Bergamo
Bergamo dai Visconti a Venezia
Fin dal XIII secolo il comune di Bergamo aveva costruito il suo dominio sul "contado" (gli statuti cittadini del 1248 e quelli del 1331 confermano tale percorso). Nel 1331, però, nel momento in cui appare ormai forte la supremazia della città sul suo territorio, Bergamo accettò di sottomettersi a un signore, il re Giovanni di Boemia, perdendo la propria autonomia. Da quel momento, Bergamo fu sempre sottoposta a un dominio esterno: visconteo fino al primo quarto del XV secolo, e quindi veneziano, con le brevi parentesi della signoria malatestiana agli inizi del XV secolo e del governo spagnolo-francese subito dopo la sconfitta veneziana di Agnadello nel 1509.
La repubblica di Venezia, a cui le valli bergamasche "si diedero" sul finire del 1427, qualche mese prima della città, ereditò una struttura amministrativa organizzata durante i decenni precedenti dai Visconti e cercò di modificarla il meno possibile. Il territorio bergamasco, dopo il 1428, divenne terra di frontiera verso il resto della Lombardia, con una capitale, Venezia, assai lontana e disposta a concedere anche larghe autonomie. Bergamo divenne una delle cosiddette "podestarie maggiori" della terraferma veneta, nella quale la città lagunare inviava propri rappresentanti ad amministrare la giustizia, a difendere il territorio e a governarlo fiscalmente.
Le giurisdizioni bergamasche in epoca veneta
Il territorio che Venezia assoggettò tra il 1427 e il 1428 confinava a nord con la Valtellina, dominio della repubblica delle tre leghe a partire dal 1512. A ovest il confine bergamasco era definito dal corso del fiume Adda, che separava repubblica di Venezia e ducato di Milano. A sud il confine con Milano era dato dal cosiddetto "fosso bergamasco", che lasciava ai milanesi Treviglio e il territorio della Gera d'Adda. A est, infine, il fiume l'Oglio e il lago d'Iseo segnavano la separazione dal territorio di Brescia anch'esso divenuto parte della repubblica di Venezia.
La città di Bergamo era al centro di un territorio diviso in distretti: Romano e Martinengo, grandi borghi della pianura bergamasca, erano retti da podestà o provveditori di nomina veneta, così come la Valle Seriana superiore, il cui podestà risiedeva a Clusone. La Val Calepio, Cavernago e Malpaga e Morengo, ubicate nel piano, conservarono anche in periodo veneto la loro fisionomia di feudi separati (i conti di Calepio, feudatari della valle, ottennero la conferma della propria giurisdizione in qualità di vicari). Sempre nel piano altri giusdicenti di nomina cittadina erano ubicati a Cologno e Urgnano.
Nelle altre valli tutti i vicari e i podestà erano di nomina cittadina: a Lovere, in Val Gandino, in Valle Seriana inferiore, in Val San Martino, in Valle Brembana oltre la Goggia, in Valle Brembana superiore, in Valle Brembana inferiore, in Valle Imagna. In Valle Averara, a Valtorta, in Val Taleggio i vicari erano approvati dalla città su nomina dei locali. I distretti del piano, cioè quadra d'Isola, quadra di Mezzo, quadra di Calcinate, Val Cavallina (detta anche quadra di Val Cavallina ) e Val Trescore (detta anche quadra di Val Trescore) facevano riferimento alla giustizia cittadina.
Autonomia delle valli bergamasche
Le valli, a differenza del territorio bergamasco di pianura, ebbero la loro affermazione politica e istituzionale in epoca risalente. Giovanni Maria Visconti, fin dall'inizio del secolo XV ne aveva riconosciuto l'autonomia, riconfermata in epoca immediatamente successiva con i privilegi concessi da
Pandolfo Malatesta.
Le valli bergamasche, dotate di una propria organizzazione di natura statutaria, "volontariamente" si separarono dal ducato di Milano nel 1427 per porsi sotto il dominio veneto; l'anno seguente ottennero il privilegio che sanciva la loro autonomia amministrativa.
All'indomani della Pace di Ferrara del 1433, Venezia accolse i rappresentanti delle comunità che richiedevano concessioni e privilegi. Le valli fondarono le proprie richieste sul concetto di separazione dalla città: un governo il più possibile autonomo e fondato su statuti propri con un'amministrazione della giustizia diversa da quella cittadina; la possibilità di gestire al proprio interno il riparto fiscale; l'obbligo per i cittadini che avessero acquistato terreni in valle di pagare le tasse con i "valeriani". Nell'esaudire le richieste delle valli, Venezia si pose in linea con la precedente politica viscontea confermando, almeno formalmente, la superiorità della città più sulla pianura che sulle valli.
Le valli erano rette da un vicario, senza il consenso del quale nessun ufficiale cittadino poteva esercitare atti di autorità nella valle; norme fiscali particolari regolavano il transito delle merci e assicuravano determinate esenzioni dalla contribuzione a imposte statali. Venezia per parte sua, soprattutto nella fase iniziale del duo dominio, ritenne più proficuo stimolare il riordino e l'aggiornamento degli statuti locali piuttosto che imporre propri ordinamenti.
Autogoverno delle valli bergamasche
Alla fine del XVI secolo, secondo la descrizione che viene fatta dal capitano Giovanni da Lezze, le valli erano rette da un consiglio; il governo delle valli dipendeva da sei tesorieri eletti da ciascuna valle; la valle Seriana Superiore e la valle Brembana Superiore, che non facevano parte di questa assemblea governandosi separatamente, vi fecero il loro ingresso nel 1645.
