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Ottonis III preceptum confirmationis
1001 novembre 21, Ravenna.
Ottone III imperatore conferma a Geppa, badessa del monastero <di S. Felice> e S. Salvatore, detto della Regina, i beni che gli erano stati donati da Liutefredo, vescovo di Tortona, in seguito ad un suo retto giudizio nella controversia che opponeva il predetto Liutefredo <ai coniugi> Riccardo e Vualdrada per il possesso degli stessi beni.
Falso coevo in forma di originale, ASMi, MD, cart. 11, n. 4 [A].
Nel verso, di mano del sec. XI: Preceptum domni Ottonis imperatoris tercii | de omnibus bonis Sancti Felicis coperta da mani posteriori; annotazioni moderne, fra cui: sigla A iterata, n. 8.
MURATORI Antiquitates Italicae, IV, col. 197; MURATORI Antichità Estensi, I, p. 110 (riprodotto parzialmente ed inserito nel placito 1014 maggio 7); CAPPELLETTI, Chiese d'Italia, XII, p. 416; MGH, D O III, n. 414, p. 848; GABOTTO, Per la storia di Tortona, II, pp. 207-208; MANARESI, I placiti, II, parte II, inserito in n. 283, p. 530.
La pergamena, usurata lungo le antiche piegature ed in prossimità dei margini, presenta numerose lacerazioni. Macchie di umidità diffuse. Rigatura a secco.
L'anno di impero di Ottone III è il sesto.
Stile della natività, indizione bedana.
Il diploma è definito di dubbio valore dagli MGH, in quanto scritto da un ingrossatore estraneo alla cancelleria imperiale e in quanto modellato, sia da un punto di vista contenutistico che formale e calligrafico, sul doc. n. 4. Dal momento che anche il diploma di cui al doc. n. 6, datato Pavia 1014, mediante il quale Enrico II imperatore conferma a S. Felice i beni qui menzionati, è stato scritto dalla medesima, sconosciuta mano, il presente praeceptum, esibito per la prima volta in un placito del 1014 maggio 7 (doc. n. 5), potrebbe essere stato redatto nel monastero proprio nel 1014, allo scopo di ottenere con esso la vittoria nel placito e la conferma di Enrico II, vergata anch'essa dallo stesso falsario sopra un blanquet, nel quale il funzionario della cancelleria si era limitato a scrivere la riga del signum, lasciando che il testo venisse riempito a cura del monastero. (MANARESI, I Placiti, II, parte II, p. 530). Nonostante tali congetture, il dubbio che si potesse trattare di un originale permaneva, perché si poteva ancora ipotizzare che una mano attiva nel 1014 avesse già lavorato per la cancelleria imperiale nel 1001. Il Manaresi adduce come testimonianza decisiva della falsità del diploma l'esistenza in ASMi di un secondo supposto originale, datato 1001 novembre 20, che avrebbe costituito la prova, il primo tentativo sul quale poi venne costruito il falso. In realtà tale diploma, con il quale Ottone III elargisce alcuni beni alla pieve di S. Lorenzo di Voghera, è un originale la cui autenticità è attestata dagli MGH, (DO III, n. 413).
Anche se l'esistenza della testimonianza definitiva addotta dal Manaresi è da escludere, vi sono tuttavia prove, legate all'aspetto contenutistico della donazione ottoniana, che possono avallare l'ipotesi del falso.
