comune del regno d'Italia 1805 - 1815
Il passaggio dalla repubblica italiana al regno d’Italia implicò una trasformazione degli ordinamenti locali. Il decreto 8 giugno 1805 (decreto 8 giugno 1805 a) riaffermava alcune prerogative delle amministrazioni municipali e dei loro organi previste dalla precedente normativa, ma al contempo ne introduceva altre, che accentuavano il carattere accentrato del sistema amministrativo (Rotelli 1974).
Dopo aver delineato la divisione del territorio dello stato in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni, in ognuno dei quali vi era “un consiglio comunale ed una municipalità” (art. 19), nel decreto veniva confermata la distinzione dei comuni in tre classi, definendo comuni di prima classe quelli con popolazione superiore ai diecimila abitanti, comuni di seconda classe quelli che oltrepassavano “li tremila fino ai diecimila”, comuni di terza classe quelli con popolazione inferiore a tremila abitanti (art. 18). Rispetto alla normativa precedente risultava confermata anche la composizione del consiglio comunale nei comuni di prima e seconda classe, mentre nei comuni di terza classe il consiglio comunale sarebbe stato composto da non più di quindici membri, fra i quali fino al numero di tre potevano essere non possidenti, ma con i requisiti di avere almeno trentacinque anni di età, di possedere uno stabilimento di agricoltura, industria o commercio nel loro comune, e di pagare la tassa personale (art. 20).
I consigli comunali erano di nomina reale quelli di prima e seconda classe e prefettizia quelli di terza classe. Le riunioni si dovevano tenere sempre alla presenza del prefetto, del viceprefetto o di un loro delegato nei comuni di prima e seconda classe, mentre nei comuni di terza classe dovevano tenersi alla presenza del cancelliere distrettuale, che ne registrava le deliberazioni e le trasmetteva al prefetto o al viceprefetto, insieme a eventuali ricorsi (art. 21). Convocati sempre in luogo pubblico con almeno quindici giorni di preavviso dalle municipalità nei comuni di prima e seconda classe e dal cancelliere del censo in quelli di terza classe (art. 22), i consigli comunali si riunivano in via ordinaria due volte all’anno (in gennaio o febbraio e in settembre o ottobre) e in via straordinaria “a qualunque invito del prefetto e del viceprefetto” (art. 23). I consigli deliberavano collegialmente a scrutinio segreto (art. 27). Nella prima seduta esaminavano il rendiconto dell’esercizio finanziario precedente, mentre nella seconda nominavano o eleggevano i componenti della municipalità in scadenza, determinavano le spese e l’ammontare delle imposte comunali per l’anno successivo e nominavano i revisori dei conti per l’anno precedente (artt. 24-25).
Le municipalità dei comuni di prima e seconda classe erano composte da un podestà e rispettivamente da sei o quattro savi, mentre quelle dei comuni di terza classe erano costituite da un sindaco e due anziani. Le municipalità esercitavano “tutte le ispezioni amministrative e rappresentative del loro comune” (art. 35), predisponevano il conto consuntivo dell’anno antecedente e il conto preventivo per l’anno successivo (art. 36), proponevano ai consigli comunali deliberazioni su materie di particolare interesse per la comunità ed “eseguivano le determinazioni degli stessi consigli approvate dai prefetti o vice-prefetti” (art. 37). Ciascuna municipalità aveva un segretario, quelle di prima e seconda classe avevano inoltre altri impiegati secondo i loro bisogni, mentre quelle di terza classe avevano normalmente un cursore (art. 38).
Il podestà veniva nominato dal re da una terna di nomi proposti dal consiglio comunale (art. 46), durava in carica tre anni (art. 29). I savi, “proposti ed eletti dai consigli comunali a scrutinio segreto ed a maggiorità assoluta di voti fra i cento maggiori estimati ne' comuni di prima classe e fra i cinquanta in quelli della seconda” (art. 30), si mutavano parzialmente ogni anno, in modo che entro un triennio fossero interamente rinnovati (art. 33). Il sindaco, di nomina prefettizia (art. 47), durava in carica un anno (art. 31). Gli anziani, nominati fra i venticinque più ricchi o notabili del comune “ed eletti dal consiglio a pluralità assoluta di voti” (art. 32), si rinnovavano ogni anno (art. 33). Integrato da altri provvedimenti, relativi all’esecutorietà della nomina dei savi e alla delega loro attribuita di supplire alle funzioni del podestà (decreto 22 aprile 1806), “alla rinnovazione e completazione dei consigli distrettuali e comunali” (decreto 4 dicembre 1806 a), al trasferimento al podestà e al sindaco delle funzioni attribuite alle municipalità dal decreto 8 giugno 1805 (decreto 5 giugno 1807) e alla esclusione dalle votazioni di membri dei consigli comunali nei casi fossero discusse cause in cui erano interessate “persone di aderenza reciproca” (decreto 8 luglio 1810 b), il sistema amministrativo sopra delineato resse gli organismi comunali in epoca napoleonica, prima del ripristino degli istituti teresiani nel 1816 (Coraccini 1823; Roberti 1947; Rotelli 1974; Zaghi 1989; Meriggi 1994).
Durante il regno d’Italia vennero emanate disposizioni generali volte a promuovere l’aggregazione dei comuni minori ai maggiori, che vennero realizzate con provvedimenti particolari nei singoli dipartimenti. Con il decreto 14 luglio 1807 veniva stabilito che “la popolazione dei comuni di seconda e terza classe si approssimasse al maximum della classe rispettiva per mezzo dell’aggregazione dei vicini comuni”, per formare “un comune solo e individuo”. Anche il circondario dei comuni murati venne esteso, inglobando i comuni limitrofi con i quali dovevano formare un’unica municipalità. Con il decreto 18 settembre 1808 venne infine stabilito che i comuni aggregati, benché formassero “un solo ed individuo comune per tutti gli oggetti amministrativi, dovevano conservare le rispettive attività e passività separate” (Roberti 1947).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Saverio Almini ]
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