I tesorieri si riunivano a Bergamo e secondo le necessità contingenti imponevano le taglie e ridistribuivano i carichi su ciascuna valle secondo le quote fissate dall'estimo generale; allo stesso modo ogni valle la ridistribuiva sui propri comuni. L'assemblea eleggeva ogni anno un tesoriere generale per l'intero corpo delle valli, con l'incarico di esigere e pagare alla camera fiscale di Bergamo le taglie già riscosse dai tesorieri dei comuni del comprensorio. Nell'esercizio della sua funzione, il tesoriere generale era accompagnato da un cancelliere. Le discordie interne, tuttavia, limitavano la reale efficacia dei compiti e delle funzioni di tale collegio.
Nell'ambito delle valli, diverso era il grado di autonomia e diverso era il legame con la città, che si riservava, attraverso il consiglio maggiore e alla presenza di almeno uno dei due rettori, la nomina di quasi tutti i giusdicenti. L'autorità cittadina si garantiva l'esercizio del secondo grado di giurisdizione, cioè l'eventuale appello. La valle Seriana Superiore era l'unico distretto delle valli in cui il giusdicente veniva eletto dal consiglio locale, ma era un patrizio veneziano successivamente approvato dal maggior consiglio di Venezia.
Vi erano invece distretti, detti delle valli separate, in cui i vicari venivano eletti dai consigli locali e successivamente venivano approvati dal consiglio maggiore della città di Bergamo: la Valle Averara, Valtorta e la Val Taleggio. Altre prerogative di autonomia delle valli, per le quali si registrarono interminabili dispute tra i diversi corpi territoriali bergamaschi, riguardarono le spese per il presidio dei confini e ai fini di controllo sanitario.
Il territorio di Bergamo
L'esistenza di un ente denominato "territorio" in ambito bergamasco, analogo a quello costituito nel Bresciano nel 1430, è documentata solo a partire dalla seconda metà del XVII secolo. Le cause di questo ritardo sono dovute principalmente alla divisione, non solamente geografica, del territorio della provincia bergamasca in valli e piano. In generale, le istituzioni del territorio ancora nel XVI secolo non hanno una fisionomia definita e stabile: spesso la loro esistenza non dipende né da una divisione in compartimenti territoriali rigidamente prefissata, né tanto meno dall'assegnazione di competenze e dal conseguente insediamento di uffici, ma è legata a situazioni provvisorie, frutto di alleanze, spesso precarie, tra comuni di uno stesso comprensorio.
Queste occasionali riunioni di comitati interdistrettuali divengono più frequenti con l'approssimarsi delle rinnovazioni dell'estimo generale (1476 e 1547). Il contraddittorio tra città da un lato, valli e piano, i due grandi compartimenti i cui il contado è diviso, dall'altro, è un dato costante: in questa disputa, il governo di Venezia gioca il ruolo del mediatore, scegliendo di volta in volta i tempi più opportuni per potersi giovare delle alleanze con i distretti del contado e controbilanciare la volontà di affermazione della città.
Con la fine del secolo XVI, alla divisione geografica in valli e piano corrisponde infine l'istituzione stabile di due enti che rappresentano e difendono i distretti dei rispettivi comprensori, sebbene dell'ente piano siano state ritrovate rare testimonianze. L'istituzione degli enti valli e piano corrisponde alla necessità avvertita sia da Venezia sia dai corpi distrettuali di razionalizzare l'esecuzione delle norme tributarie nell'ambito di un territorio disomogeneo.
L'istituzione dell'ente territorio, che sostanzialmente viene sancita con gli ordini del capitano di Bergamo Zaccaria Malipiero del 1660, rappresenta una fase di un faticoso processo di riorganizzazione istituzionale e finanziaria delle comunità e dei distretti del contado. Tale impegno normativo da parte della repubblica veneta, attuato soprattutto nei secoli XVII e XVIII, diede luogo a una serie di disposizioni organiche emanate da capitani o da sindaci inquisitori di terraferma (in una prima fase chiamati sindaci avogadori) e corrisponde all'intento di provvedere al funzionamento degli organi dei comuni, alla corretta formazione dei bilanci comunali e in genere a impedire la malversazione.
Governo del territorio di Bergamo
Nel 1660 venne per la prima volta regolamentato il funzionamento dell'ente territorio. Ordini e disposizioni in tale materia si susseguono nel XVIII secolo, con prevalenza dei sindaci inquisitori in terraferma rispetto ai capitani di Bergamo.
Le funzioni dell'ente territorio, del cui consiglio fanno parte i sindaci generali delle quadre e i tesorieri delle valli in un numero prefissato, riguardano, oltre che l'attivazione di una rappresentanza stabile dell'intero contado della provincia bergamasca, il coordinamento finanziario tra i distretti componenti, vale a dire l'assegnazione dei carichi fiscali, soprattutto oneri extra-camerali sulla base della distribuzione delle quote s'estimo. Sindaci generali e tesorieri dovevano provvedere al saldo delle rispettive contabilità, racogliere gli avvisi per l'istituzione delle taglie e recapitarli ai tesorieri dei comuni per assicurarsi che tutti i procedimenti legati all'esazione dei tributi fossero assolti; il capitano di Bergamo e il suo cancelliere assistevano alle riunioni del consiglio.
