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Innocentii papae <III> litterae gratiosae
1199 settembre 13, Laterano.
Innocenzo <III> papa, su istanza dell'abate di Morimondo e riprendendo le analoghe deliberazioni dei predecessori Urbano III, Gregorio VIII e Clemente III, stabilisce che nessuno possa chiedere all'abate anzidetto, contro la sua volontà, la prestazione del giuramento nelle cause riguardanti il monastero medesimo, qualora sia in grado di produrre testimonianze e documenti sufficienti a provare le proprie ragioni.
Copia semplice di poco posteriore, ASMi, AD, pergg., cart. 695. [B].
Nel verso, compare (oltre all'annotazione riportata in apparato al n. 326) un grafismo non perspicuo, sebbene con qualche probabilità riconducibile alla lettera e (cf. infra).
Regesto: POTTHAST, -.
Edizione: Die Register Innocenz' III., -.
Precede, sulla stessa pergamena, il doc. n. 326, e segue il frammento del privilegio di Gregorio VIII edito al n. 284.
Circa l'occasione in cui venne redatta la copia si vedano le osservazioni svolte nella nota introduttiva al n. 284. Non va esclusa una corrispondenza tra questo doc. e quello, retrosegnato con la lettera e, menzionato dal consilium edito al n. 343: si tratterebbe dunque delle lettere innocenziane impetrate dal monastero al fine di ottenerne conferma della sentenza di Rodolfo, cardinale di S. Giorgio al Velabro (deperdita, cf. n. 280); tale sanzione, tuttavia, oltreché richiesta e ottenuta a distanza di oltre un decennio dal verdetto cardinalizio, pare soltanto indiretta, non menzionandolo ma affrontando la medesima questione e risolvendola in perfetta analogia. Ciò porta in ogni caso ad inquadrare le litterae nella controversia tra il monastero e la pieve di Casorate, appena riapertasi con la commissio causae di Innocenzo III (n. 340; cf. anche, oltre ai pezzi già citati, i nn. 278, 279 e 294 per la fase precedente del contenzioso, e qui oltre i nn. 344, 345, 346). Sul piano formale, pur rimandando esplicitamente ai docc. pontifici editi ai nn. 285 e 289 (nonché a quello, deperdito, recuperato al n. 283), presentano un'arenga diversa e una formulazione più stringata della parte dispositiva, mantenendo una quasi perfetta corrispondenza sintattico-letterale soltanto nei passaggi conclusivi del testo, nella minatio e nella sanctio (le dipendenze - riferite al n. 289, il più vicino nel tempo dei docc. 'gemelli' - sono poste in risalto, come di norma, mediante il corsivo).
Innocentius episcopus, servus servorum Dei. Dilecto filio Morimunden(si) abbati, salutem et apostolicam benedictionem. Cum a nobis petitur quod iustum est et honestum, tam vigor equitatis quam ordo exigit rationis (a), ut id per sollicitudinem officii nostri ad debitum perducatur effectum. Eapropter, dilecte in Domino fili, tuis iustis precibus grato concurrentes assensu, ad exemplar felicis recordationis Urbani (1), Gregorii (2) et Clementis (3) predecessorum nostrorum, presencium auctoritate statuimus ut cum in negotiis cenobii tui testes idoneos vel alias probaciones legitimas exhibueris, iuramentum prestare non cogaris invitus, sub interminatione anathematis inhibentes ne quis contra statutum nostrum et predictorum predecessorum nostrorum ulterius venire presumat; hoc autem non sol[u]m t(em)pore t[u]o, set et successorum quoque tuorum statuimus observandum. Nulli ergo hominum liceat omnino hanc paginam nostre constitucionis et inhibitionis infringere vel ei ausu temerario contrahire (b). Si quis autem hoc atte(m)ptare presumpserit, indignationem omnip[o]te[n]tis D[ei] et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Dat(a) Lateran(i), id(ibus) septenbris, pontificatus nostri anno secundo.
(a) B om. rationis.
(b) Così B.
(1) Deperdito: cf. doc. n. 283.
(2) Doc. n. 285.
(3) Doc. n. 289.
Edizione a cura di
Michele Ansani
Codifica a cura di
Gianmarco Cossandi