congregazione municipale 1786 - 1796
Con due dispacci reali promulgati il 26 settembre 1786 il governo e l’amministrazione delle otto province della Lombardia austriaca, istituite quel medesimo giorno dall’imperatore Giuseppe II, vennero affidati a due nuovi organismi: le intendenze politiche e, in luogo delle congregazioni del patrimonio teresiane, le congregazioni municipali.
Queste ultime riunivano in sé le funzioni esecutive di organi civici tradizionali allora soppressi, quali il tribunale di provvisione, il vicario di provvisione, i giudici delle strade, delle vettovaglie e della legna e di altri ancora (Grab 1976).
Alle congregazioni municipali, come è indicato nel paragrafo X dell’editto 26 settembre 1786, competevano infatti l’ispezione e l’esecuzione di tutto ciò che riguardava “gli oggetti dell’economica amministrazione del patrimonio pubblico a norma degli ordini censuari” come era stato fino ad allora osservato dalle congregazioni patrimoniali, ma anche “vegliare, provvedere e mantenere in tutta la provincia l’esecuzione degli attuali e successivi regolamenti” in materia di adattamento e manutenzione delle strade urbane e provinciali, soprintendenza alle fabbriche pubbliche e all’ornato esterno della città, vigilanza sui commissari e cassieri della provincia, alloggiamenti e fazioni militari, soprintendenza alle vettovaglie per la salubrità e la garanzia dei pesi e delle misure, fissazione dei calmieri, mansioni di polizia e di sanità, vigilanza sopra gli incendi. Alla congregazione di Milano spettava inoltre la vigilanza sopra l’illuminazione della città; facoltà particolari erano assegnate anche a quelle di Mantova e Cremona (editto 26 settembre 1786 c).
Per l’applicazione di tali poteri alle congregazioni municipali erano attribuiti “l’esercizio regolativo e coattivo delle facoltà economiche”, in modo che nei singoli casi di contravvenzione ai regolamenti vigenti e futuri esse potessero “prendere cognizione e pronunziare una regolare dichiarazione […] a norma delle leggi e dei regolamenti di polizia”, con l’esclusione però delle materie di contenzioso che esigevano discussione giudiziaria.
Le attribuzioni delle congregazioni erano dunque assai vaste, estendendosi alla finanza, all’economia, alla polizia e ai servizi pubblici; assai limitata invece la loro autonomia: per qualunque spesa che non rivestisse carattere d’urgenza occorreva infatti la preventiva approvazione del governo (Cuccia 1971).
Per quanto riguarda il contenzioso amministrativo, il dispaccio stabiliva anche che, “nel caso di denegata provvidenza o d’altro gravame contro le congregazioni municipali”, le parti potessero ricorrere alle regie intendenze provinciali politiche.
Quanto all’organico il capo di ciascuna congregazione aveva il titolo di prefetto mentre gli altri componenti prendevano la denominazione di assessori. Nella congregazione di Milano per il prefetto era stabilito il medesimo trattamento onorifico che aveva avuto il cessato vicario di provvisione (par. IV). Gli assessorati più importanti erano quelli delegati alle strade e alle vettovaglie.
A Milano, Mantova e Cremona i membri delle congregazioni erano complessivamente nove, sei dei quali, compreso il prefetto, erano tratti “del ceto de’ patrizi e tre di quello degli estimati, in conformità di quanto fu da sua maestà determinato con cesareo reale dispaccio de’ 23 novembre 1784” (par. I); a Como, Lodi, Pavia i membri erano invece sette, cinque dei quali patrizi, fra cui il prefetto, e due estimati non nobili (par. II); sette soggetti dovevano comporre anche le congregazioni municipali di Gallarate e Bozzolo, a costoro era tuttavia richiesto di essere “semplicemente estimati” (par. III).
Prefetti e assessori dovevano dimostrare almeno duemila scudi d’estimo “in testa propria nelle rispettive provincie” e non avere “né liti né debiti con i rispettivi pubblici” (par. VIII), duravano in carica sei anni, con una turnazione di quattro elementi nelle congregazioni municipali di Milano, Mantova e Cremona e tre nelle rimanenti ogni tre anni (par. VII). Il dispaccio specificava inoltre che la prima nomina di prefetti e assessori sarebbe spettata direttamente alla “rappresentanza di sua maestà”, mentre in seguito essi sarebbero stati eletti dal consiglio di governo, scelti tra terne di nomi presentati dai rispettivi consigli generali (par. VIII) (dispaccio 23 novembre 1784).