Innanzitutto, come sarebbero pervenuti ad Ottone III i beni menzionati nella presente concessione? Tutti gli storici che si sono occupati della vicenda, dando per scontata la genuinità del praeceptum, concordano nel sostenere, sulla scia di Muratori e di Giulini, che Liutefredo, avendo vinto la causa contro Riccardo e Vualdrada grazie ad una collusione con Ottone III, premiò il giudizio dell'imperatore donandogli la metà di due parti di numerosi beni, prima di vendere (come attestato dal doc. n. 1) l'altra metà ad Ottone duca. La fonte di tali informazioni viene unanimemente ed esclusivamente identificata dagli storici con il nostro diploma. Si tratta dunque di dati ricavati da un documento già sospettato di falsità per motivi formali, e non avallati da alcuna carta sicuramente genuina, dal momento che nel doc. del 998 leggiamo solamente che i beni erano stati venduti da Liutefredo ad Ottone duca, dopo che l'imperatore ne aveva confermato il possesso al vescovo. Nessun accenno ad una elargizione della seconda metà di due porzioni dei suddetti beni in favore di Ottone III. Non è possibile escludere categoricamente l'eventualità che il documento attestante una siffatta donazione, attualmente deperdito, sia realmente esistito; tuttavia diversi fattori mi inducono a negare tale possibilità. In primo luogo, sul verso del doc. del gennaio 998, esiste un regesto, di mano dell'XI secolo, che altera i dati fondamentali del negozio riportato sul recto, travisando sia la natura dell'atto giuridico, trasformato da vendita in donazione, sia il destinatario dei beni: non più Ottone duca bensì Ottone imperatore. Così la vendita ad Ottone duca è mutata, del tutto arbitrariamente, in donatio quam fecit Liutfredus Terdonensis episcopus Ottoni imperatori in manu Ottonis ducis et advocati imperialis. L'ipotesi di una donazione nei confronti dell'imperatore, che non trova giustificazione nella documentazione a noi pervenuta, è accreditata per la prima volta in questo luogo e sembra dunque nascere da un'errata interpretazione del contenuto del doc. n. 1. E' inoltre degno di nota il fatto che il regesto si conclude con le parole que postea donatio Otto imperator monasterio Sancti Felicis tum concessit. Da ciò si desume che l'annotazione non venne compilata per caso e in buona fede, bensì con il preciso scopo di fornire un presupposto alla concessione di Ottone III. Lo stretto legame che intercorre fra il regesto mistificatore e la presente donazione imperiale è accentuato dalla presenza sul verso del nostro diploma, e solo di esso fra tutti i documenti dell'archivio di S. Felice, della medesima mano che aveva vergato il regesto. Una mano dunque interessata esclusivamente a stabilire un legame plausibile fra le due carte, anche a costo di distorcerne o inventarne i contenuti. Anche la vicenda della collusione in giudizio fra Ottone e Liutefredo ai danni di Riccardo e Vualdrada sembra derivare da un'interpretazione arbitraria del testo del doc. n. 1: dove questo recita: [[...]] ipsa intencio difinita fuit per pugna inter meus avocatus et predictus Richardus, presencia predicto domni Ottoni imperatori, il diploma aggiunge [[...]] omnia dedit et concessit nobis Liutefredus Terdonensis episcopus [[...]] nec non et propter rectum iudicium quod fecimus inter eum et Ricardum et Vualdradam. Un altro dato che avvalora la mia tesi è la stessa presenza nel tabularium di S. Felice del doc. n. 1, attestante la vendita dei beni di Liutefredo: la carta, in caso di avvenuta donazione di una seconda quota da parte del vescovo all'imperatore, non avrebbe avuto ragione di essere custodita nell'archivio del cenobio pavese, in quanto elencante una parte di beni non attinente alle vicende successive del monastero. Avrebbe invece dovuto essere conservato l'atto relativo alla donazione. Infine, un'ulteriore prova dell'inconsistenza della donazione è deducibile ex silentio dal documento n. 2. Qui, infatti, Lanfranco avvocato del Regno rivendica i diritti di Ottone III sul monastero di S. Felice contro le pretese della contessa Rolinda, e tuttavia non cita mai Liutefredo né la sua ipotetica elargizione. E' pur vero che Rolinda dichiara di rinunciare alle sue richieste in quanto nullum scriptum, nullam firmitatem nullamque racione abemus, il che lascerebbe supporre che la controparte possedesse invece almeno uno di questi requisiti, tuttavia non compare nel placito la seppur minima menzione di documenti confermanti le dichiarazioni imperiali.
