili si trovano inoltre nel Fondo segreto dell’Archivio del Comune di Cremona, depositato presso l’Archivio di Stato di Cremona [3], e nel Museo Diplomatico e nell’Archivio Diplomatico dell’Archivio di Stato di Milano.
Una pergamena, proveniente con ogni probabilità dall’archivio vescovile è ora conservata nell’archivio della chiesa di S. Agata [4].
Come accennato precedentemente le pergamene pervennero a questi istituti, fatta eccezione per i due Archivi di Stato menzionati, con doni e acquisti di collezioni private e sono quindi disposte in ordine cronologico, senza indicazione della loro provenienza.
L’attribuzione di ciascuna di esse all’archivio, nel quale era originariamente conservata, è stata stabilita in seguito all’esame delle annotazioni che compaiono sul verso delle pergamene stesse e grazie alla descrizione di molti documenti dell’archivio, anteriori alla fine del XII secolo, offerta dai due inventari citati. È stato così possibile, tra l’altro, ricondurre con sicurezza al fondo vescovile anche documenti nei quali il vescovo non è menzionato. I due inventari, descritti in modo più ampio nel prossimo paragrafo, sono tuttavia incompleti. Per stabilire l’originaria provenienza dei documenti non è stato quindi possibile limitarsi a registrare la presenza o meno delle antiche segnature archivistiche e della descrizione nei due registri: basti pensare ad esempio che l’originale del diploma imperiale, datato 15 febbraio 882, concesso al vescovo di Cremona e riportato in copia nel Codice Sicardo, e che quindi sicuramente proviene dall’archivio vescovile, non reca alcuna segnatura archivistica sul verso, né è regestato nei due inventari. Oltre alle segnature archivistiche, quindi, sono stati considerati altri elementi e siamo spesso stati costretti a stabilire delle ipotesi, che per noi hanno comunque un altro grado di plausibilità: nelle introduzioni ai singoli documenti sono state comunque fornite, quando ritenuto necessario, le indicazioni archivistiche e bibliografiche che giustificano il nostro ragionamento.
2. Gli inventari
Nei due inventari archivistici citati, redatti nel XVI e nel XVII secolo, non è contenuta la descrizione integrale ed esaustiva di tutto ciò che all’epoca della loro redazione era contenuto nell’archivio. Essi furono probabilmente compilati con il fine di elencare i titoli che attestavano i diritti di cui il vescovo godeva, furono trascurati perciò i documenti che non apparivano importanti da questo punto di vista; altre omissioni furono casuali e in molti casi dovute anche alle difficoltà di lettura presentate dai documenti più antichi. Nei due registri non troviamo menzionati gli stessi documenti e in molti casi nessuno dei due contiene il regesto di molti degli atti pervenutici e sicuramente appartenenti all’archivio del vescovo. Pur con i limiti che derivano da queste considerazioni, i due inventari si sono rivelati utilissimi sia per accertare la provenienza di molti documenti divenuti parte di collezioni e quindi uniti ad atti di altre istituzioni, sia, soprattutto, per recuperare almeno i dati essenziali di molti documenti un tempo conservati nell’archivio della Mensa ed ora non più reperibili.
I due inventari sono organizzati in modo simile ed elencano i documenti suddivisi in “carnieri” (cioè borse, piccoli sacchi in genere di pelle), secondo una partizione topografica, che rispecchia la sistemazione dell’antico archivio.
Nell’inventario del secolo XVI i documenti sono numerati progressivamente, ripartendo da uno per ciascun “carniere”: il numero d’ordine del documento compare sul verso delle pergamene regestate, sulle quali non è invece segnata l’indicazione del carniere. L’ampiezza della descrizione non è uniforme: i documenti contenuti nei primi quattro “carnieri”, relativi alla località di Genivolta, Fornovo, Crotta d’Adda, sono per la maggior parte elencati senza indicazione della data; in alcuni regesti sono menzionati l’autore, il destinatario, l’oggetto del negozio giuridico, la data (talvolta solo di anno, talvolta completa) ed il notaio rogatario; altre volte compaiono solo alcuni degli elementi citati e la descrizione si fa spesso più approssimativa, perché eseguita in modo più frettoloso o per la difficoltà ad intendere le antiche scritture, come esplicitamente denunciato in alcuni casi dal redattore.