Il tesoriere generale del territorio doveva essere esterno al consiglio, la contabilità era controllata da un cancelliere e da due deputati con funzioni di supervisione. I distretti rappresentati in consiglio, eccettuando le cosiddette Valli Separate (Val di Scalve, Val Taleggio, Val Averara, Valtorta) e i comuni di Pedrengo, Scanzo, Villa di Serio, San Giovanni Laxolo, Brembilla che godevano di privilegi fiscali, erano verosimilmente la Valle Seriana Superiore, Val Gandino, Valle Seriana Inferiore, Valle Brembana Superiore, Valle Brembana Inferiore, Valle Brembana Oltre la Goggia, Valle San Martino, Valle Imagna, Val Calepio, Val Cavallina, Val Trescore, quadra di Calcinate, quadra di Mezzo, quadra dell'Isola e le podestarie di Lovere, Martinengo, Romano.
Nelle norme emanate per la regolazione del territorio bergamasco, si coglie l'esigenza da parte della repubblica di Venezia di controllare i problemi del disavanzo della finanza locale, dell'indebitamento e degli abusi da parte degli amministratori. La cancelleria del territorio, ubicata a Bergamo nel XVIII secolo, è l'ambito in cui vengono stipulati i contratti di mutuo per far fronte agli ingenti obblighi fiscali gravanti sui corpi distrettuali specialmente nella seconda metà del secolo XVIII.
Il "piano" di Bergamo
Il territorio bergamasco di pianura non godeva di privilegi di carattere ampio e generale come quelli del territorio montuoso. Vi erano tuttavia al suo interno territori privilegiati, con un tenore amministrativo differente rispetto alla norma. A parte queste eccezioni, il piano era costituito da circoscrizioni territoriali genericamente chiamate quadre o squadre, i cui abitanti riconoscevano in prima istanza per qualsiasi controversia civile la giurisdizione della città.
I distretti del piano furono verosimilmente gli ultimi a essere riconosciuti come enti amministrativi da parte della dominante veneta, a causa degli stretti vincoli con la città, che ritardarono ogni forma di efficace organizzazione: assai saldo e diretto era l'assoggettamento di fatto imposto dai proprietari cittadini che in gran parte possedevano beni nel piano.
La prima legittimazione effettiva del piano si ebbe nel contenzioso che doveva portare al rinnovamento dell'estimo generale (1544-1547): nell';ambito fiscale si realizzò quindi, come in altre province soggette alla Serenissima, la convergenza tra le aspirazioni dei corpi territoriali del contado, volte a ottenere una maggiore equità nella soggezione ai tributi attraverso la loro redistribuzione, e le esigenze dello Stato, che si voleva garantire, attraverso il riconoscimento delle magistrature rurali, la possibilità di avere nuovi interlocutori, diversi dalla città, e di rendere più razionali i rapporti amministrativi e finanziari con la provincia.
Organizzazione territoriale del "piano" di Bergamo
Il piano comprendeva alcuni distretti che, in virtù di privilegi particolari, vantavano una buona autonomia rispetto al resto del territorio: nelle podesterie di Lovere, Romano e Martinengo era presente un rettore veneto che allentava l'autorità diretta della città; il feudo della Val Calepio, con Calepio capoluogo, era retto dalla famiglia dei conti Calepio; i feudi di Malpaga e Cavernago erano retti dai Martinengo; il feudo di Morengo aveva un podestà nominato dal vescovo di Bergamo (in seguito dalla famiglia Giovannelli); accanto a queste giurisdizioni vi erano comuni come Brembilla, San Giovanni Laxolo, Pedrengo, Ponteranica, Sorisole, Villa di Serio, Scanzo e Rosciate, che godevano di privilegi nell'amministrazione tributaria e che venivano assunti come distretti a sé stanti.
Senza alcun tipo di privilegio erano le quadre: la Valle Cavallina (detta anche quadra di Valle Cavallina) con capoluogo Endine, la Val Trescore (detta anche quadra di Val Trescore) con capoluogo Trescore, la quadra di Calcinate, tra i fiumi Serio e Oglio, con capoluogo Calcinate o Mornico, la quadra di Mezzo, tra i fiumi Brembo e Serio, che faceva riferimento alla città, la quadra d'Isola, tra i fiumi Adda e Brembo, con capoluogo Chignolo o Terno.
Governo delle comunità del "piano"
Come per le valli bergamasche, anche per il piano di Bergamo valeva il principio per cui ogni rappresentate delle singole circoscrizioni (quadre o squadre) concorreva a eleggere un sindaco generale. Le competenze di tale ufficiale non appaiono dissimili da quelle del tesoriere generale delle valli: fissava l'imponibile della quadra in base all'aliquota fiscale assegnata dall'estimo generale, riscuoteva e riversava alla camera fiscale di Bergamo ciò che aveva riscosso: salari per gli esattori, spese per l'armamento e il mantenimento dei soldati e ufficiali, visite dei capitani, spese a favore dei rettori di Bergamo.
Nei secoli XVII e XVIII Venezia emanò disposizioni sempre più capillari che coprivano ogni aspetto e settore della vita amministrativa. Inoltre, nel mutato equilibrio politico fra i corpi locali e la città si inserì inoltre l'apporto dei sindaci inquisitori di terraferma: tale magistratura veneta itinerante, nata con carattere essenzialmente giudiziario, dilatò nel corso del tempo la propria competenza fino a rivestire funzioni di carattere esecutivo e soprattutto legislativo, che rese gli inquisitori degli autentici ispettori plenipotenziari sul territorio. I sindaci inquisitori con i loro interventi apportarono correttivi agli abusi legati alla gestione finanziaria e al prelievo fiscale.