Nel successivo “piano delle congregazioni municipali della Lombardia austriaca”, pubblicato nel 1786, veniva ribadito che le congregazioni non dovevano occuparsi di quanto richiedeva “una discussione giudiziaria della ragione privata e controversia fra parte e parte, dovendo la loro facoltà essere unicamente ristretta nei termini di esecuzione e di provvedimento economico e stragiudiziale” nelle materie indicate nel dispaccio istitutivo (par. XIII) (editto 26 settembre 1786 b). In questo modo si sopprimeva una parte delle funzioni che in precedenza spettavano all’amministrazione e si introduceva una netta distinzione fra magistrati e burocrati. I primi avevano autorità esecutiva e giudiziaria, mentre i secondi detenevano solo autorità esecutiva (Grab 1976).
La congregazione municipale, sempre secondo quanto indicato nel “piano delle congregazioni” aveva l’obbligo di riunirsi due volte la settimana (par. XXII) e deliberava “con la pluralità dei voti” (par. XXXII); ogni otto giorni doveva trasmettere copia dei rispettivi protocolli all’intendente politico provinciale (par. XIX), al quale era inoltre attribuito il compito di vigilare sulla condotta degli assessori (par. XX) e la facoltà di convocare, anche straordinariamente, la congregazione, alle cui riunioni poteva intervenire quando voleva, sostituendo in questi casi il prefetto (par. XXIII). Solo in caso di denegata o ritardata provvidenza o di “manifesto pregiudizio” ai loro diritti le congregazioni avevano la facoltà di inoltrare ricorsi direttamente al consiglio di governo (par. XXIX).
La preminenza degli intendenti sulle congregazioni municipali era del resto chiaramente evidenziata nel dispaccio istitutivo delle intendenze, dove si disponeva che a esse spettasse la soprintendenza su “tutti i dipartimenti o dicasteri provinciali”, affinché adempissero “esattamente i doveri del loro istituto”, riferendo le occorrenze al consiglio di governo nei casi che eccedessero “i limiti delle loro facoltà” (par. IV).
Le riforme del 1786 stabilirono dunque una rigida gerarchia tra il consiglio di governo, che ne costituiva il vertice, sottoposto solo a Vienna, gli intendenti politici provinciali e le congregazioni municipali, concepite come organi meramente amministrativo-esecutivi, privi di potere giurisdizionale. L’antica autonomia, con le sue particolari istituzioni, fu completamente eliminata e l’amministrazione integrata in una nuova struttura gerarchica, strettamente soggetta alle autorità superiori (Grab 1976).
Molte delle prerogative perdute dalle classi dirigenti locali durante il periodo giuseppino vennero tuttavia riacquistate dopo la morte dell’imperatore e l’ascesa al trono di Leopoldo II, che, con il dispaccio 24 gennaio 1791, provvide a un’ampia revisione degli ordinamenti locali.
Significative furono allora anche le novità riguardanti le congregazioni municipali.
Alle congregazioni furono innazitutto “appoggiate” le incombenze in materia di fazioni militari che erano in precedenza “affidate ai luogo-tenenti locali del già commissario generale dello stato” (dispaccio 24 gennaio 1791 a, allegato A, art. XIII).
Allo stesso tempo le congregazioni municipali, presso cui dovevano essere ripristinati i regi delegati (art. XV), vennero “poste nell’esercizio del diritto a esse compartito dal codice censuario di giudicare in prima istanza in materia di carico o d’imposta”; era consentito il ricorso al consiglio di governo quale tribunale tutorio (art. XIX). L’articolo che affidava alle congregazioni il contenzioso tributario faceva riemergere la commistione di funzioni tipica degli organi di antico regime combattuta da Giuseppe II (Cuccia 1971). Questa materia fu poi precisata in un’“istruzione relativa agli affari che in prima istanza devono giudicarsi dalle rispettive congregazioni municipali e agli oggetti sopra i quali i pubblici devono interloquire prima che sieno ultimati”, emanata dal governo il 25 giugno 1791 (istruzioni 7 marzo 1791).
Secondo quanto disposto dal regio dispaccio 24 gennaio 1791 venne inoltre riconosciuta alle congregazioni municipali la facoltà di provvedere “senza previo assenso governativo” nei casi di loro ispezione, di “decretare le spese nelle annuali ordinarie e straordinarie occorrenze” entro i limiti impostati nel bilancio preventivo e di darne successiva giustificazione nel conto consuntivo, onde evitare abusi di pubblico denaro da parte degli amministratori (art. XXXV).
Con la soppressione delle intendenze politiche provinciali cessò infine per le congregazioni l’obbligo di “rimettere dettagliati protocolli delle loro deliberazioni” nelle modalità prescritte nel 1786, bastando loro “tenere di mese in mese al consiglio di governo un transunto degli appuntamenti presi in tal intervallo per la superiore notizia” (art. XXXIX).
ultima modifica: 12/06/2006
[ Saverio Almini ]
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