L’archivista che si occupò della redazione dell’inventario del secolo XVII mantenne la suddivisione in “carnieri” (che non corrispondono tuttavia in genere a quelli elencati nell’inventario del secolo XVI). I documenti sono descritti, “carniere” per “carniere”, e contrassegnati con una lettera alfabetica, duplicata, triplicata e addirittura quadruplicata; se il numero dei documenti di un “carniere” è ancora superiore, sono utilizzate per la segnatura le parole del Padre Nostro. La o le lettere alfabetiche o la parola del Padre Nostro, indicati nell’inventario accanto a ciascun regesto, sono riportate sul verso delle pergamene che contengono i documenti descritti. I criteri adottati per la redazione dei regesti sono abbastanza coerenti e in essi sono generalmente indicati l’autore, il destinatario, l’oggetto della transazione e la data di anno, non è in genere segnalato il nome del notaio rogatario; talvolta il compilatore dell’inventario ammette la propria imperizia nella lettura degli atti e la descrizione è perciò lacunosa.
L’analisi dei due inventari ha permesso di recuperare fino alla fine del secolo XII i regesti di più di settanta documenti, ora non più reperibili: di essi più della metà sono contenuti solo nel registro del secolo XVII, poco meno di venti solo in quello del XVI, circa una ventina in entrambi.
3. I documenti vescovili presso la Biblioteca Statale
Presso la Biblioteca Statale di Cremona è conservata la collezione Robolotti, una delle raccolte della Libreria Civica, che comprende tra l’altro un ricco fondo pergamenaceo e il Codice detto di Sicardo (collocazione BSCr, LC, Mss., AA.6.25), donati al Comune di Cremona nel 1867 da Francesco Robolotti (1802-1885), medico e appassionato cultore di storia, che durante i suoi studi aveva costituito presso di sé un’importante collezione di pergamene e codici, acquistati probabilmente sul mercato antiquario. 108 pergamene donate dal Robolotti (note come pergamene della Libreria Civica), datate entro la fine del secolo XII provengono dall’antico archivio del vescovo di Cremona e contengono in totale 121 documenti [5]:
- 108 sono in originale; il doppio originale di uno di essi è ora conservato presso l’Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo;
- 9 sono in copia autentica;
- 3 in copia semplice; di uno di questi documenti esiste un’altra copia presso l’Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo;
4. Le pergamene vescovili presso la Biblioteca Universitaria di Halle
Altra importante collezione nella quale confluì documentazione proveniente dall’archivio vescovile di Cremona fu quella costituita dal cavaliere milanese Carlo Morbio, durante i suoi studi riguardanti, in particolare, la storia dei Comuni italiani. Alla sua morte la collezione fu venduta all’asta, che si tenne a Lipsia il 24 giugno 1889; tra i manoscritti destinati al miglior offerente vi era una raccolta di 3400 pergamene, parte incollate in modo da essere contenuti in 17 grandi volumi in folio, parte contenute in 15 cartelle, che fu acquistata dal Ministero dell’istruzione prussiano e depositato presso la Biblioteca Universitaria di Halle an der Saale.
I documenti della raccolta sono datati tra il decimo ed il diciannovesimo secolo, anche se la maggior parte di essi riguarda i secoli dal XII al XVI. Per il periodo che a noi interessa, cioè fino alla fine del XII secolo, si tratta per la maggior parte di documenti di archivi di istituzioni ecclesiastiche dell’Italia settentrionale.
Ad una prima analisi le pergamene ora conservate tra la carte Morbio presso la Biblioteca Universitaria di Halle provenienti dall’archivio della Mensa Vescovile sono 64 e contengono 62 documenti in originale (di due di essi sono conservati altri originali presso l’Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo), uno in copia semplice ed uno in copia autentica.