La prima serie di norme che si occupa del territorio di Bergamo in termini complessivi è quella emanata dal capitano di Bergamo Giovanni da Lezze nel 1596. Nei suoi "ordini", tuttavia, non emerge alcun dato sulla specificità delle funzioni dei sindaci o tesorieri generali di squadra. Nei "Capitoli attinenti al territorio di Bergamo" emanati nel 1620 dai sindaci inquisitori in terraferma Leonardo Moro e Marco Giustiniano, erano invece statuite le prime disposizioni vere e proprie destinate alle quadre del territorio, che venivano riconosciuti come enti capaci di autonomia deliberativa e soprattutto vi era evidenziata la funzione fondamentale che tali enti svolgevano nella ripartizione dei tributi.
La politica veneziana verso il territorio bergamasco
La politica di Venezia verso Bergamo, il suo territorio e le sue prerogative non fu sempre la stessa nel corso degli oltre tre secoli di dominazione. In un tale lasso di tempo, infatti, il territorio bergamasco fu progressivamente assimilato nello stato veneto. Tra 1646 e 1718 ben ventinove famiglie bergamasche furono cooptate al patriziato veneziano su un totale di centoventotto dell'intero territorio soggetto a Venezia, a testimonianza della volontà delle più influenti famiglie di Bergamo di assimilarsi alla classe dirigente lagunare. Le famiglie che ottennero l'iscrizione erano in genere parte del ceto dei commercianti e non appartenevano all'antica nobiltà. Altre famiglie cittadine, di più antica origine, preferirono, a partire dagli inizi del XVII secolo, chiedere l'iscrizione al "libro dei titolati" tenuto dai provveditori sopra feudi di Venezia.
Venezia intervenne con sempre maggiore forze nel corso del XVII e soprattutto del XVIII secolo nella vita amministrativa locale, attraverso i capitani di Bergamo, con interventi talvolta radicali, per sanare abusi o prolungate situazioni di crisi, come nei casi di Bagnatica, Bolgare, Boltiere, Villa d'Adda.
Un secondo ambito di azione politica del governo veneto toccò la complessa questione dei beni comunali: nelle zone montane molte comunità disponevano infatti di beni destinati all'uso collettivo, la cui gestione era affidata alle famiglie cosiddette "originarie", presenti cioè sul territorio da molte generazioni, a volte addirittura dalla fondazione del comune. Dopo alcuni interventi legislativi veneziani negli anni sessanta del XVIII secolo si aprirono numerose vertenze fra le famiglie "originarie" e le famiglie "forestiere", cioè residenti ma escluse dal godimento dei beni. Tali vertenze, dopo estenuanti percorsi giudiziari, si conclusero con sentenze definitive di magistrature centrali veneziane favorevoli alle famiglie "forestiere".
La politica veneziana verso il patrimonio ecclesiastico
La legislazione veneziana intervenne a più riprese con provvedimenti relativi alla gestione dei patrimoni immobiliari ecclesiastici e dei "luoghi pii", cioè delle confraternite religiose, chiese e istituzioni caritatevoli e assistenziali. Tra il 1767 e il 1769 i reggenti dei luoghi pii furono obbligati a produrre fedi giurate dei beni posseduti e dei capitali attivi degli enti. Il 4 febbraio 1769, inoltre, vennero costituite sul territorio bergamasco apposite camere dei depositi dei capitali degli ecclesiastici e luoghi pii, nelle quali confluirono i capitali di questi ultimi. I capitali rimanevano di proprietà degli enti, ma la loro effettiva disponibilità e gestione passava alle camere che agivano attraverso propri deputati.
Le camere furono stabilite a Clusone, Ardesio, Vertova, Nembro, Piazza Brembana, Serina, Zogno, Caprino Bergamasco, Berbenno Valle Imagna, San Paolo d'Argon, Stezzano, Calcinate, Sarnico, Martinengo, Romano di Lombardia, Endine e Ponte San Pietro. Fra il 1774 e il 1778 un analogo intervento di censimento di beni venne adottato per confraternite della misericordia e altre istituzioni assistenziali di natura laicale. L'intervento confermò la graduale ingerenza veneziana nella gestione delle istituzioni di natura locale, mirata, nel caso specifico, a un controllo sulle istituzioni religiose e di beneficenza.
Brescia
Brescia dai Visconti a Venezia
Dopo essere stati soggetti al dominio visconteo dalla seconda metà del XIV secolo, la città e il territorio di Brescia furono conquistati da Pandolfo Malatesta nel 1404, per ritornare nel 1416 sotto i Visconti, inclusi nel ducato di Milano con Bergamo e la Val Camonica. Nel 1426 Brescia si diede a Venezia. Il dominio veneto su Brescia e il suo territorio si protrasse fino al 1797, fatta eccezione per gli anni tra il 1509 e il 1516. Nel 1509, in seguito alla sconfitta subita dai veneziani ad Agnadello, il territorio bresciano fu conquistato da Luigi XII, re di Francia e duca di Milano, che mantenne il dominio su di esso fino al 1512.
Nel gennaio del 1512 vi fu un tentativo di Venezia di entrare nuovamente in possesso di Brescia, che si concluse nel mese di febbraio con la riconquista da parte dei francesi e il devastante saccheggio della città. Nell'ottobre del 1512 i francesi furono sconfitti dagli spagnoli e nel novembre dello stesso anno nella città si insediò il governatore spagnolo. Gli spagnoli e successivamente gli ispano- imperiali mantennero il dominio sulla città di Brescia e sul suo territorio fino al 26 maggio 1516, quando Brescia fu consegnata alla Francia, che il giorno dopo la cedette a Venezia.