La somma di tali argomentazioni mi induce a ritenere che la donazione di Liutefredo non ebbe mai luogo. Da ciò consegue che il diploma qui esaminato è falso, dal momento che utilizza come presupposto proprio tale donazione.
Noi effettivamente non sappiamo quando e perché i beni elencati nel doc. n. 1 pervennero al monastero di S. Felice: l'unico dato sicuro è costituito dal fatto che nel 1014 tali beni furono oggetto di una controversia che oppose il cenobio sia all'imperatore, rappresentato dall'avvocato Lanfranco, sia ai conti Berengario e Ugo, fautori di Arduino. In tale occasione venne creato il falso che servì a comprovare i diritti del monastero sui beni elencati e venne poi utilizzato come modello per il diploma di conferma elargito da Enrico II. Possiamo dunque supporre che i possedimenti di Liutefredo, venduti a Ottone duca insieme a una quota dello stesso S. Felice, con il trascorrere del tempo passarono automaticamente sotto il dominio del monastero, senza che alcuna carta sancisse tale transizione. Quando questa proprietà venne messa in dubbio, il cenobio si preoccupò di creare i presupposti per garantirsela giuridicamente e fabbricò il falso.
Alcune osservazioni sono ancora da aggiungere a proposito dei beni elencati nel diploma. Essi non coincidono completamente con quelli venduti da Liutefredo ad Ottone duca: compare qui un Castronovo, menzionato dopo Quoronate, che potrebbe però essere identificato con il castro uno, citato nel doc. n. 1, sito nella corte di Cornate. Al contrario non vengono più menzionati: Bolgare e Quintano, siti nella bergamasca orientale, Concorezzo, nel milanese, Casale Vigari nel vogherese, nonché Sale, Bassignana e Berterassi nell'alessandrino. Si tratta probabilmente di possedimenti che nel 1014 non rientravano più nel patrimonio di S. Felice.
Si segnalano in nota le varianti degli MGH, segnalate con la sigla S, ma non quelle del MANARESI in quanto questi pubblica l'inserto B contenuto nel doc. n. 5 anziché l'originale.
(C) In nomine sanctae et individue (a) Trinitatis. Otto tercius (1) servus ap(ostu)lorum. Omnium fidelium nostrorum tam presentium (b) quam (c) et futurorum (d) noverit universitas quod nos,| ob Dei omnipotentis amorem et anime nostre remedium atque (e) ut a peccatorum nexibus absoluti veniam mereamur aeternam (f) monasterio domini et sancti Salvatoris qui dicitur Regine, in quo habetur (g) preciosum lignum sancte crucis quod te(m)poribus | gloriosi atque victoriosi imperatoris secundi Ottonis (2) a bone memorie Benedicto (3) ep(iscop)o aeterne urbis Hierosolimis (h) inventum est, dedimus et confirmamus medietatem de duabus partibus ex castellis vel curtis seu villis | cum aldiis utriusque sexus (i) atque cum omnibus pertinenciis, nomina quorum vel quarum hec sunt: Quoronate, Castronovo, Rocca item Coronate, et castro insula que nominatur (j) Maiore infra lacum Maiore, Lexa, Valle, | Summovico, Mezanuga, Villa Bulgari, Colonaco (k), Sebiate, Passeriano, Verderio, Vedusclo (l), Salliinputeo, Tricio, Concisa, Ambreciaco, Ambeciaco, Bugenaco, Bosonaco, Curunasco, | Terrentissi, Viqueria, Pinioli, Morenise, Fanigasce, Bibliano, Sparoaria, Strisxia (m), Bavena, Cariciano, Leocarni (n), verum etiam (o) de duabus porcionis (p) medietatem, scilicet de casis et tribus capellis (q)| que