5. Le pergamene vescovili a S. Pietroburgo
Non molto chiare sono le vicende che condussero in Russia più di 250 pergamene provenienti per la maggior parte dall’archivio della Mensa. Ugo Gualazzini ipotizza che esse fossero parte dei documenti raccolti presso di sé dal canonico e primicerio della Cattedrale Carlo Girondelli e che, dopo la morte di costui, avvenuta nel 1879, con passaggi non accertabili, fossero infine state acquistate da N. P. Lichacev e fossero divenute quindi nel 1925 di proprietà dell’Accademia delle Scienze di Leningrado (ora S. Pietroburgo). Abbiamo tuttavia testimonianza del fatto che, fino agli ultimi anni dell’Ottocento, perlomeno alcune di queste pergamene dovevano con ogni probabilità essere rimaste nella loro sede originaria: Lorenzo Astegiano, il cui Codex Diplomaticus Cremonae fu pubblicato nel 1895-1898, dà infatti il regesto di alcuni documenti, ora a S. Pietroburgo, che dichiara contenuti in pergamene conservate presso l’archivio vescovile.
Le pergamene conservate presso l’Accademia delle Scienze, anteriori alla fine del XII secolo, sono, secondo l’edizione datane dall’Anninski nel 1937, 94, delle quali 92 provenienti dall’archivio della Mensa vescovile e due molto più probabilmente dall’archivio del Capitolo. I documenti traditi dalle 92 pergamene vescovili sono 84 originali (di due di essi esiste un doppio originale tra le pergamene conservate a Halle), 9 copie autentiche (delle quali in un caso vi è l’originale sempre tra le pergamene dell’Accademia delle scienze) e una copia semplice, a questi vanno aggiunte le due parti dell’inventario della biblioteca della Cattedrale di Cremona, datato 984 o 985, ma redatto qualche decennio più tardi, la cui terza parte è contenuta nella pergamena segnata n. 13, conservata tra le pergamene della Libreria Civica della Biblioteca Statale di Cremona.
Note
[1] Il numero dei documenti non più reperibili è per ora indicativo; le indicazioni date dagli inventari infatti non sempre sono precise ed esaustive: non è quindi da escludere che, procedendo nel lavoro di edizione, possano essere individuati alcuni documenti in un primo tempo ritenuti non reperibili. Per lo stesso motivo non compaiono per ora nell’elenco i documenti traditi solo in regesto dai due inventari nominati.
[2] BSCr, LC, Manoscritti, AA.4.31.
[3] È probabile che alcuni documenti dell’archivio vescovile siano finiti nel Fondo segreto dell’archivio comunale a causa della contiguità fisica delle sedi di conservazione: l’Archivio segreto ebbe sede fino al 1959 (anno del deposito presso l’Archivio di Stato) in una stanza sopra le volte della Cattedrale. È facile riconoscere i documenti ora parte del Fondo segreto, ma non appartenenti ad esso fin dall’origine, perché privi della segnatura apposta in occasione del riordino e della redazione dell’inventario della documentazione conservata nell’Archivio segreto, che ebbero termine nel 1567.
[4] La pergamena è ricordata in un elenco, probabimente di mano di Theodor Wuestenfeld, intitolato “Registro cronologico delle pergamene conservate nel Museo [civico] di Palazzo Ponzone”, senza data ma con ogni probabilità di poco posteriore al 1867, conservato tra le lettere spedite dal Wuestenfeld a Francesco Robolotti (BSCr, LC, Mss., BB.3.13). Ricordiamo che Francesco Robolotti nel 1867 donò pergamene, codici e altri manoscritti per il costituendo Museo Patrio. Non sono invece noti i motivi per cui questa pergamena sia attualmente conservata nell’archivio della chiesa di Sant’Agata.
[5] Le pergamene BSCr, LC, nn. 53, 54, 67, 99, 101, 109, 117, 119, 128, 133, 135 contengono infatti più di un documento.