Il distretto bresciano in epoca veneta
Tra il XV e la fine del XVIII secolo la provincia bresciana non subì cambiamenti significativi nel suo assetto confinario, che non era coincidente con quello odierno. Durante la dominazione veneta infatti il comune di Sirmione rientrava nell'area giurisdizionale di Verona, mentre facevano parte del bresciano zone che attualmente sono inserite in altre provincie lombarde: i comuni di Asola, Casalmoro e Casaloldo e la frazione di Casalpoglio, oggi mantovani, e i comuni di Rogno e Costa Volpino, che ora appartengono alla provincia di Bergamo.
La provincia era la più vasta e ricca del dominio della terraferma veneta e occupava una posizione di grande interesse strategico: essa confinava infatti a est con il trentino e il veronese, a sud con il ducato di Mantova e con il territorio di Cremona, compreso nello Stato di Milano, e con quello di Bergamo, anch'esso parte del dominio veneto, a ovest con il bergamasco e la repubblica delle tre leghe, a nord con il trentino e i possedimenti dei conti di Lodrone, feudatari degli Absburgo. La provincia bresciana si estendeva per una superficie di circa mezzo milione di ettari e in essa procedendo da nord a sud, potevano essere distinte tre zone geomorfologiche: quella montana, con rilievi dai settecento metri in su, che occupava circa il cinquantacinque per cento della superficie del distretto; l'area collinare corrispondente a circa il sedici per cento del distretto e quella pianeggiante, al di sotto dei centocinquanta metri di altitudine, che comprendeva infine il ventinove per cento del medesimo . La zona montana era costituita, allora come oggi, dalle tre valli, Val Camonica, Val Trompia e Val Sabbia, mentre all'interno della parte collinare e pianeggiante si trovavano le zone del Pedemonte, sita tra Nave, Gavardo e Rezzato; della Franciacorta, tra Gussago e Rovato; dell'Asolano e della riviera di Salò.
Le giurisdizioni bresciane in epoca veneta
Alla suddivisione del territorio in diverse zone geomorfologiche corrispondevano differenze negli assetti istituzionali. Le tre valli e la riviera del Garda, pur facendo parte della provincia bresciana, godettero per tutto il periodo veneto di forme di particolare autonomia, avendo dato vita fin dal XIII secolo a organismi sovracomunali denominati Val Sabbia, Valle Camonica, Valle Trompia e riviera di Salò.
L'organizzazione amministrativa e istituzionale della provincia bresciana nel periodo della dominazione veneziana fu molto variegata: intorno al capoluogo e alle sue immediate vicinanze denominati "borghi e chiusure", si stendeva la pianura bresciana, suddivisa dal punto di vista fiscale in quadre, e dal punto di vista amministrativo-giurisdizionale in vicariati e podesterie, controllati sostanzialmente da ufficiali eletti da Brescia. Mentre le podesterie furono sempre sette fin dall'inizio della dominazione veneta, la sede e il numero dei vicariati subì variazioni nel XV secolo, stabilizzandosi nel corso del XVI secolo in quattordici vicariati (sette maggiori e sette minori).
Le comunità che ricevevano ufficiali inviati da Brescia erano quindi ventuno tra podesterie e vicariati. Oltre alla Val Camonica, sede di un podestà bresciano comunemente chiamato capitano, vi erano tre podesterie maggiori: la riviera del Garda, Orzinuovi e Asola. Alla Val Camonica erano stati riconosciuti nel 1428 gli statuti civili e criminali e l'autonomia amministrativa e giurisidizionale da Brescia, ma nel 1440 fu stabilito che il capitano dovesse essere un nobile bresciano, nominato con l'approvazione del consiglio della città. Nel caso della riviera, le competenze giurisdizionali erano divise tra provveditore veneto e podestà bresciano. A Orzinuovi, dopo il 1440 il podestà giudicava in civile e criminale tranne nei casi comportanti pena di sangue che rimasero di competenza dei rettori veneti residenti a Brescia. Ad Asola competenze giurisdizionali furono riconosciute anche al provveditore veneto e nel caso di ricorso in appello le cause passavano a Venezia.
Autonomia delle valli e della riviera di Salò
L'imperatore Federico I nel 1167 concesse alla Val Camonica, considerata un unico corpo, ampi privilegi confermati successivamente; nel 1291 la valle nel suo insieme accettava di sottoporsi al potere di un podestà nominato da Brescia che aveva il compito di "fare ufficiali e consigli" e di amministrare la giustizia civile e criminale. Per il XIV secolo vi sono testimonianze dell'esistenza degli statuti della valle e di ufficiali della valle. Tuttavia solo in periodo veneto l'organizzazione sovracomunale di valle raggiunse un assetto definitivo. Con privilegio concesso in data 1 luglio 1428 dal doge di Venezia Francesco Foscari alla valle fu consentito di utilizzare i propri statuti civili e criminali, un provvedimento revocato nel 1440, quando fu stabilito che il capitano, giudice solamente in civile e non in appello, doveva essere un nobile bresciano.
Ai fini fiscali la valle non era suddivisa in quadre, come il resto della provincia bresciana, ma nei pievatici o pievanatici di Rogno, Cividate, Cemmo e Edolo; nel XVIII secolo si ritrova anche il pievatico di Dalegno e Borno. La quota complessiva dei contributi, costituita dalle "gravezze" (imposizioni dirette) assegnate alla valle in corpo e dalle spese sostenute dalla valle per il mantenimento del proprio apparato amministrativo erano suddivise in base all'estimo tra le singole comunità.