sunt consecrate una in honore dei et domini Salvatoris, allia in honore sancte Dei genitricis (r) Marie(s), tercia in honore sancti Romani (t) cum curtibus vel ortibus seu pudteis ibi habentibus, que videntur | esse in civitate Papia (u) tam ad locum ubi dicitur monasterio Bernardi quamque (v) in reliquis (w) locis infra predictam civitatem; item alia curte que dicitur Stazona seu Cistelli (x) et Paniano cum servis et aldiis | utriusque sexu(y), que omnia dedit et concessit nobis Liutefredus Terdonensis ep(iscopu)s (4) ob hoc quod om[nipotens][Deus] sibi concessit victoriam nec non et propter rectum iud[i]cium [quod][fe]cimus inter eum et [Richardum][atque][Vualdra]da(m) (z)| ex iam (aa) prenominatis rebus. Unde hec (bb) omnia in omnibus ad utilitatem donamus, ad victum scilicet et usum monacharum Deo militantum (cc) in loco ubi ipsius crucis Domini (dd) patroci|nia haberi (ee) videntur, in quo abbaptissa domna Geppa vel sibi successure preesse dinoscuntur. Si quis igitur hoc preceptum (ff) violare aut cor|rumpere sine legali (gg) iudicio temptaverit, componat centum libras auri cocti, medietatem camere nostre (hh) et medietatem predicte | abbaptisse (ii) domne Geppe suisque successuris, ipseque violator et huius (jj) precepti contemptor (kk) anathemate perhemni sit constrictus et cum omni | maledictione (ll) que in novo aut in veteri testamento habetur p[er]henniter interemptus. Et ut traditio firma permaneat (mm)| hac (nn) paginam manu propria roborantes (oo) insigniri precepimus.
Signum domni Ottonis((M)) cesaris invicti.
Heribertus (pp) cancellarius vice Vuiligisi archiep(iscop)i recognovit (qq).
Data .XI. (rr) k(alendas) decembris (ss), anno dominice incarnacionis .M. primo, indictione .XV., anno tercii Ottonis regn(antis)(tt) .XVII., imperii .V. Feliciter. Actum (uu) Ravenne.
(a) A indue.
(b) B p(re)senciu(m).
(c) A qam.
(d) B fucturoru(m), con -t- corr. da altra lettera.
(e) B adq(ue) qui e nei casi seguenti.
(f) B et(er)na(m) qui e nei casi seguenti.
(g) B abet(ur) qui e nei casi seguenti.
(h) B Gerosolimis.
(i) cum --- sexus su rasura.
(j) -o- nel sopralineo.
(k) B Quolonaco.
(l) B Vedussclo.
(m) B Strissxia.
(n) B Leucarni.
(o) veru(m) su rasura, come pare.
(p) Così AB.
(q) scilicet --- capellis su rasura.
(r) B genetricis.
(s) B Marie, omettendo la e qui ed in tutti i casi seguenti.
(t) -o- corr. da e.
(u) -a corr. da e.
(v) La prima u corr. da a.
(w) -s corr. da i.
(x) S Castelli.
(y) utriusq(ue) sexu su rasura.
(z) eum --- Vualdrada(m) su rasura.
(aa) B eciam al posto di ex iam.
(bb) B ec qui e nei casi seguenti.
(cc) Così A.
(dd) -o- corr. da n.
(ee) B -nia aberi su rasura.
(ff) A p(re)receptum.
(gg) B -i corr. su e.
(hh) Segno abbr. superfluo su -re.
(ii) A abbaptis.
(jj) In B la prima u nel sopralineo.
(kk) B contento[r].
(ll) B maledicione.
(mm) B permanead.
(nn) Così.
(oo) B roboramtes.
(pp) B Eribertus.
(qq) -n- aggiunta in corsivo fra g ed o.
(rr) B undecimo, così come tutti i numeri seguenti, scritti in lettere anziché in cifre romane.
(ss) B dece(m)ber.
(tt) B regnante con -e nel sopralineo.
(uu) Segue rasura di una lettera.
(1) Ottone III di Sassonia (983-1002).
(2) Ottone II di Sassonia (973-983).
(3) Benedetto VII (974-83).
(4) Cf. doc. n. 1.
Edizione a cura di
Marina Milani
Codifica a cura di
Andrea Bedina