Gli organi istituzionali di maggior rilevanza erano il consiglio generale formato dai rappresentanti eletti dalle comunità e da quelli della famiglia Federici, il consiglio dei ragionati e il consiglio segreto, formati in prevalenza dai rappresentanti di ciascun pievatico. Dal consiglio generale erano eletti gli ufficiali della valle tra i quali il più importante era il sindaco con il compito di convocare gli organi assembleari e dirigerne le discussioni e di comparire in giudizio in qualità di procuratore della valle.
Non è nota invece la formazione degli enti sovracomunali della Val Sabbia e della Val Trompia, citati nell'estimo visconteo del 1385. La loro struttura istituzionale risulta essere simile a quella della Val Camonica: anche queste due valli erano amministrate da un consiglio generale cui partecipavano i rappresentanti eletti dalle comunità a esse appartenenti, mentre tra gli ufficiali di maggior rilievo vi erano i sindaci e i ragionati.
La giurisidizione civile in val Trompia era amministrata da un vicario e da giudici eletti dal consiglio generale di valle, le cause civili in terza istanza erano giudicate direttamente dal consiglio di valle. Nel caso della Val Sabbia le cause civili erano giudicate in prima istanza dai consoli generali, in appello dai giusdicenti generali e dai giudici definitori eletti dal consiglio di valle. La giurisidizione criminale era appannaggio dei tribunali bresciani.
Infine la riviera di Salò (denominata anche magnifica patria della riviera di Salò) era un ente sovracomunale che riuniva i comuni rivieraschi del Garda bresciano. Privilegi risalenti alla prima metà del XIV secolo facevano riferimento alla "riperia" come a istituzione definita, mentre si ha notizia che nel 1334 fu decisa la riforma degli statuti della riviera. Gli statuti noti più antichi risalgono tuttavia al 1351. Sotto la dominazione viscontea venivano inviati un capitano e un podestà con il compito di amministrare la giustizia.
In età veneta la riviera di Salò mantenne condizioni di privilegio rispetto al resto del territorio bresciano. I trentaquattro comuni che appartenevano alla riviera erano suddivisi in sei quadre, ognuna delle quali eleggeva i propri rappresentanti nel consiglio generale. Dal consiglio generale erano poi eletti i deputati, cui spettava il disbrigo degli affari ordinari e l'esecuzione delle delibere del consiglio, e tutti gli altri ufficiali. Dal punto di vista giurisdizionale, dopo lunghe controversie con la città, fu stabilito che il provveditore inviato da Venezia amministrasse la giustizia criminale su Salò e i comuni della riviera, mentre il podestà inviato da Brescia fosse competente per la giustizia civile.
La distrettuazione ai fini fiscali
La distrettuazione amministrativo-giuridizionale della provincia bresciana si sovrapponeva senza coincidere alla rete delle circoscrizioni fiscali dette "quadre". Ciascuna quadra era costituita da comuni, uno dei quali detto capoquadra: alcune quadre comprendevano un numero elevato di comuni, come quelle di Gavardo, Iseo, Rovato, altre, ad esempio Chiari, Gambara e Pontevico, solo tre o quattro comuni. L'origine di tale suddivisione è precedente al periodo della dominazione veneta, risalendo probabilmente alla seconda metà del XIV secolo, e caratterizzava sia la parte del distretto di competenza del territorio, sia le valli, a eccezione della Val Camonica. La Val Sabbia e la Val Trompia erano infatti quadre, la riviera di Salò era suddivisa in sei quadre, mentre la Val Camonica era composta da pievanati o pievatici.
Il numero delle quadre continuò a variare, anche se di poco, fino alla fine del dominio veneto. Tra le quadre veniva divisa la cifra totale delle taglie, dei sussidi o di qualunque altro contributo e la quota ottenuta era successivamente ripartita tra gli abitanti in base agli estimi realizzati in ciascuna quadra. L'effettuazione degli estimi era con ogni probabilità decisa dal consiglio di quadra formato dai rappresentanti nominati dai comuni appartenenti alla quadra stessa. L'esistenza del consiglio di quadra è stata accertata sulla base di testimonianze documentarie solo in alcuni casi, in particolare Rovato, Rezzato e Gavardo.
Fra le terre di pianura, risultavano fiscalmente separate dal territorio Asola e Orzivecchi e, verso la fine del XV secolo, le quadre del Pedemonte (Nave, Gavardo e Rezzato). Tra il 1454 e il 1484 agli asolani fu riconosciuto il privilegio di cittadinanza e tutti i vantaggi fiscali che esso comportava; dopo il 1484, persa la cittadinanza, erano totalmente separati nel pagamento delle imposte e solo occasionalmente erano sottoposti alla volontà e alle decisioni dei sindaci del territorio. Orzivecchi fu invece perlomeno nel XV secolo annoverata tra le quadre cittadine, quindi separata dal territorio, ed era infeudata ai Martinengo. Le quadre di Nave, Gavardo e Rezzato pagavano direttamente alla camera fiscale di Brescia una "limitazione" cioè una cifra annua definita. Forme di privilegio e di separazione fiscale erano infine riconosciute anche a Lonato.
Podesterie minori e vicariati della provincia bresciana
Le podesterie minori erano Lonato, Chiari e Palazzolo: il giusdicente lonatese aveva giurisdizione per qualunque somma nel civile, mentre nel criminale demandava a Brescia solo le cause comportanti pena di sangue; i podestà di Chiari e Palazzolo giudicavano nel civile per qualsiasi somma, mentre le cause criminali erano giudicate dai tribunali di Brescia, competenti anche in appello nelle cause civili per tutte e tre le podesterie.
I vicariati del distretto erano divisi anch'essi in maggiori e minori: Iseo, Montichiari, Rovato, Gottolengo, Calvisano, Quinzano e Pontevico erano vicariati maggiori, Gavardo, Manerbio, Ghedi, Gambara, Pontoglio, Castrezzato e Pompiano vicariati minori. I vicariati maggiori avevano competenza su un numero maggiore di terre e i magistrati erano retribuiti per intero dal comune sede del vicario. I vicari maggiori e minori giudicavano le cause civili di lieve entità, non superiori alle cinque lire planette, mentre le cause civili di maggiore entità e quelle criminali erano di competenza dei tribunali bresciani.
Altre comunità poste nelle immediate vicinanze di Brescia, in particolare Travagliato, Gussago, Nave, Mairano, Rezzato e Bagnolo, non erano sottoposte alla giurisdizione di alcun vicario. In esse i consoli eletti dalla comunità amministravano la giustizia solo per cause di lievissima entità, e si rivolgevano quasi sempre direttamente ai tribunali bresciani. Alcune comunità e alcuni distretti del territorio bresciano erano sede di ufficiali inviati da Venezia o godevano di particolari forme di autonomia amministrativa e giurisdizionale. Tra i borghi della pianura Asola, Orzinuovi, Lonato, Salò e Anfo erano sede di provveditori inviati da Venezia: si trattava di luoghi sede di strutture fortificate dove Venezia mandava un proprio ufficiale per occuparsi del governo della sola fortezza e dei soldati in essa presenti. Frequenti erano tuttavia i conflitti giurisdizionali con il podestà bresciano
Particolarismi giurisdizionali
I feudi presenti nell'area bresciana erano concentrati, a eccezione di Lumezzane, nella zona lungo il fiume Oglio, al confine con il territorio cremonese e quindi con lo Stato di Milano. Le infeudazioni concesse da Venezia si concentrarono tutte nel periodo compreso tra gli anni venti e quaranta del XV secolo e in molti casi confermarono i privilegi di cui già godevano sulle stesse zone famiglie di antica nobiltà feudale. Queste famiglie esercitavano la loro giurisdizione su alcune comunità rurali costituite spesso da un numero esiguo di abitanti e non detenevano normalmente la facoltà di giudicare le cause criminali per le quali erano competenti i giudici residenti a Brescia.
Le terre feudali erano amministrate da un vicario nominato dal feudatario e che doveva essere in genere un cittadino bresciano. Le famiglie che avevano terre infeudate erano i Gambara, i Martinengo e gli Avogadro. I Gambara eleggevano vicari privati a Verola Alghise, Milzano e Pralboino; i Martinengo a Gabbiano, Pavone e Urago d'Oglio; gli Avogadro a Lumezzane.
Politica di Venezia verso la provincia bresciana
La repubblica di Venezia, con privilegio del 9 aprile 1440, riconobbe la piena giurisdizione della città di Brescia sulla sua provincia, stabilendo tra l'altro che nessuna comunità, quadra o "universitas" del territorio potesse elaborare o mantenere in vigore statuti e ordinamenti non approvati dal consiglio della città con il consenso del podestà bresciano. La concessione del privilegio costituì un importante riconoscimento alla fedeltà della città che nel 1438 aveva sostenuto un duro assedio contro le truppe milanesi dei Visconti, ma indicava anche un cambiamento nell'atteggiamento politico della dominante: mentre nei primi anni del suo dominio Venezia aveva legittimato con concessioni situazioni di privilegio e autonomia in varie zone della provincia bresciana, dopo il 1440 considerazioni politiche e necessità di governo indussero la repubblica ad appoggiarsi ai ceti dirigenti cittadini e a riconoscere a essi il diritto di amministrare le province suddite.
D'altra parte, è in questo stesso contesto che si inserì la formazione, in parte spontanea e in parte favorita da Venezia, di un ente rappresentativo dei comuni del territorio bresciano. In occasione della revisione dell'estimo del 1430, furono nominati nelle commissioni d'estimo rappresentanti dei districtuales in numero uguale ai rappresentanti dei cives. Si può supporre che nei primi anni della dominazione veneta fosse giunto a compimento il processo di organizzazione dei distrettuali che doveva aver avuto inizio sotto le dominazioni precedenti. La documentazione disponibile non permette di precisare quali fossero le terre allora di competenza della magistratura del territorio, è possibile tuttavia affermare che esso si contrappose fin dall'inizio alla città nell'amministrazione fiscale ed economica su quella parte della provincia che non godeva di forme di separazione da esso.
Autogoverno del territorio di Brescia
Nella seconda metà del XV secolo il territorio di Brescia raggiunse la sua stabilità istituzionale, essendo costituito dalle terre sottoposte ai vicari cittadini e dalle podesterie di pianura, Chiari, Orzinuovi e Palazzolo, con l'eccezione di Asola e Lonato. Tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI il corpo territoriale conobbe un progressivo rafforzamento e ampliamento delle proprie competenze. Nel 1516, quando Venezia tornò definitivamente in possesso della provincia bresciana, il territorio era amministrato da alcuni organismi istituzionali già formatisi nel secolo precedente e da un certo numero di ufficiali la cui nomina si era resa necessaria per sopperire all'ampliamento delle funzioni.
Il consiglio generale del territorio era formato dai rappresentanti eletti dalle quadre e dai comuni non inclusi in quadra appartenenti al territorio; comunità e quadre inviavano al consiglio un numero variabile di deputati, sembra tuttavia che indipendentemente dal numero di consiglieri inviati, ciascuna quadra avesse diritto a dare un voto. Al consiglio generale spettava l'elezione degli ufficiali del territorio. Il vero governo della magistratura era nelle mani del consiglio speciale eletto da un numero ristretto di consiglieri, rappresentanti perlopiù delle comunità maggiori del contado come Rovato, Chiari e Orzinuovi, e costituito da una quindicina di membri.
Il consiglio speciale si riuniva varie volte all'anno e approvava l'imposizione delle taglie, determinava la suddivisione di esse tra le comunità e le modalità della loro riscossione, eleggeva i ragionati, i nunzi e i deputati che dovevano trattare con la città o con le comunità e i corpi privilegiati accordi e composizioni. Le cariche di maggior rilevanza erano quelle dei due sindaci e del massaro, accanto a essi vi erano un cancelliere, un servitore, gli esattori e gli scrivani alle biade. I compiti dei sindaci erano di grandissima importanza: essi convocavano e presiedevano i consigli generali; a essi si rivolgeva il rettore veneto della città per chiedere contributi e sussidi a nome del governo centrale o per altre comunicazioni; a essi infine spettava il compito di difendere le cause e i diritti del territorio a Brescia e Venezia; dal 1546 fu stabilito che i sindaci dovessero far redigere al cancelliere l'inventario di tutte le scritture, dei registri e delle "ragioni" del territorio, che dovevano essere custodire dai ministri. Altra carica di grande rilevanza era quella di massaro generale che, coadiuvato dai ragionati, aveva il compito di riscuotere dalle quadre i vari contributi fiscali e di tenere il conto delle entrate e delle uscite.
Crema
Crema da Milano a Venezia
Quando nel 1449 i cremaschi si diedero a Venezia, chiesero e ottennero giurisdizione su tutti quei luoghi di cui essi erano in possesso nel 1402, quando si era affermata la signoria dei Benzoni. Il patrimonio territoriale soggetto alla città, che aveva fatto parte dello stato visconteo, era stato a sua volta ereditato dal periodo comunale, con parziale rimodellazione. L'assetto territoriale ebbe una definitiva ratifica con la pace di Lodi nel 1454 e con i successivi patti del 4 agosto 1456 e rimase invariata per tutto il periodo della dominazione veneta.
Crema costituiva una enclave separata quasi totalmente dal resto delle terre venete. Il territorio di Crema era infatti circondato dallo Stato di Milano e l'accesso era consentito unicamente tramite la "strada cremasca", in base a una convenzione stabilita tra la repubblica di Venezia e il duca di Milano. La strada era chiamata "lo steccato" e fu fonte inesauribile di contrasti con il governo di Milano.
Il territorio di Crema in epoca veneta
Il territorio cremasco risulta amministrativamente diviso a partire dalla seconda metà del XIV secolo in quattro curie dipendenti ciascuna da una porta della città: rispettivamente a nord porta Pianengo; a sud porta Rivolta; a est porta Serio; a ovest porta Ombriano. Tale suddivisione si estendeva anche all'interno della città, suddivisa nei communia portarum, che a loro volta comprendevano un certo numero di vicinie.
Tale articolazione rimase in vigore durante il periodo veneto ed è ripresa negli statuti del 1536. Rispetto alle metà del XIV secolo il territorio cremasco rimase dunque sostanzialmente invariato, sia pure con alcune significative eccezioni: la signoria dei Benzoni aveva infatti comportato l'aggregazione del territorio di Pandino al territorio cremasco; con i patti del 1454 e del 1456 fu stabilito che Casaletto Ceredano fosse definitivamente concesso a Venezia e furono stabiliti i confini tra le giurisdizioni di Crema e di Cremona.
Nell'estimo veneto del 1685 il territorio cremasco figura costituito dalle ville, suddivise secondo le quattro porte (Porta Pianengo sostituita da Porta Nuova) di Azzano, Bagnolo, Bolzone, Bottaiano, Camisano, Campagnola, Campisico, Capergnanica, Capralba, Cascine Capri, Casale, Casaletto Ceredano, Casaletto Vaprio, Castelnuovo, Chieve, Crema, Cremosano, Farinate, Gabbiano, Cassine Gandine, Izzano, Madignano, Monte, Montodine, Moscazzano, Offanengo Maggiore, Offanengo Minore, Ombriano, Palazzo, Passarera, Pianengo, Pieranica, Porta Nuova, Porta Ombriano, Portico, Quintano, Ricengo, Ripalta Arpina, Ripalta Guerrina, Ripalta Nuova, Ripalta Vecchia, Rovereto, Rubbiano e Cascina San Carlo, Salvirola, San Bernardino, Santa Maria, San Michele, Scannabue, Sergnano, Torlino, Trescore, Trezzolasco, Vaiano, Vairano, Zappello.
In età veneta i comuni del contado erano organizzati in un organismo di rappresentanza sovracomunale, detto territorio, abilitato a trattate in materia fiscale e amministrativa con la città e con il governo centrale. Il territorio era amministrato da un consiglio formato dai rappresentanti di ciascun comune del territorio cremasco, che si doveva riunire due volte all'anno alla presenza del vicario pretorio e doveva eleggere quattro sindaci generali e un ragionato che doveva essere confermato dal consiglio. Nella seconda metà del XVIII secolo il consiglio era costituito da ventotto consiglieri e, oltre ai sindaci e al ragionato, nominava un tesoriere, un cancelliere, un fante, due servitori e un proprio nunzio presso il governo veneto.